È cosa risaputa che le novelle siano un componimento letterario in grado di veicolare dei valori e insegnamenti di carattere universale e spesso all'avanguardia attraverso un racconto che possa arrivare ad un pubblico ampio, grazie all'utilizzo di un linguaggio prettamente popolare e a dei tropi narrativi molto spendibili, come quello del giallo. Questo era probabilmente l'intento di Beppe Cino quando ha deciso di tornare alla regia di un lungometraggio a più di 10 anni dall'ultima volta con Gli agnelli possono pascolare in pace, al cinema dal 21 marzo 2024 con Draka Production.
La pellicola presentata al BIF&ST - Bari International Film Festival 2024 con protagonista Maria Grazia Cucinotta (alla seconda collaborazione con il regista di Caltanissetta dopo Miracolo a Palermo! del 2005) è infatti la trasposizione sul grande schermo di una storia che ha tutti i crismi della forma della novella classica, aggiornata in una chiave moderna. Ce lo dice soprattutto il trattamento della componente religiosa, centrale nella costruzione del racconto, perché adoperata secondo una lente scevra da retorica ciecamente fideistica, ma adoperata per uno scopo più didattico.
Se l'intenzione è riconoscibile e apprezzabile, così come sono nobili e importanti i temi trattati nella storia, lo è purtroppo però meno la prospettiva scelta per l'adattamento di un linguaggio del genere sullo schermo. La pellicola oscilla infatti tra l'antico e il demodé, faticando molto nella credibilità della messa in scena, della recitazione e, soprattutto, della coerenza di un impianto narrativo spesso confusionario, anche nell'equilibrio dei toni che lo caratterizzano.
Il sogno di Alfonsina
A Racamulto, un paesino perso tra le campagne della Sicilia, vive Alfonsina Milletarì (Maria Grazia Cucinotta), una ex bidella che da tempo non parla con il fratello Saverio (Massimo Venturiello) a causa di una diatriba emersa in seguito a vicende ereditarie. Questo status quo viene alterato da un sogno stranissimo che la donna fa riguardo una Madonna dall'accento straniero che la invita a far pace con l'uomo e a cercarla all'interno del suo terreno, sotto un preciso albero di ulivo.
Inizialmente recalcitrante a seguire le indicazioni datele in sogno, Alfonsina si reca nella chiesa del paese per interrogare direttamente l'antica statua della Madonna che ne impreziosisce l'altare, scoprendo però che ella è assente perché fuori per un restauro. Sarà allora un colloquio con il burbero parroco, fissato con il tempo e gli orologi, a convincere la donna ad andare a trovare il fratello, almeno per un tentativo di riconciliazione.
Alfonsina si reca allora nella proprietà di Saverio, incontrando un'apertura dell'uomo ad un dialogo con lei, che infatti lo rende partecipe dello strano sogno. Il punto indicato però non è più all'interno della proprietà della famiglia Milletarì, ma in quella dei vicini, la famiglia Malavasi. Per la precisione è vicinissimo al confine che le divide. Le due famiglie non si vedono però di buon occhio da moltissimo tempo e l'acredine è anche peggiorata dopo che Saverio ha assunto degli immigrati a lavorare per lui. Come riuscire a scavare dove la Madonna ha indicato?
Una novella che forse era meglio leggere
L'idea di Beppe Cino di creare con Gli agnelli possono pascolare in pace una novella per il grande schermo sembra essersi fermata alla dimensione embrionale, perché laddove si possono rintracciare tutti gli ingredienti teorici e di scrittura necessari per una costruzione adeguata di un racconto pensato con un registro del genere, si percepisce l'assenza di valida struttura cinematografica in un po' tutte quante le componenti.
C'è il mistero, il linguaggio popolare, l'ambientazione di provincia con l'immaginario ad esso legata e, soprattutto, ci sono tematiche universali, come la necessità di un dialogo con il prossimo e l'apertura verso il diverso, spesso accompagnata dalla rappresentazione dell'incapacità di arrivare a farlo. Idee che indicano come l'ambizione del regista sia quella di indagare la natura umana e in special modo come essa si relazioni con il peso di un passato che dovrebbe essere scaricato per non rischiare di continuare a fare gli stessi errori.
Dal lato del linguaggio audiovisivo però Gli agnelli possono pascolare in pace è molto claudicante. Manca di credibilità a livello recitativo, non tanto per la qualità degli interpreti, quanto per la scelta di un linea interpretativa macchiettistica, a volte iperbolica, sottolineata da una sceneggiatura didascalica nei dialoghi e confusionaria nell'ideazione degli snodi principali della storia. La regia quasi più adatta al formato televisivo che a quello cinematografico, così come la fotografia, troppo caricata, in un senso o nell'altro, incapace di dare una profondità espressiva o, quando meno, una linea visiva in grado di rendere coerente l'impianto visivo del titolo. La cosa che però penalizza maggiormente il film di Cino è la gestione di un mix di toni (enfatizzato dalle scelte musicali) tra commedia, dramma e metafisico, che confonde lo spettatore, allontanandolo dal film. Un peccato vista la bontà ideale dell'operazione.
Conclusioni
Nella recensione de Gli agnelli possono pascolare in pace, l'ultimo film di Beppe Cino con protagonista Maria Grazia Cucinotta è il tentativo di trasporre una novella classica sul grande schermo. Il titolo si ferma però alla teoria, partendo da una storia che ha tutti i crismi per essere un esempio valido di quel preciso componimento letterario, ma che viene fortemente penalizzato nel momento della resa con un linguaggio audiovisivo. Da tutti i punti di vista.
Perché ci piace
- La nobiltà e le ambizioni del racconto.
- Si intravede lo scopo autoriale.
Cosa non va
- La messa in scena antiquata, quasi non cinematografica.
- Il registro interpretativo è poco credibile.
- La sceneggiatura didascalica e a volte confusionaria.