I cosiddetti precursors, i premi cinematografici che precedono gli Oscar, a volte sembrano chiudere in anticipo la competizione in alcune categorie; e pure quest'anno, ad appena due settimane dalla notte delle stelle, si possono contare diversi superfavoriti. C'è stato un momento preciso, tuttavia, che ha offerto un chiaro presagio sul destino della gara per l'Oscar alla miglior attrice: la sera del 6 gennaio, durante la cerimonia dei Golden Globe, quando Gary Oldman ha annunciato il nome di Glenn Close come vincitrice del trofeo per la miglior attrice di dramma. Da quel preciso istante, da quella reazione sbalordita diventata alla velocità della luce un meme a uso e consumo di internet, alla protagonista di The Wife sono bastati quattro minuti per mettere sotto ipoteca una statuetta 'rincorsa' per ben trentasei anni, ovvero dal 1982, l'annata del suo debutto sul grande schermo e della sua prima candidatura all'Oscar.
Glenn Close e la lunga strada verso l'Oscar
Nei giorni successivi alla vittoria del Golden Globe, che l'ha vista superare a sorpresa la beniamina delle previsioni sugli Oscar 2019 (la Lady Gaga di A Star Is Born), Glenn Close ha fatto incetta di altri prestigiosi riconoscimenti, quali il Critics' Choice Award e lo Screen Actors Guild Award, e si è aggiudicata la settima nomination all'Oscar della propria carriera, oltre ad aver mantenuto una presenza costante tra festival, red carpet, interviste e omaggi di ogni tipo. Nel frattempo The Wife, la pellicola di Björn Runge tratta dal romanzo di Meg Wolitzer, presentata al Festival di Toronto 2017 e tenuta in serbo per quasi un anno dalla Sony Pictures Classics, sta festeggiando sei mesi consecutivi di permanenza nelle sale statunitensi, dove finora ha raccolto nove milioni di dollari (venti milioni in tutto il mondo): un successo nel circuito arthouse, che potrebbe crescere ulteriormente in virtù dell'auspicato Academy Award del 24 febbraio.
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Un premio che a nostro avviso Glenn Close, classe 1947, quest'anno merita più di ogni altro concorrente, e che andrebbe ad aggiungersi a un'ampia bacheca già corredata da tre Golden Globe, tre Emmy Award e tre Tony Award; la Close, infatti, ha saputo distinguersi anche sul palcoscenico e in televisione, un medium a cui si è dedicata molto prima che numerose star del cinema rivolgessero la loro attenzione al piccolo schermo. E mentre incrociamo le dita in attesa della cerimonia degli Oscar 2019, di seguito vi raccontiamo perché Glenn è la nostra personalissima favorita nella categoria per la miglior attrice e i motivi per cui si è guadagnata il nostro tifo incondizionato...
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The Wife: la performance dell'anno
Partiamo da un aspetto fondamentale: i premi raccolti da Glenn Close per The Wife non costituiscono una consolazione per le mancate vittorie del passato, ma sono il giusto tributo a un'interpretazione davvero fenomenale. Nel film di Björn Runge, tratto dal romanzo di Meg Wolitzer, la Close si cala nel ruolo di Joan Castleman, moglie del celebrato romanziere Joe Castleman (Jonathan Pryce), selezionato come destinatario del Nobel per la letteratura. Nel corso del loro viaggio a Stoccolma Joan, messa alle strette dalle domande del giornalista Nathaniel Bone (Christian Slater), inizierà a tracciare un bilancio della propria esistenza, lasciando emergere, ora dopo ora, tutta la frustrazione, il risentimento e i rimpianti covati in silenzio per più di trent'anni.
E nei panni di Joan Castleman, Glenn Close si produce in una performance spettacolare: una performance che parte in sottrazione, sfruttando gli sguardi, i piccoli gesti, le sfumature ambigue di un sorriso, per poi prendere fuoco nella seconda parte del film, quando le emozioni di Joan esplodono con forza dirompente, travolgendo la donna in un vortice di rabbia e sofferenza. Giocato non a caso sui primi piani, The Wife offre un ideale best of delle doti attoriali della sua protagonista: la reazione di Joan all'annuncio del Nobel per il marito o l'espressione dipinta sul suo viso nel corso della cerimonia forniscono l'ennesima prova del talento di una delle più grandi interpreti della sua generazione.
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Sette nomination e una carriera da urlo
Ribadito il fatto che un Oscar per The Wife sarebbe un riconoscimento sacrosanto e non un semplice "premio alla carriera", quella carriera mantiene comunque un peso inevitabile nell'equazione dell'awards season: a partire dal fatto che, per Glenn, si tratta appunto della nomination numero sette. I membri dell'Academy hanno avuto la lungimiranza di accorgersi da subito di essere al cospetto di un'attrice incredibile, assegnandole tre candidature consecutive come miglior attrice supporter fra il 1982 e il 1984: per il suo film d'esordio, Il mondo secondo Garp di George Roy Hill, per l'amatissimo cult Il grande freddo di Lawrence Kasdan e per un altro grande successo di pubblico, Il migliore di Barry Levinson.
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Da lì in poi sarebbe avvenuta la 'promozione' a ruoli da protagonista e l'ingresso nell'immaginario collettivo, fra il 1987 e il 1988, grazie a una coppia di personaggi iconici in due film acclamatissimi: Alex Forrest, l'amante respinta e in cerca di vendetta nel thriller Attrazione fatale di Adrian Lyne (uno dei maggiori campioni d'incassi di sempre), e la Marchesa de Merteuil, villainess fascinosa e senza scrupoli nel capolavoro di Stephen Frears Le relazioni pericolose. Dopo le due nomination come miglior attrice per Attrazione fatale e Le relazioni pericolose, Glenn dovrà attendere ben ventitré anni prima di tornare in competizione per l'Oscar, nel 2011, con Albert Nobbs, diretto da Rodrigo García: un sogno nel cassetto coltivato per lungo tempo (è lei stessa a sceneggiarlo e produrlo) e che le permette di recitare in abiti maschili.
Nel frattempo, la Close lascia il segno anche in film come Il mistero Von Bulow, Cronisti d'assalto e La fortuna di Cookie e, nel 1996, disegna una memorabile Crudelia De Mon nella popolarissima versione live-action de La carica dei 101. Nel 2005 è la co-protagonista della quarta stagione della serie poliziesca The Shield, mentre fra il 2007 e il 2012 scrive un capitolo di storia della televisione con il suo indelebile ritratto della spregiudicata avvocatessa Patty Hewes in Damages. Senza dimenticare il palcoscenico, dove si cimenta in drammi quali The Real Thing, La morte e la fanciulla, Un tram che si chiama Desiderio, The Normal Heart, Un equilibrio delicato e ovviamente il musical Sunset Boulevard. Insomma, una di quelle carriere talmente ricche e variegate per le quali un Oscar sarebbe una perfetta e doverosa "ciliegina sulla torta".
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Un discorso da Oscar
Non si ottiene un Oscar in virtù di un discorso: ci si potrebbe limitare a un frettoloso "Thank you" e il merito di un vincitore non cambierebbe di un milligrammo. Ciò detto, un buon acceptance speech può contribuire ad evidenziare il valore di un candidato e la sua storia professionale; e in quest'ottica, quello di Glenn Close ai Golden Globe del 6 gennaio è stato un discorso assolutamente perfetto. Perché così spontaneo ed emozionante, come possono esserlo le lacrime e il sorriso stupito di una veterana presa dalla commozione per un premio inaspettato. Perché le ha permesso di ribadire l'amore per una professione intrapresa quarantacinque anni fa ("E non potrei immaginare una vita più meravigliosa!"). Per la capacità di collegare il suo ruolo in The Wife al legame con la madre, che "a ottant'anni mi ha detto: 'Mi sembra di non aver realizzato nulla'". E per aver trasformato un episodio così intimo in un messaggio di portata universale: "Abbiamo dei figli, dei mariti, se siamo abbastanza fortunate, o dei partner... ma dobbiamo trovare una realizzazione personale. Dobbiamo seguire i nostri sogni. Dobbiamo dire: 'Posso farcela, e dovrei poter avere l'opportunità di farcela!'". Ecco, a volte i premi servono anche e soprattutto a questo: a ricordarci dell'impegno e della passione che dovrebbero caratterizzare la nostra vita, sempre e ogni giorno.