È necessario amare i personaggi che interpreti... anche quando non li ama nessun altro.
Se c'è una qualità che è impossibile non riconoscere a Glenn Close è senz'altro la sua intraprendenza come attrice: pochissime star hollywoodiane infatti, all'apice della loro popolarità, avrebbero accettato di calarsi in ruoli tanto controversi, oscuri e talvolta sgradevoli come quelli che fanno bella mostra nella filmografia della Close. La nostra Glenn, in compenso, ha sempre dato prova di amare le sfide, e nel corso della sua carriera si è cimentata non a caso con i ruoli più diversi, passando con disinvoltura dal palcoscenico al grande e piccolo schermo, per un repertorio che l'ha vista alle prese con figure iconiche quali la Regina Gertrude di Amleto e una scatenata Crudelia de Mon nella fortunata versione live action de La carica dei 101.
Nata a Greenwich, in Connecticut, cresciuta fra il continente africano (suo padre era un chirurgo di stanza nel Congo belga) e le scuole in Svizzera e segnata da una difficile adolescenza, a causa dell'affiliazione della propria famiglia ad un culto parareligioso e ultraconservatore (da cui prenderà le distanze), dopo l'università Glenn Close decide di dedicarsi a tempo pieno al teatro, dove trova finalmente la propria dimensione ideale. Se i consensi non tardano ad arrivare, il cinema invece fatica ad accorgersi di lei: la Close debutta davanti alla cinepresa piuttosto tardi, a trentacinque anni, ma la sua carriera sul grande schermo spiccherà subito il volo, portandola a guadagnarsi ben sei candidature all'Oscar.
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Tanti auguri Glenn: settant'anni da perfetta villainess
L'attrice, nel frattempo, non dimentica il teatro, che continua a darle grandi soddisfazioni e le fa vincere tre Tony Award, legando il proprio nome soprattutto a un personaggio: Norma Desmond, ossessiva star del muto, in Sunset Boulevard, il musical ispirato al classico Viale del tramonto, interpretato dalla Close per la prima volta nel 1994 e ripreso proprio in questi giorni a Broadway. Quando invece il cinema inizia ad offrirle meno occasioni, Glenn ha la lungimiranza, in anticipo su tanti colleghi illustri, di rivolgere la propria attenzione al piccolo schermo: già interprete di numerosi TV movie, nel 2005 la Close presta il volto al Capitano di Polizia Monica Rowling nella quarta stagione di The Shield. Fra il 2007 e il 2012, invece, dà vita a uno dei suoi personaggi più memorabili e apprezzati, Patty Hewes, avvocato senza scrupoli e con un senso della morale decisamente 'fluido', nelle cinque stagioni della splendida serie thriller Damages, che le permette di collezionare un gran numero riconoscimenti: in totale, la sua attività in televisione procura a Glenn Close due Golden Globe e tre Emmy Award come miglior attrice.
Dopo il successo di Damages, il grande pubblico la ritrova nei panni di Nova Prime nel blockbuster della Marvel Guardiani della Galassia, mentre a breve la rivedremo pure nel sequel, Guardiani della Galassia Vol. 2; sempre quest'anno, la Close apparirà nelle commedie Fratelli bastardi e Wilde Wedding, nello sci-fi di Netflix Seven Sisters, nel giallo Crooked House (da un romanzo di Agatha Christie) e nel promettente dramma The Wife, nella parte di una scrittrice a un bivio della propria vita familiare. Una perfetta villainess, dunque (non a caso la sua Crudelia sostiene brillantemente il confronto perfino con quella del classico d'animazione), ma anche un'attrice con un talento assai più ampio e variegato: un talento che oggi, nel giorno in cui festeggia settant'anni, vogliamo celebrare nella sua 'declinazione' cinematografica, con una classifica delle cinque migliori performance che Glenn Close ci ha regalato sul grande schermo, fin dal suo esordio...
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5. Il mondo secondo Garp
Un debutto tardivo, come già detto, ma che metteva subito in luce la profondità di un'interprete fuori dal comune. Nel 1982, la trentacinquenne Glenn Close si cala nei panni di Jenny Fields, caparbia infermiera e madre single del protagonista T.S. Garp, ne Il mondo secondo Garp di George Roy Hill, efficace adattamento del bellissimo romanzo di John Irving. La Close, che divide la scena con Robin Williams (di soli quattro anni più giovane, pur interpretando suo figlio), infonde molteplici sfumature a un personaggio carico di carisma: trasgressiva ma con limpida ingenuità (si fa mettere incinta 'stuprando' un paziente moribondo), bigotta ma curiosa verso il mondo e gli esseri umani (impagabile la scena della sua 'intervista' a una squillo), madre opprimente e paladina femminista, Jenny ci offre la prima, grande prova di Glenn Close, che si aggiudicò la nomination all'Oscar come miglior attrice supporter. Nell'arco dei due anni successivi, la Close otterrà altre due candidature nella medesima categoria: nel 1983 per l'indimenticabile cult generazionale Il grande freddo di Lawrence Kasdan e nel 1984 impersonando l'amorevole fidanzata di un campione di baseball ne Il migliore di Barry Levinson.
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4. Il mistero von Bulow
Quanti attori sarebbero in grado di lasciare il segno addirittura in una pellicola in cui il loro personaggio passa la maggior parte del tempo in coma? Incredibile a dirsi, ma nel 1990 Glenn Close ha superato a pieni voti questa sfida ne Il mistero von Bulow, l'ottimo dramma di Barbet Schroeder basato su uno dei più discussi casi giudiziari del decennio precedente, quello relativo al processo contro il ricco aristocratico britannico Claus von Bulow (un eccellente Jeremy Irons), accusato di aver ridotto la moglie in un coma irreversibile. Costruito attraverso un sistema a incastri di flashback e di "verità parallele", il film di Schroeder è dominato dalla presenza fantasmatica di Sunny von Bulow, al contempo voce narrante dagli abissi del suo imperturbabile sonno e figura al cuore del torbido intreccio giallo.
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Alla Close, infatti, bastano una manciata di sequenze per costruire un ritratto stupefacente di questa dissoluta socialite americana: donna autoritaria ma anche volubile e autodistruttiva, capace di sedurre con un semplice sguardo così come di scaricare sul marito Claus ondate di rabbioso risentimento. Rappresentata mentre si trascina con sguardo vitreo nelle ampie sale della sua maestosa residenza o mentre consuma i propri tormenti dietro una maschera di silenziosa compostezza, Sunny von Bulow contribuisce in misura essenziale all'atmosfera di ambiguità del film stesso: e Glenn Close non solo abbraccia tale ambiguità, ma ne fa la chiave di lettura di un personaggio tragico e sfuggente. Per Il mistero von Bulow Irons ha ottenuto l'Oscar come miglior attore, ma la Close, già sua comprimaria a teatro sette anni prima in The Real Thing, non gli è da meno.
3. Albert Nobbs
È stato un autentico "sogno nel cassetto": un progetto a cui Glenn Close teneva enormemente, e per il quale si è adoperata con il massimo impegno fino a vederlo diventare realtà. Nel 1982, la Close portò in un teatro Off-Broadway La singolare vita di Albert Nobbs, trasposizione di un racconto di George Moore, nel title role Albert Nobbs, solerte maggiordomo nell'Irlanda dell'Ottocento, che sotto sembianze maschili cela una segretissima identità femminile. Per quasi quarant'anni la Close aveva desiderato trasformare questa pièce in un film, e finalmente nel 2011 è riuscita nell'impresa con una pellicola da lei stessa co-prodotta, co-sceneggiata ed interpretata, affidandone la regia a Rodrigo García. La storia della presa di coscienza e dell'educazione sentimentale di un essere umano che ha sempre represso ogni pulsione prende vita sullo schermo proprio in virtù dell'ammirevole prova della Close: una performance sapientemente sotto le righe, tutta affidata alla forza degli sguardi e del non detto, e alla quale contribuisce anche la prodigiosa "trasformazione al maschile" dell'attrice americana. Grazie ad Albert Nobbs, Glenn Close sarebbe tornata in competizione agli Oscar dopo ben ventitré anni di assenza, meritandosi la sesta nomination della propria carriera.
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2. Attrazione fatale
Se Glenn Close è universalmente riconosciuta come una specialista nelle parti da "cattiva", l'origine di questa fama ha una data ben precisa: il settembre 1987. Prima di allora, infatti, l'attrice aveva interpretato unicamente personaggi dal taglio positivo, fin quando, alla soglia dei quarant'anni, non arrivò il ruolo che avrebbe segnato l'apice della sua popolarità e che l'avrebbe resa un'icona del cinema del decennio: Alex Forrest, amante dell'avvocato e padre di famiglia Dan Gallagher (Michael Douglas), nel thriller Attrazione fatale. La storia della relazione clandestina fra Dan e Alex, che da semplice scappatella si tramuta in un'ossessione dalle conseguenze nefaste, elettrizzò il pubblico, trasformando il film di Adrian Lyne in un vero e proprio fenomeno di costume, nonché in un trionfo commerciale quasi senza precedenti (ottanta milioni di spettatori in tutto il mondo).
E un indispensabile ingrediente alla base dello strepitoso successo di Attrazione fatale risiede non a caso nella prova della Close, alle prese con un personaggio estremo e professionalmente 'rischiosissimo', che era già stato rifiutato da Sally Field e Isabelle Adjani e per il quale Glenn superò una concorrenza agguerrita (le "prime scelte" della produzione erano Barbara Hershey, Miranda Richardson e Debra Winger). Caratterizzata da un amalgama di sensualità spigliata, con il sorriso audace e lo sguardo sfrontato sotto una cascata di riccioli biondi, e di follia incontrollabile, tale da tramutarla in una rabbiosa vendicatrice e in una potenziale assassina, Alex Forrest costituisce una villainess da antologia (l'American Film Institute l'ha inserita al settimo posto nella classifica dei migliori antagonisti della settima arte); grazie, ovviamente, alla performance 'selvaggia' e inquietante della Close, capace di far entrare nella memoria collettiva la frase "I'm not gonna be ignored, Dan!". Per Attrazione fatale Glenn Close ricevette la sua quarta nomination all'Oscar, e la prima come miglior attrice protagonista.
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1. Le relazioni pericolose
Se nel 1987, con Attrazione fatale, Glenn Close aveva mostrato un suo lato inedito e toccato un nuovo 'picco' del proprio talento, appena un anno più tardi la star americana si sarebbe superata ancora una volta, vestendo gli elegantissimi costumi di un altro personaggio tanto perfido quanto indelebile e assicurandosi un'ulteriore nomination all'Oscar come miglior attrice. Nel repertorio della Close, del resto, soltanto la Patty Hewes di Damages può sostenere il confronto, in quanto a spessore narrativo, densità psicologica e perverso fascino, con la Marchesa de Merteuil, l'infida e astuta nobildonna creata dalla penna di Choderlos de Laclos, compagna di intrighi del libertino Visconte de Valmont (John Malkovich) ne Le relazioni pericolose, capolavoro di Stephen Frears ambientato nei salotti aristocratici della Francia di fine Ottocento e incentrato su una fitta trama a base di giochi di seduzione e di inganni dagli esiti letali.
Con un'impeccabile combinazione di intelligenza e di doppiezza, di desiderio di dominio e di malizia luciferina, fin dalla sua prima apparizione sullo schermo la Marchesa de Merteuil si impone come un'antagonista indimenticabile: tanto Alex Forrest è impulsiva e fuori controllo, quanto Madame de Merteuil è lucida e calcolatrice alla massima potenza. Glenn, tuttavia, non si limita a sottolinearne i lati più 'sadici', ma in filigrana fa trapelare anche la sua indomabile volontà di autodeterminazione, la coscienza dell'abilità nel rovesciare a proprio favore le convenzioni sociali dell'epoca. Il monologo della Marchesa sul binomio "vincere o morire" è un pezzo di bravura da manuale della recitazione, così come i superbi duetti fra la Close e Malkovich e la meravigliosa sequenza conclusiva del film: un lungo, silenzioso piano sequenza in cui Madame de Merteuil, sola di fronte allo specchio, lascia cadere infine la propria 'maschera', rivelando l'umiliazione e la sofferenza di un'innamorata sconfitta. Il perfetto suggello per una delle più straordinarie prove d'attrice negli annali del grande schermo.