Giovane, aitante, idealista. Il futuro è tutto per Michael, bravo ragazzo di belle speranze con un padre ucciso quando lui era solo un bambino, ma ancora vivo nella sua memoria. Perché l'esempio paterno non è soltanto una guida lontana, ma una vera e propria ispirazione ardente. Figlio di un grande diplomatico, Michael crede fermamente nell'etica ferrea di chi gestisce i rapporti tra i popoli. Per lui la diplomazia è un'arte valorosa praticata dai giusti. Per lui i diplomatici sono i nuovi cavalieri della Tavola Rotonda. Avviato verso una gloriosa carriera, il ragazzo si fa presto notare dai piani alti delle Nazioni Unite, dove viene subito coinvolto nel programma umanitario Oil for Food (petrolio in cambio di cibo), dedicato al bene della popolazione irachena. Però, quando si parla di oro nero e interessi economici mastodontici, non tutto può luccicare. Non tutto può essere come nel mondo ideale sognato da Michael. Così, il nostro sarà costretto a volare in Iraq per rendersi conto della discrepanza abissale tra le sue aspettative da ingenuo sognatore e la balorda verità dei fatti. Banalizzato da un titolo italiano molto comune (identico all'omonimo film del 1992 con Harrison Ford), Giochi di potere in originale si presenta in modo molto più chiaro ed esplicito: Backstabbing for Beginners, ovvero "guida per pugnalare alle spalle per principianti".
Non a caso il film del danese Per Fly è una lenta, graduale e inesorabile perdita dell'innocenza, in cui gli occhi immacolati di un uomo candido vengono macchiati dalla corruzione e da interessi molto più grandi di lui. Però, per quanto il nemico sia enorme e invisibile, chi crede di essere alla corte di un moderno Re Artù ha sempre una spada da impugnare nascosta nel taschino.
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L'arte oscura della diplomazia
Tratto dall'omonimo romanzo autobiografico del giornalista freelance Michael Soussan, Giochi di potere ci mette dall'inizio alla fine nei panni di Michael, sempre in scena, pronto a confidarsi con noi per raccontare la rottura del suo mondo ovattato, fatto di teoria, storie e amori paterni. In questo suo viaggio di distruzione e formazione, di disillusione e coraggio, capiamo subito quanto il protagonista di questo thriller politico abbia bisogno di un mentore, una figura guida persa da troppo tempo. Affascinato dalla buona volontà del giovane, sarà proprio il Sottosegretario dell'ONU Pasha, interpretato da un Ben Kingsley col pilota automatico, a diventate un genitore putativo pronto a credere in lui. In questo senso la scelta di Theo James, con quel volto da bravo ragazzo incorruttibile e ligio al dovere che si ritrova, sembrava essere quella giusta, adatta a dimenticare l'abbandono di Josh Hutcherson (preoccupato dall'idea di lavorare in Medio Oriente).
Purtroppo, però, questa curiosa staffetta tra i volti maschili delle due saghe young adult distopiche più celebri degli ultimi anni (Divergent e Hunger Games) ha un'amara verità in serbo: James non ha il carisma, la presenza scenica e le abilità attoriali per reggere da solo un intero film dedicato al trauma etico, dove il protagonista deve prima incassare e poi reagire a una scottante delusione. Spaesato più che in balia degli eventi, Michael non riesce mai guadagnarsi davvero l'empatia del pubblico, perché Fly costruisce attorno a lui un'opera che cerca l'intrigo e il pathos senza mai raggiungere davvero i suoi ambiziosi obiettivi. Di buono resta una morale di fondo molto semplice e più volte ripetuta: la diplomazia è un'arte che non si studia, ma si pratica. Non si venera, ma si mette in atto. Spesso sporcandosi le mani.
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Un passo avanti a Michael
Interessante soprattutto per tutti quelli che non conoscono i fatti realmente accaduti (non saranno pochi), facilmente comprensibili perché descritti da una sceneggiatura lineare, mai troppo cervellotica, Giochi di Potere pecca nei dialoghi incapaci di dare forma tridimensionale al carattere e alle motivazioni dei protagonisti. Non aiutano affatto una love story forzata quanto prevedibile, dialoghi per niente ficcanti, pieni di frasi fatte, e nemmeno un'eccessiva ingenuità del protagonista. Il problema di fondo del film, purtroppo, sta nel fatto che lo spettatore è sempre un passo avanti a Michael. Laddove lui tentenna, il pubblico ha già capito di chi fidarsi e di chi no. Laddove lui si affida ciecamente a qualcuno, il pubblico alza già lo sguardo al cielo condannandone l'imperdonabile mancanza di fiuto. In un genere come il thriller dove il colpo di scena e la tensione sono spesso sinonimo di buona riuscita, questa pecca caratteriale e questa leggerezza in fase di scrittura minano ogni forma di partecipazione e di coinvolgimento. Se il titolo risveglia la curiosità dei fan di Frank e Claire Underwood, sappiate che siamo molto lontani dalla raffinatezza e dall'arguzia di House of Cards. Giochi di potere non ha le stesse ambizioni di Michael, ha soprattutto il merito di raccontare una storia colpevolmente poco nota, senza mai tentare un guizzo che lo sollevi da un desolante panorama estivo cinematografico.
Movieplayer.it
2.0/5