E' incredibile come la carriera di un uomo di cinema possa cambiare completamente in pochissimo tempo. E' il caso di Gianni Di Gregorio che in un paio d'anni è passato da una situazione di totale anonimato alla presentazione del proprio film al festival di Berlino. A sessant'anni, dopo una lunga carriera teatrale e una lunga esperienza come sceneggiatore e co-regista, il Tati di Trastevere si appresta a vivere il suo debutto internazionale in una kermesse di grande appeal come la Berlinale e a confrontarsi per la prima volta con la stampa estera e con il pubblico d'oltre confine. Accolto a braccia aperte dalla critica italiana, il film esce questo weekend nelle sale distribuito da 01Distribution ed è stato presentato ieri sera qui a Berlino. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Di Gregorio, emozionatissimo e strafelice per questo ennesimo riconoscimento al suo lavoro, alla vigilia della prima proiezione pubblica di Gianni e le donne fuori dall'Italia. Sentite cosa ci ha raccontato con gli occhi lucidi e la voce rotta dall'emozione.
Gianni, come ti senti ad essere qui a Berlino dopo il grande successo di due anni fa a Venezia con Pranzo di Ferragosto che ti è valso il Leone del Futuro come opera prima?
Queste cose mi emozionano sempre, nonostante sia ormai arrivato a sessant'anni e a certe cose non dovrebbero sconvolgerti più di tanto. Per me forse è stato talmente inatteso questo successo che mi emoziono più di un giovane. A volte ci penso e mi dico che forse tutto questo è stato immeritato, altre invece rifletto sul fatto che da quarant'anni lavoro nel cinema come manovale prima e come intellettuale e scrittore poi, quindi in un certo senso me lo sono meritato un po'.
Com'è il tuo rapporto con il pubblico? Pensi che apprezzerà questo tuo secondo film o che rimarrà affezionato al primo?
Com'è cambiata la tua vita negli ultimi due o tre anni, visto che sei di colpo passato dal completo anonimato alle luci della ribalta?
La mia vita è stata letteralmente sconvolta, ero un timido, uno che viaggiava poco, uno che aspettava fiducioso che le cose un giorno potessero cambiare in meglio. I miei cari sono addirittura entusiasti, loro se la stanno godendo veramente questa svolta nella mia carriera di uomo di cinema. A volte sembrano persino più contenti di me, io sto ancora domandandomi come è potuto accadere tutto questo (ride), mi fa immensamente piacere vedere questa felicità riflessa negli occhi delle persone che mi stanno intorno, mi ha aiutato a rendermi conto che quel che mi stava succedendo era davvero qualcosa di grosso.
Cosa ti ha spinto tre anni fa a passare dietro la macchina da presa?
Nella mia carriera si sono alternate diverse fasi, quella da scrittore intellettualoide, quella dell'operaio, quella in cui ti prendevano a fare il caffè a chi contava veramente, oggi posso dire che il mio animo di manovale del cinema mi è rimasto dentro e la trovo una cosa bella perché mi ero sì stancato di stare alla finestra ad aspettare il mio momento ma avevo anche un certo timore ad espormi, detto sinceramente. Nel 2000 l'evento scatenante fu l'incontro con Matteo Garrone. Iniziai a lavorare con lui ed è stato lì che è riemerso il mio lato manovalesco che mi ha dato la forza di alzarmi dalla scrivania da scribacchino e tornarmene in strada a tenere in mano una macchina da presa. Devo ringraziare lui se ora sono dove sono e se ho riacquistato una fiducia in me e una grinta che non credevo di avere più.
Ora la mia metà intellettuale e quella manuale vanno di pari passo e vengono ogni giorno coltivate entrambi dopo anni di vita separata. Bisogna agire, e io l'ho fatto, tardi ma l'ho finalmente fatto.
Il Gianni del film sei tu ma è completamente diverso da te, è un uomo invece lascia interdetti perchè vivacchia senza una meta e non ha una passione, a parte quella per le donne...
Con chi sei venuto a Berlino? C'eri già stato prima d'ora?
Sono qui con la mia squadra di collaboratori, che poi è la stessa di Pranzo di Ferragosto. Il direttore della fotografia, il mio amico Gogò Bianchi, un giovane che non ha ancora compiuto quarant'anni con il quale ho un rapporto di fiducia totale. Quando il regista è anche l'interprete principale alla fine chi muove la macchina da presa è il direttore della fotografia. Io imposto l'inquadratura poi ci entro dentro e mi limito a recitare. C'è qualcosa di magico fra di noi ma non abbiamo ancora capito cosa sia. Poi qui a Berlino con me ci sono anche i due musicisti che hanno curato la colonna sonora, Ratchev e Carratello, e anche il montatore Marco Spoletini, un altro giovane che ha già fatto parlare di sé come collaboratore di Garrone, vincitore di un David di Donatello per il montaggio di Gomorra. La signora Bendoni, la mia mamma cinematografica, non abbiamo avuto il coraggio di portarla con noi, ha 95 anni e Berlino è una città freddissima in cui si arriva in aereo, non era proprio il caso. Io c'ero già stato in passato e l'ho sempre amata per i suoi grandi spazi, per la comodità e per la praticità dei servizi pubblici, per la precisione con cui tutti si muovono. A Roma, per quello che fai a Berlino in un giorno ti ci vuole una settimana.
Che reazione ti aspetti dal pubblico e dalla stampa tedesca?
Nel film racconti di un sessantenne che prende coscienza di esser diventato quasi trasparente agli occhi delle donne, soprattutto a quelli delle donne assai più giovani di lui. Quando ti sei effettivamente accorto che nella tua vita stava accadendo questa cosa?
Ormai mi succede già da qualche anno, da una decina forse, All'inizio pensi sempre che si possa recuperare, cerchi di farti notare, cerchi di non pensarci ma poi i segnali diventano man mano sempre più inequivocabili. Il grande exploit di Pranzo di Ferragosto è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dal momento in cui nessuna mi filava nonostante fossi diventato famoso e avessi vinto un premio importante alla Mostra di Venezia, ho capito che era davvero finita. La prova lampante l'avevo avuta, si trattava solo di prenderne atto e di accettare la realtà. Tuttora vedo i miei coetanei andare in palestra a fare pesi per rimorchiare questa o quella ragazza, ma non si accorgono che nonostante la forma fisica alla fine le cose cambiano poco. E' fuori dalla norma delle cose che una ragazza instauri una relazione con un uomo con il doppio dei suoi anni. Bisogna rassegnarsi.
Pensi che Gianni e le donne sia rivolto più ad un pubblico adulto o anche ai ragazzi?
Ho scoperto che Gianni e le donne piace di più alle donne che agli uomini, ed era quello che volevo. Gli uomini credo si irritino molto a sentir parlare di quelle che sono le loro paure e le loro turbative. Le donne poi sono anche molto più preparate cinematograficamente e culturalmente in generale, quindi non vanno mai al cinema a prescindere, scelgono accuratamente le loro visioni.
A proposito di donne, la moglie che vediamo nel film è un personaggio autobiografico o hai inventato?
No, che inventato, è tutto vero, estremamente realistico. Io e mia moglie siamo insieme da trent'anni ma da qualche anno dormiamo separati come i protagonisti del film, non ci sopportiamo più molto a livello di abitudini, io poi sono un tipo piuttosto fastidioso, me ne rendo conto. Anche il personaggio di Michelangelo, il fidanzato di mia figlia, è ispirato al vero fidanzato di Teresa, un ragazzo che ormai da quattro anni staziona in casa mia e che è diventato il mio figlio maschio, quello con cui vedo le partite e parlo di tutto, anche di cinema visto che fa il macchinista come facevo io quando ero agli inizi.
Hai già in mente di cosa ti occuperai in futuro? Qualche progetto all'orizzonte? Continuerai sullo stesso genere?
Non lo so cosa farò dopo questo. So solo che voglio continuare a sperimentare, che sia con la sceneggiatura per altri registi, che sia una co-regia con un regista famoso o con un regista giovane agli esordi. Di certo vorrei continuare a lavorare gestendo un budget non troppo alto come ho fatto finora, senza troppe responsabilità addosso e avvalendomi di una libertà artistica cui non intendo rinunciare per nessun motivo. La sperimentazione cinematografica è una cosa che ti fa sentire vivo, la routine appiattisce e annoia, l'umiltà porta sempre qualcosa di buono.