"Con il David di Donatello vinto pochi giorni fa, Renato Carpentieri è il primo attore italiano ad aver vinto, per lo stesso film, i quattro premi più importanti in Italia: Nastro d'argento, David di Donatello, Globo d'oro e Ciak d'oro. Ha fatto il grande slam. E quando accade a un attore meraviglioso, che ha dovuto aspettare settantacinque anni per fare il primo ruolo da protagonista assoluto, è qualche cosa di eccezionale". Gianni Amelio è ospite d'onore al festival Cortinametraggio, rassegna di corti fra le montagne rosa delle Dolomiti. Diretto da Maddalena Mayneri, il festival ha portato agli occhi degli spettatori una pioggia di corti e videoclip, e alcune anteprime di lungometraggi. Fra gli ospiti, Maria Pia Calzone, Anna Foglietta, Paolo Genovese, Gianni Ippoliti, Irene Ferri, Matteo Branciamore, Federico Russo.
Stasera Gianni Amelio riceverà il Nastro d'Argento Speciale per i Corti per il suo cortometraggio Casa d'altri. Ma l'emozione per il David di Donatello al protagonista del suo film La tenerezza è ancora fortissima.
Renato Carpentieri nel cinema lo ha praticamente scoperto lei.
"L'ho fatto debuttare io nel 1989, con Porte aperte. Era già un attore meraviglioso, ma quella volta non vinse niente. Ci sono voluti altri venticinque anni perché si accorgessero davvero di lui".
Perché è accaduto questo?
"A volte succede quando il talento è meno alla moda. Renato Carpentieri non ha mai cercato di essere alla moda, non si è mai svenduto".
Il cinema italiano tende a scegliere sempre gli stessi nomi?
"L'ha detto Renato, rivolgendosi ai produttori: bisogna avere più coraggio. Io non nego che ho dovuto lottare per imporre il suo nome".
Ha intitolato il suo film a un sentimento desueto, quasi "fuori moda": la tenerezza. Che cosa è per lei?
"Prima di me, l'ha scoperto il papa questo sentimento. Papa Francesco ha detto: 'L'uomo ha bisogno di tenerezza'. Noi uomini spesso non abbiamo il coraggio della tenerezza; la scambiamo per debolezza. È come il coraggio di chiedere scusa dopo un errore".
Quando lei parla di cinema, parla spesso di registi classici: Antonioni, Mizoguchi, Kurosawa, Pasolini. Ma c'è un regista di oggi che sente vicino al suo stile, al suo sentimento?
"Più di uno. Insegnando al Centro sperimentale dal 1983, tanti miei allievi sono diventati registi importanti. Il più conosciuto è Paolo Virzì. Ma quello che credo mi somigli di più è Francesco Munzi, che ha diretto Anime nere e Saimir. Abbiamo passato anni uno alla cattedra e uno fra i banchi: spesso scambiandoci i ruoli! Saverio Costanzo è un regista bravissimo".
E fra i più giovani, fra quelli che il David ha rivelato, per esempio?
"Ah, beh, certamente Jonas Carpignano. Che, per uno strano gioco del destino, è figlio di uno dei miei più cari amici dell'adolescenza, la prima persona che ho incontrato quando sono andato a Roma. Volevamo scrivere insieme delle sceneggiature, con il padre. Poi l'altro giorno ai David, ho visto questo suo figlio, autore di un film interessantissimo: e ho ritrovato, dopo trent'anni, il mio vecchio amico".
Adesso? Ha una storia che vorrebbe raccontare?
"Ce ne sono tante. Al punto che chiedo al padre eterno, se mai c'è, che mi dia il dono più grande che un regista può volere: la salute!".
Nel libro che è appena uscito da Mondadori, "Padre quotidiano", racconta una sua paternità particolare. Perché ha scelto di raccontarla oggi?
"E' stata unna cosa importante per me. Tengo a questo libro più che a tutti i film che ho fatto. Ho scritto solo due romanzi, ma questa volta so che il mio libro significa qualcosa per me, e spero anche per altri".
Racconta la sua esperienza di padre adottivo.
"E' l'adozione di un ragazzo albanese che ho fatto mentre giravo Lamerica, e che mi ha permesso di avere una famiglia incredibile. Non ho portato a Roma solo il ragazzo, ma anche i suoi genitori naturali; oggi lui ha conosciuto la sua compagna, ha avuto tre figli, e sua madre oggi vive con me. Cosi' oggi sono un po' padre, un po' nonno e un po' marito".
Nel suo documentario "Felice chi è diverso" intervista venti omosessuali, raccontando la repressione, l'accettazione, la presenza e la vita dell'amore omosessuale in Italia nel Novecento. Come è stata la condizione degli omosessuali in Italia in questi ultimi cento anni?
"In Italia non c'è mai stata una legge contro gli omosessuali. Mussolini non volle fare una legge contro l'omosessualità, per non ammettere che ci fossero omosessuali in Italia. E questa è stata una fortuna per l'Italia. In Inghilterra i gay finivano in prigione, come il grande attore John Gielgud".
Lei ha fatto coming out recentemente. Ha mai sentito difficoltà a vivere la sua sessualità in Italia?
"No, vivaddio no! Io ho una vita sentimentale e sessuale molto aperta, molto libera, ma alla luce del sole!".