La memoria è il filo conduttore dei nuovi film appartenenti alla saga di Ghostbusters. La memoria di chi non c'è più, e non a caso entrambi i titoli appartenenti a questo secondo filone sono dedicati ad altrettanti nomi illustri purtroppo scomparsi. Ghostbusters: Legacy era dedicato ad Harold Ramis, uno dei protagonisti dei film storici, oltre che co-autore di soggetto e sceneggiatura insieme a Dan Aykroyd, mentre Ghostbusters: Minaccia Glaciale (qui la nostra recensione) a Ivan Reitman, il regista dei primi due capitoli originali.
Se ci pensiamo bene non poteva essere altrimenti per almeno due ragioni. La prima, la nostalgia è divenuta ormai un ingrediente essenziale per operazioni patrocinate dalle grandi major nordamericane; la, seconda è che al timone del nuovo corso delle pellicole dedicate agli acchiappafantasmi c'è il duo formato da Gil Kenan e Jason Reitman, che si scambiano la posizione di regista, ma sono sempre tutti e due coinvolti nel processo di scrittura.
L'idea di tenere al centro dei titoli la celebrazione della memoria ha acquisito quindi, in maniera praticamente naturale grazie al coinvolgimento di Reitman jr., la forma di una elaborazione del lutto cinematografica. Ecco perché si è cercato prima di tutto di trovare una strada maestra (e sincera) con la quale portare questo processo sullo schermo e percorrerla in maniera tale da emanciparsi da ciò che è stato, trovando uno spazio nel contesto del blockbuster attuale e parlando al pubblico di oggi, ma anche a quello di ieri.
Jason Reitman è uno Spengler
Il primo tassello per cominciare a ideare la strada citata poco sopra è stato probabilmente posto focalizzandosi sul disfacimento della famiglia Spengler in seguito all'allontanamento tra Egon e la figlia Callie a causa dell'ossessione dello scienziato per le sue ricerche sul paranormale e il successivo riavvicinamento dopo la sua scomparsa. Tutto Ghostbusters: Legacy è, in fondo, una pellicola sulla riappropriazione di un'eredità interrotta (anche in virtù della sua natura a metà tra remake e reboot), ma non tanto da parte della donna, quanto da parte dei suoi due figli (quindi nipoti di Egon), Trevor e, soprattutto, Phoebe. È infatti proprio lei che inizia ad essere una sorta di alter ego di Jason Reitman sullo schermo. Lei come lui, infatti, nella prima pellicola della saga sequel comincia questa opera di riscoperta della memoria, riesumando letteralmente il passato sotto forma del fantasma dello scienziato, del ritorno sulla Terra del famigerato Gozer (il villain del primo Ghostbusters del 1984) e, infine, la ricomparsa sulle scene dei restanti acchiappafantasmi originali.
Un'ottima operazione la cui bontà nasce soprattutto dall'aver costruito un percorso credibile e potenzialmente espandibile che non parla più di un gruppo di nerd ai margini degli Stati Uniti dell'epoca reganiana, che provavano a sbancare il lunario, ma di ricomposizione familiare dal punto di vista di coloro che quei nerd li hanno amati e ammirati e che ora vogliono seguirne le orme non escludendoli dal discorso, ma, anzi, coinvolgendoli e tenendoli per mano. Un invito meta cinematografico per unire vecchio e nuovo fandom, insomma.
Le insidie del passato
Queste conclusioni si fanno premessa di Ghostbusters: Minaccia Glaciale, che vede la famiglia Splenger (allargata per altro, un chiaro segno di modernità) comporre una nuova squadra di acchiappafantasmi a tutti gli effetti, facendo ritorno alla immortale caserma dei pompieri di New York grazie all'aiuto di Winston Zeddemore, divenuto milionario finanziatore di una nuova squadra di ricerca sul paranormale. Come vedete: ancora una volta vecchio e il nuovo che vanno a braccetto verso il futuro.
Stavolta però la pellicola affronta l'elaborazione del lutto parlandoci dei pericoli del vivere nel passato, il quale può portare il presente a morire a sua volta. La bellissima poesia di Robert Frost con cui si apre la pellicola diretta da Gil Kenan può essere letta proprio secondo questa ottica, quindi forse è meglio morire bruciati dalla passione e dall'amore di ciò che è stato, anche se questo può voler dire liberare i vecchi fantasmi. In quest'ottica cambia quindi la prospettiva su come il vecchio e il nuovo devono convivere.
Un discorso che fa da eco al momento del percorso che vede sempre protagonista Callie. Un percorso segnato dall'adolescenza e dalla scoperta di se stessi lontano dal nucleo famigliare. Il fantasma che la giovane incontra è, stavolta, la rappresentazione del fuoco all'interno della pellicola, lo stesso che poi interverrà nel momento in cui le vecchie figure e le vecchie formule non basteranno più per sventare la minaccia di turno. Del resto, nonostante anche questo titolo garantisca un ampio spazio agli omaggi verso i film originali e riservi un posto in prima fila agli acchiappafantasmi in pensione, a determinare il finale sarà proprio una "scintilla" aliena, quella risolutiva anche per il percorso di emancipazione di una giovane ragazza con gli occhiali, appunto alter ego di Jason Reitman. Un messaggio commovente con cui il regista conclude il film dedicato a suo papà.