Non è semplice diventare un cult. O almeno non dovrebbe esserlo. Eppure il termine sta diventando sempre più abusato togliendo valore a chi quel titolo se l'è guadagnato sul campo, conquistando uno spettatore dopo l'altro a colpi di battute e personaggi memorabili, scene da antologia e momenti che abbiano saputo ritagliarsi di diritto uno spazio nell'immaginario collettivo. Siamo a volte troppo frettolosi a definire di culto qualcosa, presi dalla frenesia dei giorni in cui viviamo, ma non è questo il caso, non oggi, non a trent'anni dalla prima americana di due tra i tanti film che hanno caratterizzato gli anni '80 e la gioventù di tanti di noi: Ghostbusters - Acchiappafantasmi e Gremlins.
Un culto è qualcosa a cui ci avviciniamo con fervente passione, rispetto ed ammirazione. Sensazioni che chi scrive si sente per esprimere per entrambi i suddetti titoli, lasciando da parte i meriti cinematografici (che pure, in misura diversa, ci sono e ne accenneremo a seguire) e concentrandoci sui sentimenti. Sul cuore e non sulla mente. Perché in alcuni casi non si può fare altro, bisogna lasciarsi andare e farsi trasportare dalle emozioni, dalla storia, dai personaggi e soprattutto dal ricordo, rinvigorito ad ogni successiva visione ma mai messo da parte, del primo contatto con l'opera. Lasciarsi andare e, per quell'ora e mezza, tornare ragazzi ad ogni successiva visione.
L'inizio di un amore
Trent'anni fa chi scrive ancora non sapeva che la sua vita sarebbe cambiata. Perché è vero che oggi festeggiamo questi due trentennali, ma è ugualmente vero che noi Italiani avremmo dovuto aspettare il 21 Novembre del 1984 per ammirare in sala Ghostbusters. Ed è intorno a quella data che è iniziato l'amore del sottoscritto per quel film e, forse, per il cinema. Il primo film visto in sala, appena dodicenne, senza che fossero i genitori a scegliere ed accompagnare: un piccolo passo per un uomo, un grande passo per un cinefilo. Ma è anche il primo film imparato letteralmente a memoria, anni dopo grazie ad innumerevoli visioni in VHS. Non lo diciamo per essere nostalgici, né vogliamo raccontare egocentrici personalismi. Se abbiamo scelto di parlarne in questi termini, lasciando da parte un approfondimento puramente cinefilo che poco avrebbe aggiunto a quanto già si è detto su questi film e su quel cinema, è perché sappiamo che si tratta di sentimenti ed emozioni condivise da tanti che in quegli anni sono cresciuti ed hanno imparato ad amare la settima arte.
Il cinema dei sogni
Quanti di voi hanno sognato di scivolare lungo la pertica della centrale dei Ghostbusters, indossare lo zaino protonico e, stando attenti a non incrociare i flussi, collaborare con loro per sterminare le più temibili infestazioni ectoplasmatiche? Chi non avrebbe dato qualunque cosa per girare lungo le strade di New York a bordo della Ecto-1, l'auto d'ordinanza degli Acchiappafantasmi ricavata da una vecchia ambulanza della fine degli anni '50? O avere un piccolo Mogwai da coccolare e accudire, possibilmente cercando di non nutrirlo dopo la mezzanotte o bagnarlo accidentalmente con l'acqua? Sogni e un cinema capace di crearli, instillandoli nei suoi spettatori, in quelli dell'epoca e nei tanti che da allora l'hanno potuto apprezzare. Questo perché molti dei film di quel periodo hanno saputo cavalcare i decenni e restare immutabilmente efficaci anche agli occhi più smaliziati del pubblico dei decenni successivi. Se questo è vero in parte per Gremlins, che a trent'anni di distanza mostra i segni del tempo, lo è senza alcun dubbio per Ghostbusters, un film che dimostra di saper comunicare con il pubblico ancora oggi.
L'importanza della semplicità
C'è un elemento che caratterizza Ghostbusters, Gremlins ed altri film che hanno segnato il cinema fantastico e per ragazzi di quegli anni: l'immediatezza, una spontaneità (ingenuità in alcuni casi, se vogliamo) capace di comunicare senza barriere.
Anche in presenza di idee originali e creative, articolate o complesse (nessuno potrebbe sostenere che un film come Ritorno al futuro racconti una storia "semplice"), non mancava mai un lavoro sullo script, sui personaggi e sulle situazioni che rendesse semplice per lo spettatore entrare nella storia e viverla. La semplicità, non intesa come banalità e mancanza di approfondimento, ma come punto di arrivo di un percorso narrativo.
Uno studio, un lavoro, uno sforzo di perfezionamento dovuto anche a mezzi tecnici inferiori a quelli odierni, che "costringevano" gli autori a concentrarsi sul coinvolgimento più che sullo stupore e lo spettacolo, che diventava un accessorio da usare con moderazione, laddove più efficace e d'impatto.
Più della somma delle parti
Restano nella mente i momenti, i dettagli, questo sì: la prima, chiassosa e distruttiva, cattura di un unità ectoplasmatica, il sopralluogo di Venkman a casa di Dana, il gigantesco, morbidissimo e letale uomo Marshmallow a spasso per New York... Potremmo elencare ogni singola sequenza di Ghostbuster, ogni singola battuta (e, come detto prima, saremmo capaci di citarle una per una) ma il tutto, l'insieme, avrà sempre un valore più grande della somma delle stesse in un film che non si affida alle singole idee per colpire lo spettatore, ma ad un lavoro organico ed eterogeneo. Lo stesso vale per Gremlins, l'altro festeggiato di questa giornata, che va oltre gli occhioni e la tenerezza di Gizmo e, per contrasto, l'entusiasta cattiveria delle sue controparti, in uno script firmato Columbus a cui Joe Dante ha saputo dare il giusto tono per conquistare il pubblico di un'intera generazione... e di quelle a venire.
Ogni pezzo al posto giusto
Sia chiaro, non sempre questo basta. A volte il caso ci mette la sua rendendo tutto più semplice, a volte tutto va magicamente al posto giusto... anche quando non sembra, anche quando sembra che gli imprevisti stiano rovinando tutto. Come il pezzo stretto e lungo del Tetris (anch'esso trentenne in questi giorni) che arriva proprio quando si ha lo spazio giusto per infilarlo e cancellare di colpo quattro righe. Si fa fatica oggi ad immaginare la prorompente comicità di John Belushi in Ghostbusters, eppure il film era stato scritto dall'amico Dan Aykroyd (anche) per lui e, nella sua prima versione, era molto più ambizioso e "grosso", ridimensionato dalla collaborazione con Harold Ramis e per motivi di budget. Poco resta nel film che tutti amiamo di quella sceneggiatura originale e, visto il risultato, forse è meglio così.
La photogallery: Ghostbusters, quanti ricordi: le foto di un film indimenticabile
L'unicità dei miracoli
Ma quando avvengono queste (s)fortunate serie di eventi, è difficile ripeterle. Lo dimostrano i seguiti di entrambi i film. Lo dimostrano gli infiniti tentativi di riportare i Ghostbusters su schermo per un terzo capitolo sempre più improbabile e, diciamolo, inutile. Lo dimostrano le carriere degli artisti coinvolti nelle due pellicole di cui stiamo parlando: quelli che hanno portato avanti carriere brillanti o interessanti sono quelli che non hanno cercato invano di ripetere il successo dei primi capitoli, di riprodurre il miracolo. Bill Murray ha gradualmente portato la sua carriera su un percorso diverso che prosegue spedito, il compianto Harold Ramis si è distinto come autore (indimenticabile il suo Ricomincio da capo), ma qualcun altro non è riuscito in questa difficile impresa. Pensiamo ad Ivan Reitman, regista dei due Ghostbusters, che si è limitato a dirigere commedie di discreto successo ma relativo interesse, o Chris Columbus che ha smesso di essere autore per mettersi più al servizio delle major (sue le sceneggiature dei primi Harry Potter, per esempio)... o lo stesso Dan Aykroyd, l'unico che ancora insiste per la produzione di Ghostbusters 3. Che ci riesca o meno, che torni o meno a vestire i panni di Ray Stantz, poco importa: non cambierà il valore di quanto fatto 30 anni fa. Noi sappiamo che sarà difficile, che i miracoli raramente si ripetono, ma gli (ci) auguriamo che questa possa essere un'eccezione.