Il film inizia con la preparazione ad una battaglia da parte del clan di Padre Vallon. Tutti coloro che parteciperanno al combattimento stanno affilando le loro armi, una musica imperiosa e ossessiva fa da sfondo all'intera scena, e la macchina da presa guida noi spettatori e Padre Vallon al luogo dello scontro. Arrivati al termine degli scuri cunicoli un uomo butta giù la porta con un calcio, la macchina da presa supera gli stipiti e ci presenta una New York vestita di candida neve.
Dall'altra parte di Paradise Square, ci vengono presentati gli avversari: anch'essi armati fino ai denti, anch'essi pronti a combattere per il dominio di quest'angolo della grande mela.
Fin dagli schieramenti dei due clan la scena ricorda in tutto e per tutto una vera e propria guerra, e quando la battaglia ha inizio noi siamo semplici spettatori, proprio come il figlio di Vallon che osserva da lontano. Arrivano i primi morti, ma il tutto è raccontato in maniera quasi "romantica", con i corpi che appena sfiorati dalle armi piombano a terra, tra la neve. Ben presto il tono della battaglia si farà più duro e con esso la regia di Scorsese più frenetica: non più semplici spettatori siamo proiettati all'interno del combattimento, la macchina presa è meno timorosa di indugiare sui particolari ma anzi non ci risparmia nulla, è una lotta dura e noi ne siamo diretti testimoni, così come ne è testimone il manto innevato, non più bianco e candido, ma roseo del sangue versato.
Terminata la lotta e quello che ne consegue, la macchina da presa si allontana per mostrarci prima il campo di battaglia, poi le case che lo costeggiano, le strade, i quartieri,e infine la città intera, dalla fisionomia così nota. Non ci sono dubbi, anche se è difficile crederlo, siamo veramente a New York.
Gangs of New York, l'ultima fatica di Martin Scorsese, un regista che vanta una filmografia straordinaria e che da sempre ci ha abituato ad una regia ricca di virtuosismi ma mai sopra le righe, è visivamente ineccepibile. Ogni scena, ogni inquadratura è un'opera d'arte, pennellate d'autore che non finiscono mai di stupire. In questo film ci sono sicuramente scene che lasciano senza fiato, come appunto quella della prima battaglia, ma anche scene meno evidenti ma che sono in realtà dimostrazione di una straordinaria capacità tecnica. E' il caso, per esempio, di tutte le scene ambientate a Five Points che trasmettono un senso di inquietudine e frenesia sicuramente adatto ad un quartiere che da solo ospitava migliaia di nuovi immigrati al giorno, o del bellissimo piano sequenza al porto, che comincia con l'osservare i nuovi arruolati per la guerra di secessione dal momento della loro firma, prosegue con altre nuove leve che si equipaggiano, dopo di che la macchina da presa segue uno di loro fin sulla nave che li porterà lontano. Arrivati a bordo la macchina da presa si allontana e "nota" delle bare che vengono scaricate sul molo. Una fila di bare, una fila di soldati che parte per la guerra. Il ciclo è concluso.
E a contrapporsi allo splendido inizio, c'è la splendida sequenza finale: siamo in un piccolo cimitero, dall'altra parte della baia di New York. Sullo sfondo vediamo tutta Manhattan ancora a fuoco per gli avvenimenti dei giorni precedenti. Dopo qualche secondo la scena cambia, e allo stesso tempo rimane uguale. Il tempo trascorre, il cimitero invecchia, le case sullo sfondo si alzano e diventano più imponenti. Il tempo trascorre, il cimitero diventa sempre meno curato, si ergono i primi grattacieli. Il tempo trascorre, il piccolo cimitero è ormai un ricordo abbandonato, il famoso skyline di Manhattan si erge in tutta la sua fierezza. Con tanto di Torri Gemelle, perché, questa volta, il ricordo non ci dovrà mai abbandonare.