Il Torino Film Festival lo ha corteggiato molto in passato perché fosse direttore. Chissà che impostazione gli avrebbe dato, quali selezionatori avrebbe scelto. Con l'attuale staff, non lo rimpiangiamo, data la qualità del festival in toto, però un pizzico di curiosità rimane. Lui, serafico e con il solito sorriso che lo contraddistingue, dice di aver avuto "Una serie di impegni, non avevo proprio la possibilità di occuparmene seriamente. Non è obbligatorio fare il direttore di un festival, come non lo è fare una serie televisiva". Però al TFF Gabriele Salvatores è rimasto affezionato, tanto che quest'anno è il Guest Director ufficiale. E ai cinque film che gli è stato chiesto di scegliere e presentare ha dato il titolo "Cinque pezzi facili", citando un altro dei suoi film preferiti che però non è nella rassegna. Sarebbe stato troppo banale, e poi in pratica è un indicazione di "compiti a casa" per noi.
"Quello che preferisco fra questi titoli è Jules e Jim, ha detto alla conferenza di presentazione. "Mi colpì il libro, la copertina con queste due J... François Truffaut lo scelse emozionalmente, innamorandosi di un suono. Tecnicamente parlando però, il migliore è Blow Up, non c'è un'inquadratura che non sia piena di significante e significato".
Scelte poco difficili
Lo aveva anticipato durante la cerimonia di apertura: scegliere questi cinque film non è stato affatto difficile. Due sono capolavori assoluti, gli altri tre - Se..., Alice's Restaurant, Fragole e sangue - sono gran bei film che hanno fatto di Salvatores il regista che è oggi. Parole sue. "Sono uno strano cinefilo: da giovane vai al cinema magari perché ti innamori di un personaggio e vuoi essere come lui. Ti innamori di come cammina o di qualcosa che indossa. La scoperta del cinema d'autore, italiano in particolare, è avvenuta in un secondo momento".
Ma in questo metodo di selezione, così "di pancia" c'è molto di un autore e della sua storia. Come quando Gabriele spiega la scelta di Alice's Restaurant: "Perché amo molto la musica. Se non avessi fatto il regista, mi sarebbe piaciuto fare il musicista. Il protagonista del film racconta un momento particolare, una voglia di aggregazione tra persone che non trovano un posto preciso nella società e si raccolgono intorno a questa figura femminile inafferrabile. Potete trovare tutto quello che volete nel ristorante di Alice, tranne Alice. Penso che sia un concetto meravigliosamente femminile. Non è vero che l'uomo è cacciatore e la donna è l'angelo del focolare: noi i muscoli li abbiamo per proteggere il volo femminile. La donna è l'angelo, ma l'uomo può farla volare e occuparsi anche lui del focolare".
Poi la sua analisi deraglia verso quello che uno dei suoi temi preferiti: la giovinezza. Perché più passa il tempo e più Salvatores sembra capirla, guardarla con occhio indulgente e vicino. "Se... l'ho rivisto prima di venire qui, è un film importante per me, di una modernità incredibile. La cura con cui sono stati scelti i personaggi... quei volti ti raccontano già tutto Malcolm McDowell è la sfrontatezza, anche pericolosa, che ha la giovinezza a volte. È un film che passa dal bianco e nero al colore senza pensarci due volte. Anderson in un altro film mostra i musicisti che fanno la colonna sonora. Ti ricorda che stai guardando un film, non la realtà. La scena finale sui tetti: McDowell con il giubbotto e il mitra in mano è quasi come la foto del Che Guevara che è rimasta impressa nelle nostre memorie".
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Personalità e opinioni di un autore: nessuna remora a esprimerli
Arrivano le domande e Salvatores non si tira indietro. Sorridente, pacato, ma forse un po' meno misurato del solito. Perché se da una parte è amabile quando dice che gli attori di Jules e Jim "Sono proprio bravi, c'è una capacità impressionante di farti affezionare a loro. Vorrei averli come amici quei due lì, e lei come fidanzata", poi non si contiene quando gli chiedono cosa pensi di Clint Eastwood: "È incredibile: uno così bravo è poi così stupido per le sue dichiarazioni politiche. Come si fa a girare Gran Torino e poi dire che stai con Trump?".
Fa riflettere, detto da uno che ha vinto un Oscar e che di autocritica ne fa tanta: "Faccio un po' fatica a rivedere i miei film: gli errori arrivano sempre allo stesso punto, inesorabili. Non è il teatro. Marrakech express è stato l'inizio di tutto. Turnè parla di due amici innamorati della stessa donna. Riesco a rivederlo senza andare troppe volte a vomitare. Sono legato a un film che piace a pochi: Denti".
E ancora sono i giovani a occupare i suoi pensieri, le sue riflessioni di artista: "La solitudine dei ragazzi è un problema fondamentale. La più grande delusione per me in questi anni è stato Internet. Partito ai tempi in cui giravo Nirvana, credevo fosse un territorio libero, di frontiera, qualcosa da conquistare e con la quale avremmo fatto grandi cose. Invece è diventato un supermercato, uno stadio in cui sfogare rabbie, rancori, invidie. Un bellissimo trucco per farti credere di essere connesso con qualcosa. Non sono passatista, mi piacciono le scoperte tecnologiche, ma bisogna usarle in una certa maniera, altrimenti finisce che ti usano loro. La solitudine non è una scelta, ma un'imposizione. I social network sono veramente pericolosi".
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E allora ci chiediamo cosa abbia in serbo per il sequel che sta già realizzando, quello de Il ragazzo invisibile. Ci racconta che Ludovico Girardello è diventato molto più bravo, un vero attore, che vuole fare il regista di teatro. "I tempi sono più complessi, parla di potere in senso freudiano: se i figli devono usare il potere che i genitori gli hanno lasciato, devono riconquistarlo daccapo". Curiosi di sapere come continua la storia di questo giovane supereroe italiano, se sarà nuovamente crossmediale, e grazie a chi, non riusciamo a strappargli altro che la conferma che uscirà nel 2017. Per sapere qualcosa in più, dovremo seguirlo durante la trentaquattresima edizione del TFF, tra una scena e l'altra dei suoi Cinque Pezzi Facili.