Non possiamo fare a meno, all'inizio della nostra recensione di Fuori era primavera - Viaggio nell'Italia del lockdown, di soffermarci sul poetico titolo di questo documentario collettivo curato dal premio Oscar Gabriele Salvatores e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2020. Un titolo che nasconde tutto il contenuto di questi densi (ma mai noiosi) 75 minuti e che, in tre parole, ci sottolinea un'ovvietà che colpisce in maniera inaspettata. Ricorderemo per sempre i mesi documentati in questo film: noi costretti a rimanere chiusi in casa mentre là fuori, in maniera del tutto naturale, era primavera. Il tempo che sembrava ripetitivo e inconsistente tra le mura domestiche contro il tempo che regolarmente continuava a scorrere, incurante della pandemia, come sempre. Lo riassumono le prime immagini del film, che sembrano naturalizzare l'eccezionale: ci sono gli animali, ci sono gli uomini, c'è il sole e c'è la pioggia, c'è la solitudine e pure la collettività; si alternano le bellezze del mondo e le tragedie, c'è la salute e c'è la malattia. Così funziona il mondo, ciò che cambiano sono solo le reazioni.
La quotidianità rinchiusa
È in quel momento che il vero film comincia: nel silenzio rotto solo dalla sirena di un'ambulanza, nell'immobilità desolante a cui non siamo più abituati. Da quel momento, in ordine cronologico (ma sarà l'unico ordine presente nell'eclettico insieme di clip montate con maestria da Massimo Fiocchi e Chiara Griziotti) saremo costretti a rivivere quella nuova quotidianità rinchiusa tra le mura di casa, quando il 9 marzo l'intera Italia diventò zona rossa. Scelta saggia quella di mettere da parte ogni tipo di commento narrativo o fuori campo e lasciare che sia semplicemente il montaggio delle varie clip, giunte spontaneamente alla produzione attraverso i canali social, a raccontare la storia. Il risultato è un documentario veramente puro, capace di testimoniare storie, emozioni e voci diverse, senza mai perdere di vista il fattore umano. Il film non intende, infatti, lanciare un messaggio politico o fare in modo che lo spettatore sia guidato attraverso un messaggio preciso. Sono la normalità e la quotidianità, comuni a quello che noi stessi abbiamo vissuto, il fulcro del film.
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Eclettismo e diversità
Proprio grazie al pensiero che sta dietro alla realizzazione del film sta il suo maggior pregio e, allo stesso tempo, il suo difetto. La mancanza di un vero protagonista a cui fare riferimento (per quanto ci siano alcune testimonianze che legano i contenuti del film) ci permette di assistere a eclettismo e diversità nello stile e nei toni. Momenti più divertenti e rilassati, spesso con protagonisti bambini, vengono alternati alla fatica degli operatori medici; feste di compleanno arrangiate e particolari si mischiano a riprese ambientate nei reparti di terapia intensiva; nascite avvenute in periodo di lockdown si contrappongono alle immagini tragiche di Bergamo. Il risultato è un film che racconta davvero ogni sfumatura, dalla più delicata alla più pesante, senza paura di nascondere o abbellire la cruda realtà: in una parola, racconta la vita. Allo stesso tempo, però, è anche il maggior difetto del film. Non sempre le clip sembrano avere quella sincerità che spesso invece si nota ed è presente; alcune testimonianze sembrano eccessivamente caricate e ragionate per poter essere selezionate e finire nel montaggio finale. In quei (pochi) casi il rischio è quello di smarrire lo spettatore e creare un corto circuito che mette in crisi l'attenzione e la coesione del film.
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Il valore della memoria
Non possiamo, però, soffermarci su questi difetti chiaramente inevitabili data la natura stessa del documentario quando, non solo alla fine, ma anche durante, lo scorrere dei minuti, ci ritroviamo ad emozionarci o, semplicemente, a riflettere su quanto abbiamo vissuto (e che purtroppo, seppur in maniera diversa, stiamo vivendo tutt'ora). Fuori era primavera si riappropria delle caratteristiche più pure dell'arte cinematografica e, ancora prima, della fotografia. Più che un film, quest'opera collettiva ricorda a tutti noi il valore della memoria, diventa un documento da tramandare e che, forse, in questo momento è addirittura troppo fresco per poter essere visto con occhi migliori. C'è chi ha perso il proprio caro, chi è stato costretto a laurearsi attraverso Skype, chi canta sul terrazzo, chi fa fatica ad alzarsi dal letto la mattina. Non si può fare a meno di provare un minimo di empatia e riconoscere, al di là delle diverse emozioni, che tutto quello che abbiamo fatto e stiamo guardando sul grande schermo è un modo di superare vari gradi di dolore.
Conclusioni
Al termine della nostra recensione di Fuori era primavera, anche se il film procede in maniera un po’ altalenante e non tutto ci convince, non possiamo fare a meno di rimanere colpiti dal documentario curato da Gabriele Salvatores. È un viaggio che tenta di esorcizzare l’eccezionale e indimenticabile primavera del 2020 italiana e lo fa attraverso tantissime voci di gente comune che, insieme, costruiscono un universo del tutto naturale, composto da piaceri e sofferenze. Montato in modo tale da risultare coeso e sempre interessante, il film si rimette agli occhi dello spettatore, unico destinatario possibile che può scegliere di empatizzare, ricordare e ritrovarsi.
Perché ci piace
- Le varie voci, tra le più disparate e diverse, trovano un mondo coeso grazie al lavoro di montaggio.
- Evita riferimenti politici e messaggi univoci, dimostrandosi universale e alla portata di tutti.
- Non nasconde le vicende più dolorose e sofferenti per ricreare un’immagine edulcorata della pandemia.
- Grazie alla sincerità delle immagini, il film diventa un documento alla memoria di quanto vissuto.
Cosa non va
- L’eclettismo di voci genera inevitabilmente un tono altalenante.
- Raccontando vicende di qualche mese fa, il film potrebbe risultare troppo fresco e immaturo agli occhi di qualche spettatore.