Dawid, soprannominato Diego, è cresciuto in una zona periferica e fin da quando era piccolo ha vissuto a stretto contatto con la criminalità, data anche la scomoda eredità paterna. Nell'adolescenza ha trascorso a mesi alterni periodi in riformatorio e ha collezionato molte denunce da parte delle forze dell'ordine, la maggior parte delle quali per spaccio di droga. Il ragazzo ha il grande sogno di sfondare nel mondo della musica rap, ma è sempre a corto di soldi e non riesce a trovare i finanziamenti per registrare e pubblicare il suo primo album.
Come vi raccontiamo nella recensione di Freestyle, come se non bastasse ha una relazione clandestina con una la bella Mika, anche se questa è già impegnata con il figlio di un altro pericoloso gangster locale, che negli ultimi tempi sta sospettando un potenziale tradimento. Un giorno Diego si trova in compagnia del suo amico drogato Flour e fa la conoscenza di un piccolo narcotrafficante slovacco, che gli propone di smerciare due chili droga oltreconfine. Inutile dire che l'aver accettato l'offerta non farà altro che scaraventare il protagonista in un mare di guai...
Canta che ti passa
Il sottobosco della cultura rap viene qui esasperato all'ennesima potenza in questa produzione Netflix che ci accompagna alla scoperta di una gioventù ben più che bruciata, letteralmente allo sbando e senza modelli da seguire, schiava di un microcosmo criminale dal quale non sembra esserci via d'uscita. Non soltanto per il degrado che circonda gli obnubilati protagonisti, ma anche per la loro incapacità di cambiare e uscire da suddetti schemi, andando a cercare sempre la soluzione più semplice ma anche più pericolosa. Senza districarsi in toni moralistici di sorta, Freestyle non convince nella sua forma filmica perché non riesce a dar vita a personaggi credibili con cui identificarsi: Diego è mosso unicamente da una rabbia primigenia, per la serie "o fotti o sarai fottuto" e le sue scelte non sono all'insegna di una potenziale catarsi ma bensì di un'ulteriore, voluta, discesa nell'inferno.
Un mondo allo sfascio
Una figura priva di sfumature che d'altronde si muove in un contesto altrettanto desolante, dominato dalla violenza e dal denaro: giovani e vecchi, uomini e donne, tutti uniti da una sola costante, tra feste selvagge in discoteca e riunioni a sfondo criminale di vario genere. Lo stesso discorso musicale lascia il tempo che trova, con un paio di canzoni i cui testi sono rigurgiti contro tutti e tutti, all'insegna di una distruzione della società e del quieto vivere che però non trova adeguato sfogo e ragione in quanto effettivamente raccontato. Questa produzione polacca si rivela fallace nelle sue dinamiche di genere, con sussulti d'azione mai coinvolgenti, e altrettanto stanca nelle atmosfere tensive, con improbabili tentativi di fuga - a un certo punto la coppia adulterina pensa di scappare a Milano - e una resa dei conti finale che si risolve in maniera tanto provvidenziale quanto inverosimile, con tanto di epilogo che lascia aperte le porte a un non auspicabile sequel.
Le vie dell'odio
Il regista e sceneggiatore Maciej Bochniak ha una certa esperienza nel campo della musica, dato che in carriera aveva firmato tra gli altri il documentario Ethiopiques: Revolt of the Soul (2017), incentrato sulle sonorità di origini etiope che avevano influenzato le origini del jazz, ma qui non riesce a catturare la forza più liberatoria del rap, limitandosi ad un approccio superficiale e gratuito che finisce ben presto per stancare, rendendo molto più pesanti del previsto i novanta minuti di visione. Il protagonista Maciej Musialowski, altrove ottimo - recuperate sempre su Netflix il teso thriller sul lato oscuro dei social network The Hater (2020) - qui è schiavo di un personaggio monodimensionale, che si muove su un binario prestabilito e lontano da variazioni di sorta.
Conclusioni
Un giovane cantante rap dal passato criminale finisce nei guai dopo aver accettato di spacciare della droga per un gangster slovacco. Si troverà in una disperata corsa contro il tempo per recuperare il denaro necessario, mentre deve vedersela con vecchi e nuovi nemici e situazioni impreviste. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Freestyle, questa produzione polacca ci trascina in un sottobosco criminale senza speranza, dove il protagonista cerca un'ipotetica via di salvezza attraverso la musica. Peccato che nell'ora e mezzo di visione non vi sia un percorso catartico o liberatorio di sorta, ma anzi venga trascinato in una spirale di violenza apparentemente senza fine, messa in scena in maniera anonima e con un cast dal taglio involontariamente caricaturale a dar vita a personaggi che più negativi non si può, in un'esasperazione che porta a noia già dopo pochi minuti.
Perché ci piace
- Niente da segnalare.
Cosa non va
- Il ritratto desolante di una certa gioventù completamente allo sbando.
- Tensione assente e dinamiche action mal calibrate.
- Un cast che non convince.
- Sceneggiatura a senso unico.