25 anni fa, chi scrive aveva da poco scoperto i Queen e pensava nel suo giovanile ottimismo che da quel momento in poi avrebbe comprato tutti i loro dischi dopo Innuendo. Il 24 Novembre del 1991, capì che avrebbe dovuto guardare al passato piuttosto che al futuro per continuare a seguire quella band britannica composta da Brian May, John Deacon, Roger Taylor e, ovviamente, Freddie Mercury. Un passato che, per fortuna, si estendeva per un paio di decadi ed era ricco di album, video e, cosa che ci interessa in modo particolare, qualche colonna sonora. Un passato così ricco e variegato da sembrare impossibile che Freddie fosse ancora così giovane.
Aveva infatti solo 45 anni quando l'AIDS l'ha portato via in quel giorno di novembre, eppure la vita di Freddie Mercury è stata ricca e intensa, mutevole, eccentrica, esuberante senza mai sfociare negli eccessi (auto)distruttivi di tanti colleghi che sfoggiano con orgoglio un'anima rock e trasgressiva. In quei 45 anni, pur nelle sue stravaganze, Freddie è stato un uomo riservato, mite e forte, che ha affrontato gli ultimi tempi della sua esistenza con orgogliosa eleganza. Come molti altri colleghi portati via prima che l'età ne segnasse l'aspetto, di Freddie Mercury preserviamo un'immagine cristallizzata, eternamente giovane, ma non per questo ripetitiva o monotona: dai capelli lunghi e lo smalto nero degli esordi ai baffi e la giacca di pelle gialla degli ultimi live, il look del frontman dei Queen è stato un'installazione d'arte a sua volta, uno degli aspetti che ha reso la sua band stabile e duratura, classica e innovativa, permettendole di cavalcare la scena musicale per due decenni, ed oltre. Perché per qualcuno la morte non è la fine.
The Show Must Go On
Lo spettacolo, d'altra parte, doveva continuare. Lo ha cantato con cristallina purezza con le sue ultime energie, per chiudere quell'album, Innuendo, che aveva anticipato di pochi mesi la sua scomparsa. Uno spettacolo che era iniziato a Zanzibar ma che poco a poco aveva rinunciato alle sue ascendenze parsi ed indiane: il cambio da Bulsara a Mercury è indicativo di un'atteggiamento, un'intenzione, una volontà di grandezza, di qualcuno che pensa di avere un messaggio importante da comunicare al mondo e che per questo sceglie come nome quello del messaggero degli dei. Un messaggio che è parole, note, immagini, perfettamente integrate in un approccio che è stato ben più avanti dei suoi tempi, che cominciava a prendere forma già dal primo logo dei Queen, disegnato in prima persona avvalendosi delle sue attitudini nelle arti grafiche e integrando i segni zodiacali dei membri del gruppo, e proseguiva in una ricerca stilistica e visiva che andava ben oltre quella dei suoi contemporanei.
Animale da palco, anche virtuale
Non stupisce che, anche e soprattutto grazie a Freddie, i Queen siano stati precursori dell'arte del videoclip che negli anni a seguire sarebbe diventata una consuetudine. Leggenda vuole che quel gioiello che risponde al titolo di Bohemian Rapsody sia tra i primi video prodotti, realizzato per rappresentare la band e il singolo in una trasmissione a cui non avrebbero potuto prendere parte. Se è vero che dal vivo Freddie Mercury e i suoi Queen erano perfetti animali da concerto, con il cantante capace di riempire con i suoi spostamenti continui e inarrestabili palcoscenici smisurati come quello del celebre Live at Wembley, è altrettanto vero che con i video dei singoli più famosi si è costruita un'immagine accattivante e poliedrica della band e del loro immaginario. Pensiamo alla semplicità di We Will Rock You o Crazy Little Thing Called Love, al citazionismo cinematografico di Radio Ga Ga che omaggia la distopia di Metropolis, fino ad arrivare all'autoironia di I Want to Break Free e la folle eleganza del bianco e nero di I'm Going Slightly Mad. Istantanee di un'anima e un artista in continua evoluzione.
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Una specie di magia
Un'evoluzione che passa ovviamente anche per il cinema (e che al cinema tornerà nell'annunciata biografia, dopo esserci passato negli ultimi tempi con uscite evento dedicate ai loro concerti). Non abbiamo volutamente citato A Kind of Magic, Princes of the Universe o Who Wants to Live Forever perché dobbiamo farlo ora, nel raccontare l'aspetto della personalità artistica di Freddie Mercury più vicina a quello che è il nostro mondo: il lavoro per il grande schermo. Ci avevano già provato nel 1980 per il Flash Gordon di Mike Hodges, ma non era certo la colonna sonora composta dalla band il principale limite di quel film che trasudava anni '80 ed una voglia di fantascienza inconciliabile con i mezzi del periodo. Ci erano tornati nel 1986 per accompagnare l'affascinante Highlander - L'ultimo immortale di Russell Mulcahy e l'hanno fatto in grande stile, non solo perché le cinque canzoni composte per il film contribuiscono a rendere suggestiva e ammaliante l'idea del regista, funzionando anche come pure e semplici canzoni dei Queen, ma perché rappresentano una visione di multimedialità che oggi ci sembrerebbe normale ma che era assolutamente rivoluzionaria nel 1986, passando in modo trasversale dal film all'album A Kind of Magic della band ai video diretti dallo stesso Mulcahy.
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Chi vuole vivere per sempre?
È da brividi il testo di Who Wants to Live Forever?, lo è soprattutto ascoltato col senno di poi, di un artista che di lì a cinque anni ci sarebbe stato portato via. Eppure dal quel giorno del 1991 ad oggi Freddie Mercury è stato più vivo che mai, nell'album postumo Made in Heaven, nel toccante tributo dell'aprile del 1992, ma soprattutto nelle tante occorrenze della sua musica al cinema e in televisione: dalla folle scena di Fusi di testa a ritmo di Bohemian Rhapsody ad Anne Hathaway che canta Somebody to Love e all'impagabile scena de L'Alba dei morti dementi - Shaun of the Dead sulle note di Don't Stop me Now, potremmo citare decine di film o serie che hanno fatto ricordo alle musiche di Mercury e i suoi Queen. Per uno che si chiede chi voglia vivere per sempre, è un bel modo per diventare eterno.