Ci vuole arte anche nel profanare tombe. Ci vuole maestria anche nell'assemblare cadaveri e ridare vita a ciò che era ormai morto e sepolto. Ce lo ha insegnato quella meravigliosa, stramba e folle creatura di nome Frankenstein Junior (che potete recuperare in streaming nel catalogo di Infinity), un sapiente impasto di vecchio cinema ricomposto da un Mel Brooks in stato di grazia. Un esperimento cinematografico fuori di testa e allo stesso tempo studiato in ogni minimo dettaglio, che ha ridefinito il concetto di parodia attraverso una comicità immortale.
Nato da una felice intuizione di Gene Wilder, che con Brooks aveva già lavorato in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, Frankenstein Junior è una perla rara, un lampo di genio che ha usato come si deve sia il tempo che il mito. Rispettando il cinema degli anni Trenta e allo stesso tempo rivoltando come un calzino il romanzo di Mary Shelley, Brooks si è servito di tutto quello che lo aveva preceduto per rimescolare le carte in tavola. Dal suo laboratorio creativo è emersa un'ispirata via di mezzo tra il tributo cinefilo e la rilettura brillante. Con un'ironia sagace in sottofondo, che non sfocia mai nello scurrile, Frankenstein Junior è un magistrale sberleffo che dentro la sua bufera comica non dimentica di elogiare la diversità e il coraggio di rivisitare il passato senza timori reverenziali. Perché se la storia di Frankenstein è talmente nota da essere diventata canonica, l'estro di Brooks e Wilder incarna il guizzo un po' anarchico di chi va controcorrente. E rischiando, finisce col sorprenderci tutti.
Arrivato nei cinema americani il 15 dicembre del 1974, l'apice di Brooks è ancora in forma smagliante e porta i suoi 45 anni con la disinvoltura dei grandi cult. Un fascino eterno di cui abbiamo parlato anche in Cult - I film che ti hanno cambiato la vita, il nuovo libro targato Movieplayer. Oggi, tra nitriti di cavalli e ululati di lupi, celebriamo un film che poteva essere fatto solo peggio di così. No, non poteva andare meglio. Con buona pace della pioggia.
Si può rifare!
Ci sono registi che diventano apprezzati inventori. Pazzi, folli, allucinati. E grandi proprio perché imprevedibili. Mel Brooks risponde a questo identikit. E per questo immaginiamo il suo studio come un grande laboratorio pieno di provette, ampolle e misurini maneggiati con estrema cura e consapevolezza. Un luogo in cui il buon Mel ha trovato la formula magica per mescolare alla perfezione l'omaggio e la parodia senza limitarsi all'omaggio e alla parodia. Mai soffocato dai suoi riferimenti, Frankenstein Junior assomiglia davvero alla creatura riportata in vita dal grande scienziato di Mary Shelley: una fusione di brandelli provenienti dal passato, sapientemente rimessi insieme per dare vita a qualcosa che è molto più della somma delle sue parti.
Nasce così un film unico nel suo non-genere, che quarantacinque anni fa ha saputo rivisitare il romanzo gotico e il cinema classico con un invidiabile brio. Frankenstein Junior nel suo strizzare l'occhio al mitico Frankenstein di James Whale ci dimostra la profonda cinefilia di un regista che conosce alla perfezione la grammatica del cinema di genere: il ritmo, la fotografia, le inquadrature studiate al millimetro, le musiche, la scenografia curata nei minimi dettagli. Nel film di Brooks tutto trasuda amore cinefilo per quel cinema degli anni Trenta ormai sepolto ma non dimenticato. Senza crogiolarsi nell'omaggio nostalgico, Frankenstein Junior usa un linguaggio vecchio per dire qualcosa di nuovo. E non è un caso che lo stesso Frankenstein si scriva come quello antico, ma si pronunci in maniera diversa. In rispetto del mito ma senza soggezione.
Tempesta comica
Ridere sguaiatamente ma con stile è possibile. Essere irriverenti senza perdere di vista il garbo non è un'utopia. Si può fare! La grandezza di Frankenstein Junior risiede soprattutto nella rara genialità di una sceneggiatura in cui la comicità è declinata in ogni sua forma possibile. A rimanere impresse a fuoco nella storia del cinema, ovviamente, sono stati soprattutto le battute mitiche, i giochi di parole raffinatissimi (qualcuno ha sentito ululare?) e gli equivoci linguistici inventati da un paroliere-prestigiatore assai in vena. Però, nella tempesta comica di Brooks la risata tocca più livelli, salendo su ogni piano di quel lugubre castello in Transilvania. Se in vetta troviamo gustosi calembour, più in basso ecco anche momenti di delirante no sense (qualcuno ha sentito nitrire?) e tanti siparietti di puro slapstick che rievocano alla perfezione le dinamiche del cinema muto. Ancora una volta Brooks dimostra la sua predilezione per la commistione. Questo film è talmente perfetto nell'amalgamare pezzi diversi che sarebbe piaciuto anche al vero dottor Frankenstein.
Alchimia perfetta
La forza comica di Frankenstein Junior è una valanga che rischia di coprire tutto il resto. Di dare per scontato aspetti che scontati non lo sono affatto. Perché Brooks ha dato forma a un cult in cui al fianco della battuta fragorosa c'è anche spazio per tanta raffinatezza. A partire dalla ricercatezza scenografica, con quell'ambientazione avvolgente che ricostruisce per filo e per segno (con oggetti di scena rimessi al loro posto) il set del film di Whale, Frankenstein Junior vanta una straordinaria eleganza formale nella messa in scena. Brooks soffia sul grande libro del cinema e rispolvera un gusto estetico retrò con una fotografia in bianco e nero d'alta scuola e un uso sapiente dei suoi grandi attori. Come maschere teatrali grottesche, i volti Gene Wilder e Marty Feldman (indimenticabile nei panni di Igor) danno forma a personaggi surreali, grotteschi, i cui occhi brillano, vibrano, sembrano quasi tridimensionali. Frankenstein Junior è un film fatto di occhi grandi che scrutano lo spettatore, sguardi spalancati come i nostri ogni volta che ci troviamo davanti a questo folle esperimento cinematografico che, col tempo, assume sempre più le sembianze di un miracolo. E perdonateci se lasciamo per ultimo il nostro applauso a un doppiaggio italiano certosino sia nell'adattamento (di Mario Maldesi) che nella recitazione al leggio (Oreste Lionello su Wilder è mimesi pura). Un doppiaggio che non solo ha mantenuto intatti i giochi di parole di Brooks, ma ogni tanto è riuscito persino a migliorarli. Per informazioni, rivolgersi ululì.