Franco Nero è una delle ultime icone del "genere" che ha fatto grande il cinema italiano nel mondo negli anni '60 e '70, ma è anche un attore versatile che si è misurato con ruoli e registi diversi. Alla soglia degli 82 anni la sua carriera vanta un ventaglio di collaborazioni con autori quali Marco Bellocchio, Elio Petri, Antonio Pietrangeli, Damiano Damiani, Luis Bunuel, Claude Chabrol, Rainer Fassbinder, Franco Zeffirelli e John Huston, solo per citarne alcuni. Nonostante la sua fama globale, Franco Nero rimane una persona schietta, con idee chiare sul cinema che esprime senza tanti giri di parole. Ne è una testimonianza l'incontro col pubblico livornese al FIPILI Horror Festival 2022, che la star di Django ha inaugurato presentando il suo libro Django e gli altri. Molte storie, una vita.
"Appartengo a una generazione che amava sognare gli attori sullo schermo" esordisce Franco Nero, motivando la sua proverbiale riservatezza. "Non sapevamo niente di loro, Paul Newman, Burt Lancaster... non ho mai voluto parlare del mio privato, e sono uno dei pochi attori che ha rifiutato di fare la pubblicità. Se faccio la pubblicità della carta igienica come faccio a far sognare il pubblico?". Anche scrivere un'autobiografia è stata una scelta ponderata: "Quando Rai Libri mi ha chiamato per propormi il libro, la prima risposta è stata no. Ma poi ho pensato che, giunto a questa età, vorrei che il pubblico sapesse qualcosa di me. Sono uno dei pochi attori che ha lavorato in 30 cinematografie differenti. Ho avuto una vita incredibile".
L'incontro con John Huston
La passione per la recitazione ha accompagnato l'adolescenza di Franco Nero a Parma, dove si adoperava per organizzare spettacoli per studenti. "Ero bravo negli sport, mi piaceva recitare e cantare, avevo messo su una band chiamata Hurricanes. Cantavo in inglese inventandomi le parole". Il trasferimento a Roma, durante il servizio militare, è stato determinante per la sua carriera da attorie, ma c'è un incontro molto speciale che ha permesso al giovane Nero di spiccare il volo: "Facevo l'aiuto fotografo per mantenermi. Un giorno un fotografo mi ha scattato dei primi piani che sono finiti sulla scrivania di John Huston e lui mi ha voluto incontrare. Col suo vocione mi ha detto 'Spogliati', ero imbarazzato, sono rimasto solo con gli slip. Lui mi guarda e poi fa 'You can go'. Dopo 4 giorni mi chiamano e mi offrono il ruolo di Abele ne La Bibbia".
John Huston ha preso Franco Nero sotto la sua ala protettrice, gli ha insegnato l'inglese e gli ha regalato dei dischi di Shakespeare che gli hanno permesso di imparare la lingua foneticamente, finendo per ottenere il ruolo di Lancillotto in Camelot di Joshua Logan. Uno de film più costosi della storia sul sui set Nero ha incontrato la futura moglie Vanessa Redgrave. "Tutti i registi riconoscevano che la mia era una bellezza americana, il mio aspetto e l'inglese appreso dai dischi donati da Huston mi hanno permesso di accedere a ruoli internazionali" ricorda l'attore.
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Un pistola per Django
Ma c'è un'altra pietra miliare, stavolta tutta italiana, che ha segnato la carriera di Franco Nero. Il 24 dicembre 1965 si batte il primo ciak di Django, western di Sergio Corbucci. "C'era un freddo incredibile, giravamo nelle paludi: Corbucci mi ha fatto perfino immergere in una scena che mi ha fatto finire in ospedale mezzo assiderato. Giravamo in un villaggio pieno di fango. Un giorno Corbucci chiama Sergio Leone e lo invita sul set. Lui viene, mi guarda e dice 'Me sa che hai fatto tredici'".
Se Leone è il padre dello spaghetti western, per Franco Nero Sergio Corbucci è senza dubbio il padrino. L'attore lo ricorda come un uomo deciso, inflessibile, ma anche amante degli scherzi. "Stavamo girando una delle scene in cui trascino la bara nel deserto. Corbucci mi dice di continuare a camminare, io vado avanti fino a uscire dall'inquadratura e proseguo. Nessuno mi dava lo stop, così a un certo punto mi sono fermato perché non sapevo più dove andare. Torno indietro e se n'erano andati via tutti. Questi era uno degli scherzi di Corbucci".
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La follia di Quentin Tarantino
Molti anni dopo, la fama di Franco Nero nel western all'italiana gli frutterà l'ammirazione di Quentin Tarantino. Come ricorda Nero, "Quentin ha dichiarato per anni che voleva conoscermi perché ero il suo mito. Quando è venuto a Roma a presentare Bastardi senza gloria, Castellari ha fatto da tramite e ha organizzato un pranzo. Quando mi ha visto, Tarantino mi ha abbracciato e ha cominciato a raccontarmi la sua storia, recitando a memoria i miei film che guardava nel videonoleggio in cui lavorava da adolescente. Li conosceva tutti. L'incontro è stato incredibile. Poco tempo dopo vado a New York a girare Law & Order - Unità vittime speciali e Quentin mi fa leggere lo script di Django Unchained, ma vedo che purtroppo per me non c'è nessun ruolo adatto, anche se Quentin mi voleva a tutti i costi".
Franco Nero lancia un'idea per un cameo in cui si rivela che lui è il padre di Django/Jamie Foxx, ma Tarantino non è convinto: "'Un figlio nero... al cinema non funzionerà' ribatte. Dopo un mese e mezzo ero a Los Angeles. Quentin mi raggiunge dalla Louisiana, dove stava girando, facciamo colazione al Beverly Hills Hotel e dopo molte insistenze è riuscito a convincermi ad accettare il cameo che aveva in mente per me".
Il futuro del cinema... e di Django
L'attenzione al cinema di genere non svanisce, anzi, è più viva che mai. Dopo l'anteprima alla Festa del Cinema di Roma, è in arrivo una nuova serie su Django, con Matthias Schoenaerts a cui ha partecipato lo stesso Franco Nero: "L'anno scorso dovevo fare un film chiamato Django Lives, cancellato per via della pandemia. Un giorno mi chiama Riccardo Tozzi di Cattleya e mi propone la serie. Voleva farmi fare una partecipazione. Dopo 5 mesi ho accettato, ma a una condizione: che il mio ruolo fosse concentrato in una settimana di riprese. Abbiamo girato in Romania. La serie è costata 50 milioni di euro, 5 milioni a episodio, non ho mai visto un tale spreco di denaro. Io interpreto un prete americano, spero che nella versione finale abbiano cambiato la mia nazionalità perché il mio accento, in inglese, è molto forte. Ma la mia impressione è che Francesca Comencini del West non ne sappia molto".
Con una carriera come la sua, Franco Nero ha pochi rimpianti. Tra i film che avrebbe voluto interpretare cita Gorky Park e tra gli autori Steven Spielberg. "Lo conosco bene" spiega. "Stavo comprando i diritti di Schindler's List, quando lui mi ha battuto sul tempo. Allora ho chiamato il mio amico Harrison Ford, che stava girando Indiana Jones, e gli ho chiesto di dire a Spielberg che Schindler lo volevo interpretare io. Alla fine il film lo ha fatto, ma dieci anni dopo". Dopo aver ricordato Elio Petri, "il miglior regista italiano, capace di girare dieci film completamente diversi l'uno dall'altro, come Kubrick", Nero aggiunge però che, a suo parere, "i migliori registi sono gli attori perché hanno una miglior percezione di ogni aspetto del set". Il divo ci saluta con uno sguardo pessimistico sul presente. "Oggi il cinema è stato rovinato dalla tv. Chi fa cinema lo fa in funzione della tv, ma io continuo ad amare la sala perché c'è un maggior rispetto per il lavoro di chi fa film, c'è sacralità, la tv la guardi facendo altro. Così si perde la magia".