Potremmo dire che se non hai un universo condiviso, non sei nessuno. È sostanzialmente questo il succo che è emerso da uno dei panel più stimolanti dell'AVP Summit in Calabria, organizzato per fare il punto sullo stato dell'arte dell'audiovisivo, tra cinema e tv, streaming e sala. Wayne Garvie, Presidente della Produzione Internazionale di Sony Pictures Television, è il nome dietro alcuni grandi successi degli ultimi anni come The Crown e Sex Education, ha raccontato che il trucco per essere innovativi secondo lui è "credere in ciò che si fa soprattutto quando non ci credono gli altri". Non è facile ovviamente "ma questa è la situazione e bisogna imparare ad accettarlo". Lui è uno dei responsabili di quella che fu la New Era della BBC con titoli come Top Gear, Doctor Who e Strickly Dancing che è diventato Dancing with the Stars, venduto in 60 Paesi nonché il reality più di successo della storia.
Dal Gattopardo al Decamerone
"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Nientemeno che da una famosissima citazione de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che sta per diventare un'ambiziosa serie tv per Netflix, parte l'interessante analisi di Wayne Garvie. L'industria televisiva è drasticamente cambiata con l'avvento delle piattaforme streaming e come tutto nell'audiovisivo è in costante evoluzione ogni giorno, ogni ora. Siamo letteralmente sopraffatti dalla bulimia dell'offerta seriale. "La golden age della tv non solo è già arrivata, ma se n'è anche già andata" scherza Garvie, riassumendo tragicomicamente la situazione. Con la pandemia e la pressione sempre più forte da parte delle produzioni, che devono monetizzare e rientrare dei costi - si tratta pur sempre di un'industria, all'estero e nel mondo anglosassone in particolare questo è molto più chiaro e sentito - i reality si sono fatti largo anche sui servizi streaming.
Tre ere della tv
Secondo Garvie ci sono state tre epoche in 70 anni di televisione, l'ultima delle quali è iniziata quando Netflix ha acquistato Breaking Bad nel 2010 per la distribuzione fuori dagli USA, dove è andata in onda su AMC, creando il primo fenomeno di passaparola del colosso dello streaming. Ora con il proliferarsi della tecnologia dopo quello di internet, secondo il produttore, siamo di fronte ad una quarta potenziale Era - secondo lui "d'oro per quanto riguarda i contenuti". "Se 20 anni fa ci avessero detto che avremmo realizzato serial con budget da film hollywoodiani in grandi produzioni e disponibili immediatamente in tutto il mondo con tutti i loro episodi non ci avremmo creduto: si è trattato di un vero e proprio nuovo modello di business".
The Hollywood Reporter ha dichiarato un mese fa che la Peak TV è morta e che ora si dovrebbe chiamare Peak IP. L'Europa e specialmente l'Italia pensano (o vogliono) che stia morendo. Eppure la tragedia greca, da cui in un certo senso è iniziata la narrazione catartica seriale, continua a ritornare sotto nuove forme e derivazioni, come una riscrittura continua delle favole con cui siamo cresciuti o che vengono tramandate di generazione in generazione. Un tempo si diceva che se Atene fosse crollata, sarebbe crollata anche la tragedia e quindi tutto l'intrattenimento.
Riappropriazione culturale (seriale)
Il trucco, secondo Garvie, è re-interpretarle, come del resto è stato fatto con Il Gladiatore e più di recente con Ferrari, House of Gucci, Napoleon, Lupin su Netflix, Maria Antonietta e così via: è uscito proprio in questi giorni il trailer del nuovo adattamento del Decamerone di Boccaccio da parte di Netflix USA, che arriverà entro la fine dell'anno e ha avuto attori italiani in supporting roles, paradossalmente: "Forse è tempo che ci riappropriamo della re-interpretazione delle nostre storie. In fondo Il Trono di Spade altro non è che la Guerra delle Due Rose con i draghi (ride)". Ci siamo tanto lamentati degli stereotipi presenti in titoli come Gucci e Ferrari (per certi versi, anche in The White Lotus 2), eppure intanto gli americani continuano a trattare i temi europei, mentre noi rimaniamo seduti a guardare.
Non solo: un'altra strada, secondo Garvie, è riuscire a trasformare in franchise un successo seriale, come è stato fatto ad esempio con Breaking Bad, The Boys, Cobra Kai, Il Trono di Spade, e quindi Better Call Saul, Gen V, House of the Dragon. Noi europei sembra proprio che non riusciamo a capitalizzare un successo, che sia partendo da uno spin-off, un prequel o altro. Si tratta pur sempre di un'industria, come dicevamo, che quindi andrebbe sfruttata nel modo giusto una volta che si crea ed individua una gemma. Equilibrando monetizzazione e creatività.
Puntare sui brand
Certo, si potrebbe obiettare che così facendo continuiamo a puntare su brand già consolidati che offrono una sicurezza alla base per lo spettatore e soprattutto per produttori ed investitori, piuttosto che buttarsi in qualcosa di totalmente nuovo e inaspettato. "Però prima bisogna crearlo quel successo" come fa notare Garvie. Inoltre gli innovatori spesso nascono proprio nei franchise mentre hanno lavorato ad una saga. Doc - Nelle tue mani avrà un remake americano (per una volta accade al contrario) prodotto proprio da Sony Television in collaborazione con Lux Vide su FOX. Non tutti però possono diventare franchise, e anche qui bisogna avere la capacità di essere lungimiranti. Ad esempio, The Crown per ora non lo sarà: "Il pubblico non conosce gli altri monarchi mondiali a parte la famiglia reale inglese, quindi inutile puntare su serie incentrate sui Romanoff, gli spagnoli e altri. E non abbiamo nessuna intenzione di realizzare spin-off di The Crown senza Peter Morgan, se lui non ha idee per andare avanti". Continua: "Ora stiamo producendo un crime drama ambientato da Liverpool di una famiglia di spacciatori di droga, si intitola The City of Us ed è praticamente un Macbeth".
Tradizione italiana all'estero
Gli americani hanno una writers room per proteggere i propri sceneggiatori, oltre al sindacato che si è battuto per primo per lo sciopero nel 2023 per l'intelligenza artificiale (e i salari equi). Noi europei abbiamo meno questa concezione, siamo ancora legati alla figura del regista e ad una matrice di stampo cinematografico nella serialità (basti vedere le uscite in sala de L'arte della gioia e di Dostoevskij). Secondo lui paradossalmente "ci sono molti più modi per vendere drama adesso dalla tradizione e storia italiana che in altri tempi". Si può girare in italiano-inglese come hanno fatto col Decamerone. Shōgun lo ha dimostrato. La pandemia ha aiutato a rompere le barriere linguistiche. Basta essere così legati al doppiaggio (non solo gli italiani), si tratta di autenticità, il pubblico è diventato più esigente. Un momento florido. Speriamo solo che il tempo gli dia ragione.