Cinema, tv, streaming, teatro, intelligenza artificiale. Sempre più variegate sono le forme dell'arte a cui ci affacciamo ogni giorno da entrambi i lati dello schermo (o palco). Ne abbiamo parlato al Festival del Cinema di Spello con Francesco Patanè, giovane attore da tenere d'occhio che più di recente abbiamo visto protagonista del primo episodio de La legge di Lidia Poët nei panni dell'accusato, Pietro Baiocchi, e al cinema nel ruolo complesso e ambivalente di Andrea Malatesta in Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa, che ora sta vivendo una seconda vita su Paramount+ e al Festival ha vinto ben quattro premi. Genovese classe 1996, Patanè inizia a recitare piccolissimo a teatro ne La quinta praticabile per poi diplomarsi alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, ed essere lanciato sul grande schermo grazie al ruolo del gerarca fascista Giovanni Comini ne Il cattivo poeta di Gianluca Jodice, che lo candida ai Nastri d'Argento. Da lì è approdato anche in tv ed è tornato al cinema. Abbiamo provato a fare il punto sulle tendenze e sulle "ossessioni" di oggi, tra sala e streaming, nella nostra intervista a Francesco Patanè.
La passione per il crime oggi
Hai lavorato in vari seriali, come La legge di Lidia Poët e Monterossi. Secondo te perché c'è questa passione sempre più incessante del pubblico per queste storie che sono in fondo derivative della cronaca nera?
Se penso alla tragedia greca da dove tutto è partito, che di fatto è la madre delle crime story in un certo senso, mi vengono in mente Edipo, Le Baccanti, Antigone, quindi credo sia una passione dell'uomo andare a pescare ciò che c'è di nero, come diceva Aristotele nella Poetica. La tragedia, di cui il crime è un figlio in fondo, va a toccare quelle che nello spettatore sono pietà e terrore, quindi la catarsi è più facile quando ci si interfaccia con una storia nera, dove l'eroe o antieroe del caso si trova a dover affrontare qualcosa che è estremo, che il pubblico a casa fortunatamente non incontra tanto facilmente, se non appunto nei telegiornali. Quindi per gli spettatori penso sia interessante, attraverso queste storie, andare a scavare dentro se stessi, vedere dove ci si specchia, cosa c'è di distante e cosa c'è di più vicino a sé. L'oscurità dentro di noi in un certo senso.
A proposito di questo e de La legge di Lidia Poët, il tuo lavoro più recente, nel primo episodio interpreti sostanzialmente uno stalker ante litteram. Attualissima anche se ambientata nel passato.
Io penso che, come attore, sia più interessante raccontare personaggi andando in una direzione diversa da quella che c'è scritta, nel senso che quando l'autore o lo sceneggiatore racconta un fatto o un personaggio, come interprete devi trovare quel qualcos'altro che magari è sottinteso e utilizzare quell'aspetto. A me piaceva l'idea di raccontare Pietro Baiocchi non come uno stalker, perché in fondo ci pensava già la storia, ma immaginarlo come un uomo perdutamente innamorato non corrisposto, come se avesse una febbre che non riusciva a non soddisfare. Ho visto una forma di tragicità in questo personaggio.
Streaming vs sala, ancora
A proposito di sala e streaming, il dibattito non si è mai veramente fermato ma è sicuramente tornato in auge ora che il periodo più difficile della pandemia forse ce lo siamo lasciato alle spalle. Secondo te qual è la strada da percorrere? Possono convivere? La sala morirà come i più apocalittici dicono?
Qual è la strada non ne ho idea, sono anch'io un passeggero ignaro. Personalmente non ostracizzerei le piattaforme come molti fanno, perché io sono il primo a pranzare e cenare, quando sono da solo, con le serie tv, sul telefono o sul tablet. Per me la serialità e i servizi streaming sono un'occasione per vivere e convivere con le storie, quando magari al cinema è più difficile andarci, perché non si ha la possibilità tutti i giorni, anche solo per una questione di crisi economica e costo del biglietto. Però credo anche che, come si è già detto, il momento magico della sala, dello stare tutti insieme ad una messa laica, come il teatro o il cinema, sia un tipo di evento che proprio per la sua natura intrinseca non passerà mai di moda. Quindi penso che quel pericolo non si corra, certo una crisi economica non aiuta ma è un'attitudine che la gente non potrà scrollarsi di dosso così facilmente.
Quindi nel 2023 cosa può riportare la gente in sala?
Credo che non cedere a quello che il pubblico vuole vedere sia un buon meccanismo. Sicuramente realizzare il film campione d'incassi facile, cioè che sai già che porterà il pubblico in sala, è una lusinga a cui è difficile non cedere. Però penso anche che scegliere di raccontare ciò che si ha veramente a cuore, storie aldilà di ciò che il pubblico possa necessariamente apprezzare, possa essere un buon modo per incuriosire la gente ad andare a vedere qualcosa che non conosce già. Altrimenti finirà per continuare a vedere film che ha sostanzialmente già visto.
Qual è l'ultimo film che hai visto al cinema?
Ho visto e apprezzato tantissimo Babylon, dall'inizio alla fine. Quindi proprio cinema in sala all'ennesima potenza! (ride)
Babylon: la lettera d'amore di Chazelle alla sua city of stars (and shit)
Possibilità lavorative
Lavorando tra piattaforme e cinema, hai notato qualche differenza produttiva?
Più che altro ho notato che la serialità ha necessariamente tempi più stretti, quindi si devono sacrificare delle sfumature per andare più veloci. Non sempre ovviamente, ma su un set cinematografico si può ottenere esattamente ciò che il regista aveva immaginato fin dall'inizio.
Le piattaforme hanno aumentato a dismisura non solo l'offerta ma anche la produzione ovviamente. Pensi che questo abbia creato molte più possibilità lavorative o alla fine si rischia di far lavorare sempre le stesse persone?
Più possibilità sicuramente le ha portate, anche solo come numero di co-protagonisti e comprimari, mantenendo magari l'idea di prendere nomi conosciuti nel cast principale. Penso sia un metodo intelligente e una scelta strategica, lasciando così anche tanto spazio per gli altri. Credo che l'iper-produzione in generale quando si parla di arte sia un discorso complesso, anche perché secondo me difficilmente l'iper-produzione va a braccetto con la qualità artistica. Magari non è il caso dei lavori a cui ho partecipato io, però è un rischio che si corre inevitabilmente.
Quale potrebbe essere una strada da percorrere in questo caso?
Forse, come dicevo prima, non andare incontro al bisogno produttivo. Rischiare. C'è una frase che ora non ricordo di chi sia che dice "Se io devo fare qualcosa di bello e devo anche fare teatro di ricerca, quando caspita la faccio la ricerca? Sto appunto studiando, non so se sto facendo qualcosa di bello" e che mi sembra calzante (ride). Il valore di ciò che si ricerca è quello, si cerca non sapendo cosa si troverà e se quello che si trova sarà qualcosa di bello.
Prossimamente dove ti vedremo? Cinema? Tv? Streaming?
Sarò in un episodio della terza stagione di Imma Tataranni - Sostituto procuratore per la Rai, che stanno finendo di girare. Poi si vedrà.