Dopo la presentazione di Una vita tranquilla, all'ultimo Festival di Roma, molti consensi sono andati a Toni Servillo, ma anche ai due giovani interpreti del film di Claudio Cupellini, Marco D'Amore e Francesco Di Leva, che nel film interpreta Eduardo. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Francesco per conoscerlo meglio, non solo come attore di cinema, ma anche per il suo impegno sul palcoscenico e nel sociale e per la grande dedizione professionale.
Prima ancora che ricevessi il premio L.A.R.A al Festival di Roma 2010 si era già parlato della tua ottima performance in Una vita tranquilla. E' cambiato qualcosa per te, dopo il Festival, oppure no? Ti aspettavi questi consensi?
Il Festival di Roma è un appuntamento importantissimo per il cinema internazionale che vede al suo interno la presenza di attori ed artisti che per la mia generazione, e di certo per me, costituiscono un punto di riferimento. Condividere con loro un'esperienza del genere già ti cambia qualcosa. Incontrarli, confrontarti con loro e ricevere complimenti per il tuo lavoro comporta inevitabilmente una crescita e di conseguenza un cambiamento.
A parte il successo al Festival, cosa ti è rimasto dell'esperienza di Una vita tranquilla?
La voglia di continuare a percorrere questa strada: fare l'attore, fare cinema, essere ben diretto, ritrovarmi sul set con degli attori (veri). Desidero ancora sorprendermi e sorprendere le persone con le quali lavoro, determinato dalla ferma volontà di riuscire a dare un contributo al "meraviglioso cinema italiano" di cui tutto il mondo parlava fino a qualche anno fa!
Io e Claudio Cupellini abbiamo fatto un lungo lavoro di ricerca: pensavamo che Eduardo avesse dovuto assomigliare ad un animale e abbiamo ritenuto che quello che più potesse rappresentarlo fosse la pantera. L'immagine che mi ha accompagnato durante l'intero periodo delle riprese è stata quella di un animale che dorme su un albero, pronto a scattare non appena sente un rumore o qualcosa che lo disturba. Il suo istinto le suggerisce di aggredire a meno che non si tratti di un essere dell'altro sesso. Infatti solo le attenzioni di una donna fanno di Eduardo un uomo, che sa anche abbandonarsi senza paure. Io vivo in un quartiere pieno di pantere, esseri senza ragione né sentimento che possono decidere della vita e della morte di chi li circonda. Rappresentare uno di loro serve a me ad al pubblico per prendere le distanze da quello stile di vita.
Hai cominciato con il teatro, e nel '99 sei apparso in un film televisivo, Un nuovo giorno. Che ricordi hai di quell'esordio? C'è qualcosa che vorresti cambiare, avendo la possibilità di tornare indietro, oppure no?
Il teatro mi ha cambiato la vita. Persone allora sconosciute hanno letto la passione nei miei occhi e, come genitori in pena per i propri figli, venivano a prendermi a casa per portarmi sul palcoscenico del teatro del mio quartiere. Sentirmi a mio agio tra loro è stata una scoperta emozionante oltre che una rivelazione sul percorso che dovevo intraprendere. Ho studiato, ho creduto senza mai esitare che fosse la scelta giusta e nulla cambierei del mio passato. Sono arrivato fin qui senza dover scendere a compromessi, lottando con tutte le mie forze.
Il primo incontro con il cinema è stata una magia. Prima di allora mi circondavano persone amiche, che avevo imparato a conoscere. Trovarmi tra esperti del settore, fonici, macchinisti, fotografi, professionisti del grande schermo mi ha aperto le porte di un nuovo mondo sorprendente e ricco di stimoli. Un'esperienza indimenticabile!
Palcoscenico, televisione, cinema: quale tra questi mezzi espressivi ti è più congeniale?
Sono modi differenti di essere attore, esperienze che non si escludono tra loro, ma ti completano. Quando sono circondato da persone competenti, che puntano alla qualità della produzione artistica e lavorano con entusiasmo, mi emoziono tanto davanti allo sguardo degli spettatori a teatro quanto davanti alla macchina da presa. Entrano in gioco sentimenti diversi, tutti ugualmente affascinanti.
Agli impegni artistici affianchi anche quelli nel sociale. So che hai fondato un teatro off a Napoli e un'associazione che si propone di avvicinare i ragazzi alla fotografia e alla recitazione. Vuoi parlarci di questi progetti? In che modo provi a cambiare le vite di questi ragazzi, e in che modo è cambiata la tua?
A teatro hai interpretato un adattamento di Gomorra e a fine ottobre sei tornato in scena con Santos, un altro adattamento da un racconto di Roberto Saviano. Hai mai conosciuto Roberto di persona? Se sì, che impressione ti ha dato?
Roberto è una persona che fa parte della mia vita e di coloro che con me hanno lavorato a Gomorra prima e a Santos dopo. Straordinario per la sua semplicità, ha fatto dell'impegno civile la sua ragione di esistere. E' un mio coetaneo, un uomo come me che ha dovuto però rinunciare alla libertà di passeggiare per strada con un amico. Impossibile non sostenerlo e non essere dalla sua parte. Ogni collaborazione con lui ha lasciato in me un po' della sua forza e determinazione. E' necessario lottare contro la criminalità e contro chi vuole fare di Napoli e dell'Italia un paese in cui è impossibile vivere senza scendere a patti con l'illegalità.
In che modo ti stai preparando a portare Gomorra a Parigi, il prossimo anno? Dovrai recitare in francese?
Lo spettacolo sarà in italiano, sottotitolato in francese. La traduzione dal napoletano sarebbe impossibile e troppo dei suoni del nostro dialetto, che ha una rilevanza fondamentale, si perderebbe. Ci piaceva l'idea di portare Gomorra a Parigi così com'è, uno spettacolo radicato nel nostro territorio, diretto, autentico. Riscriverne il testo avrebbe portato alla creazione di un'opera "altra", ispirata all'originale ma distante dalla sua natura. Ci prepariamo a quest'esperienza con responsabilità e orgoglio. E' un privilegio non per tutti e noi siamo pronti a raccontare le nostre storie, a portare le parole di Saviano in Europa e poi magari nel mondo.