"Gli italiani non amano le donne impegnative": così diceva Franca Sozzani, storica direttrice di Vogue Italia dal 1988 al 22 dicembre 2016, giorno della sua scomparsa, in un'intervista: ambiziosa, intuitiva, intelligente e sempre pronta a rischiare, grazie alla sua capacità di riconoscere il talento e di vedere il quadro d'insieme in un'industria sempre più complessa, Sozzani è diventata un'eccellenza nel campo della moda.
Storici i suoi editoriali, come quello sulle modelle di colore, grazie a cui, negli anni '90, mise in copertina una splendida Naomi Campbell, o quello sulla chirurgia plastica, degno dei migliori film horror. Ossessionata dal suo lavoro e intransigente con se stessa e con gli altri, come tutte le persone che raggiungono l'apice della propria professione, Franca Sozzani lascia un'eredità importante.
Di donne "impegnative" si parla sempre di più, sia dal punto di vista maschile che da quello femminile, ma raramente viene ascoltato il parere dei figli: Francesco Carrozzini, fotografo e ora regista, ha cercato di scoprire chi fosse sua madre grazie al suo primo film, Franca: Chaos and Creation, in cui racconta la donna e la direttrice di Vogue, in un gioco di luci e ombre, in cui le testimonianze di amici e colleghi, da Baz Luhrmann a Courtney Love, passando per il fotografo Peter Lindbergh, aiutano a delineare una figura tanto carismatica quanto sfuggente.
Presentato in anteprima alla 73esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, a cui presenziò la stessa Sozzani, il documentario esce ora in sala, come evento speciale, il 25, 26 e 27 settembre.
Abbiamo intervistato il regista, che ci ha parlato di quanto sia stato fondamentale aver avuto una madre così ingombrante e del suo prossimo film, tratto dal romanzo Sole di mezzanotte di Jo Nesbø, che girerà in Norvegia.
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Donne impegnative e metodo scientifico
Franca Sozzani diceva che gli italiani non amano le donne impegnative: raramente si sente il parere dei figli a riguardo. Secondo lei aveva ragione?
Da figlio sono, per certi versi, molto difficili: una madre come la mia gettava anche una grande ombra, come la gettano tutte le donne, ma anche gli uomini, che raggiungono tali traguardi. Io ho imparato, col tempo, a prendere gli aspetti positivi: che sono, ovviamente, la possibilità di essere esposti a tutto quello che ho vissuto. Oggi ringrazio per questo. Certo a volte è molto difficile.
Sozzani era un'eccellenza nel suo campo ma, contrariamente a quanto si possa pensare, la creazione di cui parla il titolo del suo film non era frutto di idee astratte: in molte interviste parla della moda quasi in modo scientifico, esponendo numeri e fatti oggettivi. Da regista quanto crede sia importante avere una mentalità concreta, quasi scientifica, nel momento in cui si crea qualcosa?
È così: sono appena tornato dalla Norvegia, dove sto facendo la ricerca per il mio prossimo film, e il fatto di aver incontrato e parlato con le persone del luogo è fondamentale. Secondo me bisogna sempre sapere tutto e poi dimenticarsene. È un po' la regola per tutto: cucina, musica, cinema... Lei era così: si pensava fosse astratta, un po' sulle nuvole a volte, perché parlava poco, ai fotografi diceva: vai a farmi una roba sul rosso, e uno poteva chiedersi ma com'è il rosso? Cosa vuol dire? Eppure invece era proprio quella la sua forza: sapeva benissimo cosa stava facendo.
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Le sfumature della parola "creativo"
Il mondo della moda, e anche quello del cinema, spesso vengono visti dalle persone che fanno dei lavori considerati "tradizionali" come ambienti effimeri, si dice: sono solo vestiti, o sono solo film. In realtà una persona come sua madre, che ha raggiunto l'apice nel proprio campo, ha potuto toccare argomenti importanti, come la discriminazione razziale, la chirurgia estetica, il problema del peso, in modo forse ancora più forte di chi fa l'avvocato o il medico. Perché secondo lei c'è questo pregiudizio verso queste professioni considerate effimere?
Perché spesso lo sono, nel senso che molte delle carriere degli, chiamiamoli così, artisti, sono carriere di gente fortunata: è un privilegio essere nella posizione di poter dire delle cose al mondo. Perché uno deve essere in quella posizione e un altro no? È una cosa che uno ovviamente si guadagna, però è anche un grande privilegio, che diventa la piattaforma per raccontare cose che sono molto importanti nella nostra vita. Il problema del peso è uno di quelli che mia madre ha affrontato ed è un fatto con cui moltissime donne, e anche uomini, si confrontano quotidianamente: è una malattia, è una cosa molto seria, che crea molto disagio. Lì è stata una sua intuizione: ha capito che poteva parlare di queste cose attraverso la moda, che è il mondo in cui tutti sono e devono essere magri, ma in realtà non è così.
Oggi la parola "creativo" a volte viene quasi usata come un insulto: da creativo che ha visto tanti altri creativi, usate questa parola come offesa anche tra di voi?
Sì, il creativo oggi è visto in questa luce. Credo che la cosa che non smetterà mai di funzionare sia il raccontare storie: è così che la nostra civiltà è cominciata. Tutto quello che conosciamo oggi è frutto di racconto: ci raccontiamo che esiste un codice legale e che uno diventa avvocato. Ci sono poche cose empiriche, come la medicina, tante sono veramente storie: questa è la cosa che da creativo ambisco a fare. Voglio raccontare delle storie che tocchino la gente. Questo film è stato il primo tentativo.
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Il prossimo film: Sole di mezzanotte
A proposito di storie: prima accennava al suo secondo film, il primo di finzione, tratto dal romanzo di Nesbo. Dopo una donna così forte ha deciso di raccontare un personaggio solitario: come mai questa scelta?
Credo di aver scelto di raccontare questa storia proprio perché mi sentivo così solo quando ho letto il romanzo: stavo perdendo mia madre, era il secondo genitore che perdevo in pochi anni, e questa cosa mi ha tirato via il tappeto da sotto i piedi. Mi sono sentito barcollante, indeciso, un po' perso. Ho letto quindi questo romanzo con protagonista un personaggio che si rifugia alla fine del mondo: la mia grande passione per i racconti noir, di crimine e avventura, mi ha fatto decidere che questa era la prima storia da raccontare.