Foto da altrove
Arriva sugli schermi italiani il bel film pluripremiato (Academy Awards 2005) di Ross Kauffman e Zana Briski, a conferma di una tendenza, mai abbastanza lodata, che vede i film documentari (Fandango in testa in quest'opera meritoria) sempre più presenti nelle sale come nelle pagine della stampa specializzata e non.
Con l'intento di comprendere, conoscere e fotografare la vita nel distretto a luci rosse di Calcutta, la fotografa Zana Briski finisce ben presto per imbattersi nelle torme di ragazzini che ne animano le strade. Immersi nello squallore e nella miseria più degradanti (da un punto di vista morale prima ancora che materiale) i bambini dei bordelli appaiono privi di qualsiasi possibilità di emancipazione e condannati a un destino già scritto. Nel suo secondo viaggio, Zana porta con sé alcune macchine fotografiche e le distribuisce ad alcuni dei giovani abitanti dello slum. I risultati sono incoraggianti. I piccoli fotografi si aggirano per le strade e sfruttano la loro familiarità con l'ambiente (pur tra mille diffidenze) per ricavare scatti che, in alcuni casi, raggiungono l'eccellenza. Il loro sguardo non innocente (è dolorosa e devastante la consapevolezza che mostrano circa il mondo in cui vivono e sulle prospettive che il futuro offre loro) si posa senza sosta su persone, oggetti, situazioni, storie. Le riunioni di selezione del materiale sono anche e soprattutto un'occasione per raccontare e raccontarsi, per far emergere le vicende personali di ciascuno, e nello stesso tempo esperimenti, tentativi di dare ai bambini un impulso che li aiuti nella difficilissima impresa del riscatto. Riscatto sociale prima ancora che morale. Arrivano i primi successi, si organizzano mostre, si sparge la notizia. Cresce di conseguenza l'ambizione, destinata a scontrarsi con le consuetudini, con la diffidenza, la rassegnazione, ma anche con una formidabile e impietosa burocrazia che sembra non voler far altro che ratificare con indifferenza la condizione dei piccoli paria (termine mai così improprio: scopriamo in realtà che ci sono in India prostitute di ogni casta per clienti di ogni casta). Tra mille difficoltà Zana Briski e Ross Kauffman (che nel frattempo ha raggiunto l'amica per documentare l'impresa) riescono a far ammettere alcuni dei ragazzi in scuole gestite da fondazioni e enti benefici e a far partecipare Vajit, il più dotato, a una mostra internazionale che si tiene ad Amsterdam.
Girato con un linguaggio veloce, televisivo, nei ritmi come nelle tecniche di ripresa, Born Into Brothels non è un documentario che mira ad analizzare un fenomeno sociale, ad approfondirne le dinamiche o a proporre e suggerire possibili soluzioni. E' più che altro un tentativo di documentazione di uno sforzo pratico e immediato, pure di portata limitata, per aiutare il prossimo con i mezzi a disposizione di ognuno. Ciascuno, nel proprio ambito, può fare qualcosa, fosse anche spinto dal proposito bislacco di insegnare fotografia a ragazzi che sembrano aver bisogno di tutt'altro e di ben altro. La determinazione dei due autori nel perseguire il loro scopo è chiaramente destinata a una parziale frustrazione; la loro ostinazione acquista un valore esemplare proprio per l'essere concentrata nell'attualità, senza la pretesa di voler cambiare il mondo, eppure nell'atto pratico di cambiarlo. In questo senso, nel suo essere la registrazione di un'azione, il film evita la pericolosa trappola del pietismo sentimentale, aiutato in ciò dalla schiettezza e dall'energia dei piccoli protagonisti. Niente di consolatorio, nessun tentativo di edulcorare la realtà: Born Into Brothels è comunque un film che fa male, che colpisce duro, mostrando come la degradazione e l'emarginazione possano resistere indifferenti al progresso e a un relativo e apparente miglioramento delle condizioni materiali dell'esistenza.