Il cinema italiano ama raccontare storie vere per lanciare messaggi dal grande respiro. Con Il soffio dell'anima, Victor Rambaldi vuol far brillare una scintilla di speranza nelle persone che soffrono, mostrando come "la paura esiste solo se gli dai vita tu". Tratto dal romanzo autobiografico di Valentina Lippi Bruni, il film racconta la storia di un giovane in dialisi che vive ogni giorno come una lotta contro una malattia che non gli consente di sentirsi normale. Mentre cerca di non lasciare che il dolore soffochi la sua esistenza, coltiva la passione per le arti marziali e scopre l'amore in una ragazza che si avvicina a lui con grande pudore. Per vincere le sue paure e l'arroganza di chi si crede migliore solo perché più fortunato, dovrà affrontare un viaggio dentro e fuori sé stesso per raggiunge quell'equilibrio necessario a una vita serena. Il film è interpretato da Flavio Montrucchio, il vincitore della seconda edizione del Grande Fratello nel 2001, ma nel cast figurano altri volti noti del piccolo schermo, come Dario Ballantini, il caratterista di Striscia la notizia, e Raffaello Balzo, tra i naufraghi dell'Isola dei famosi nel 2006. Tra gli altri attori, anche Lucrezia Piaggio, Orso Maria Guerrini e la cinese Yang Yu Lin. Il soffio dell'anima uscirà venerdì 13 marzo nelle maggiori città italiane. Il regista, l'autrice del romanzo e il protagonista ci raccontano le motivazione che li hanno spinti a realizzare il film, che arriverà in prima serata su RaiUno il prossimo inverno.
Victor Rambaldi, come mai ha scelto di portare al cinema questa storia?
Victor Rambaldi: Mi aveva colpito molto il livello emozionale del libro, la forza del racconto e l'interiorità della sua autrice, che ha scritto il libro quando aveva solo diciassette anni. Il romanzo racconta soprattutto la storia d'amore tra lei e Silvio, un ragazzo affetto da dialisi che è poi diventato suo marito, ma questo non bastava per farne un film. Bisognava tradurre le emozioni di quelle pagine nel linguaggio del cinema e fin dall'inizio ci siamo trovati d'accordi sui cambiamenti da apportare alla storia per asservirla al racconto cinematografico.
Lei vive tra Los Angeles e Roma e Il soffio dell'anima è il suo primo lungometraggio di finzione. Come si è trovato a girare a Imola?
Victor Rambaldi: Mi ha fatto piacere tornare nella mia terra d'origine, l'Emilia, che considero un luogo particolarmente emozionante. Non tornavo lì da trent'anni e mi ha colpito risentire l'odore del gelso, lo stesso di quando andavo dai nonni da bambino, ma anche quella luce particolare, quella fuliggine, che portavo nei miei ricordi. E' stato come riscoprire le mie origini. Imola poi è la città natale di Valentina e Silvio e quindi era giusto ambientare il film in quei posti.Cosa può dirci dei personaggi interpretati da Dario Ballantini e da Yang Yu Lin, rispettivamente il miglior amico e la guida spirituale del protagonista?
Victor Rambaldi: C'era il pericolo che la storia pendesse troppo da una parte, dal lato del melodramma, e perciò abbiamo inserito il personaggio di Ballantini per dare una certa leggerezza al racconto. Il personaggio di Yu Lin è invece una metafora, rappresenta la forza d'animo di Alex. Nel finale è come una figura mai esistita, una scelta precisa per evitare dei cliché alla Karate Kid. Volevamo in questo modo dare un messaggio forte e vero: in una situazione come la sua, è egli stesso responsabile della sua rinascita, l'aiuto che cerca negli altri è in realtà dentro sé stesso.
Il personaggio di Raffaello Balzo rappresenta invece per Alex una vera e propria nemesi, pronto ad umiliarlo in ogni occasione perché lo considera fisicamente inferiore.
Victor Rambaldi: Spesso capita di incontrare nella vita di tutti i giorni persone che non provano nulla nei confronti di chi è più sfortunato di loro. Oltre al suo vero nemico, cioè la malattia, Alex deve scontrarsi con un altro elemento, in questo caso il personaggio interpretato da Balzo, che rappresenta la parte oscura della società. Egli tratta il malato come essere inferiore, fregandosene della sua sofferenza, del fatto che debba essere attaccato a una macchina tre giorni a settimana per sopravvivere. Ci vuole rispetto per queste persone e c'è quindi un evidente richiamo a non abbassare la guardia nei confronti di chi disprezza il meno fortunato.Flavio Montrucchio, questo è il suo debutto nel cinema.
Flavio Montrucchio: Quando ho letto la sceneggiatura, inizialmente non credevo di poter interpretare questo ruolo, soprattutto dopo aver conosciuto Silvio che era così lontano da me nella realtà. Sono sempre stato fortunato, sia sotto il piano fisico sia lavorativamente, e quindi mi sembrava un'impresa impossibile calarmi in un ruolo simile. Silvio mi ha dato la forza necessaria e la volontà di fare questo personaggio. L'ho fatto per lui e per sua moglie che volevano, attraverso il film, lanciare un messaggio di speranza.
Com'è riuscito poi a calarsi nel ruolo?
Flavio Montrucchio: Le esperienze più difficili sono quelle che mi affascinano di più. Per esempio, ho fatto un musical a teatro e anche allora credevo che non ne sarei mai stato capace. Per portare sul grande schermo la storia di Silvio, ho convissuto con lui per un po' di tempo, conoscendo in questo modo anche la dialisi. Ho dovuto confrontarmi con ciò che non sono mai stato. Per me la malattia è sempre stata qualcosa che ho vissuto solo dall'esterno. La mia vita tende più a essere una commedia, e quindi per entrare nel ruolo sono dovuto andare a esplorare altri aspetti di me. Ho cercato di dare più attenzione alla parte interiore del personaggio, rispetto a quella fisica che prevedeva la conoscenza delle arti marziali e il continuo allenamento. La mia scommessa, comunque, è quella di risultare credibile in un ruolo del genere e spero di esserci riuscito.Valentina Lippi Bruni, com'è nato il romanzo e com'è avvenuta la sua trasposizione al cinema?
Valentina Lippi Bruni: Il libro è stato scritto per divertimento e per condividere un'esperienza con Silvio, consolidando il nostro rapporto. E' stato scritto di notte, con trasporto e sentimento. Nel film non si parla della sua guarigione. Maturando con gli anni, abbiamo capito che la guarigione di chi è in dialisi può essere interiore, si può raggiungere un equilibrio amando prima di tutto sé stessi. Il messaggio che vogliamo lanciare con questa storia è quello di credere in sé stessi e di amarsi. Silvio ha cominciato ad amarsi grazie alla passione per le arti marziali e il mio arrivo ha forse alimentato il suo amore per la vita.