"Centinaia di ore di riprese, migliaia di foto e un milione di domande". È questa l'eredità che la coppia di vulcanologi Katia e Maurice Krafft avrebbe lasciato al mondo all'indomani della loro morte avvenuta il 3 giugno 1991 nel luogo a loro più familiare: le pendici di un vulcano. A raccontare questa folle storia di amore, colate laviche, crateri e sfide kantiane è Sara Dosa (qui di seguito potrete leggere la recensione di Fire of Love, in sala dal 25 agosto), in un documentario che mette insieme immagini di archivio, molte delle quali inedite, e animazione ripercorrendo tra rigore scientifico e senso del sublime la vita di due pionieri della vulcanologia moderna.
La fura delle natura tra senso del sublime e realismo
Fire of Love ricostruisce vent'anni di viaggi trascorsi a inseguire eruzioni e a registrare, documentare, filmare e fotografare l'attività di ben centosettantacinque vulcani in eruzione. Dall'Etna al Nyiragongo, dallo Stromboli al Kawah Ijen, i Krafft passarono metà della loro vita a condividere un'unica passione, quella per la vulcanologia, una scienza estrema nella quale non si risparmiarono affatto. L'indole ribelle e anarchica ne avrebbe fatto due voci indipendenti e fuori dal coro, e per questo inizialmente non sempre ben viste dalla comunità scientifica. Ma quando "la curiosità è più forte della paura" il risultato è una storia come quella di Katia e Maurice Krafft, i "corridori dei vulcanologi", artisti itineranti e osservatori impavidi così come ce li mostra la regista canadese Sara Dosa in questo documentario che celebra lo spirito d'avventura e la furia della natura. L'archivio da cui attinge non era mai stato utilizzato prima se non per alcuni documentari scientifici e per gli appena due minuti di immagini mostrate da Werner Herzog nello straordinario Dentro l'inferno. Il tutto preceduto da un immane lavoro di selezione recuperando lettere, articoli, bobine di pellicole e diapositive; ma con un occhio allo spirito di rottura della Nouvelle vague, che molto influenzò il lavoro dei coniugi.
La celebrazione del piacere della scoperta
"Da soli possono solo sognare i vulcani, insieme possono raggiungerli", dice la voce fuori campo che accompagnerà lo spettatore per tutto il film. Fire of love inizia proprio il 2 giugno 1991, esattamente un giorno prima che Katia e Maurice Krafft venissero travolti da un flusso piroclastico sul monte Unzen in Giappone, una valanga di rocce e gas che li investì in pieno dopo essersi spinti come sempre oltre i limiti di sicurezza. La morte li sorprese alle 16.18 come testimoniarono le lancette dell'orologio recuperato insieme alla fotocamera di Maurice. Si erano incontrati nel 1964 tra le rovine del dopoguerra in Alsazia, ma "parti della loro storia rimangono perse nel tempo", lui si era innamorato dei vulcani sulle pendici dello Stromboli, lei dopo un viaggio sull'Etna. Sara Dosa ce li racconta nelle loro folli escursioni mentre ballano sull'orlo del cratere, si avvicinano alle eruzioni, misurano la temperatura e inseguono la lava indossando caschi in metallo e tute di amianto. Lei fotografa, lui cattura il movimento.
Quando tornano a casa montano i filmati, catalogano, studiano le mappe del prossimo viaggio e traducono il materiale raccolto in libri e articoli per riviste. Un inno al piacere della scoperta ma anche la celebrazione della natura primordiale e la fascinazione esercitata sull'uomo da tutto ciò che è tensione al limite. Il linguaggio del cinema risulta il più adatto a raccontare la parabola dei Krafft, sublimandone l'esperienza e restituendo al pubblico le immagini più spettacolari mai viste prime sui vulcani attivi. E non mancano momenti di giocosa ilarità come quello che li immortala intenti a cuocere delle uova sulla roccia nuda in prossimità del cratere o quello in cui Maurice a bordo di un gommone di fortuna comprato in un mercatino, si immerge nelle acque del Kawah Ijen, il più grande lago di acido solforico al mondo, che scioglie all'istante tutte le apparecchiature utilizzate per i rivelamenti. Un affresco imponente e romantico capace di restituire la giusta notorietà ad una storia poco conosciuta dal grande pubblico e in grado di fissarne i contorni tra magia, realismo e amore per la libertà.
Conclusioni
La recensione di Fire of Love non può concludersi se non ribadendo quanto ampiamente detto fino. Sara Dosa riesce a evitare il classico racconto agiografico a favore di un affresco unico e di straordinario impatto visivo. Il documentario mostra Katia e Maurice Krafft nelle loro folli avventure in giro per il mondo inseguendo eruzioni in ogni angolo del pianeta, lo fa esaltando la furia della natura e la loro passione per una scienza che condivisero per tutta una vita. Un’esistenza fatta di amore e lava, metà della quale passata sull’orlo dei crateri fino a quel 3 giugno 1991 quando trovarono la morte sulle pendici del monte Unzen in Giappone, investiti da una colata piroclastica.
Perché ci piace
- Un affresco di straordinaria potenza sulle avventure di due pionieri della vulcanologia moderna.
- Un racconto in bilico tra rigore scientifico e senso del sublime, visivamente sorprendente, che alterna alle immagini di repertorio frammenti animati.
- Un linguaggio capace di parlare al grande pubblico e affascinare lo spettatore.
Cosa non va
- Chi si aspetta un documentario convenzionale potrebbe rimanere deluso.