In onda dal 13 febbraio per tre prime serate e sei episodi, Fiori sopra l'inferno è la nuova fiction Rai ispirata al romanzo di Ilaria Tuti con protagonista Teresa Battaglia, una figura di profiler originale e profonda portata sullo schermo da Elena Sofia Ricci. Ci siamo fatti raccontare la lavorazione di questo progetto da Carlo Carlei, regista e co-sceneggiatore della serie che abbiamo già conosciuto negli anni passati per successi come Padre Pio e Ferrari, oltre che I Bastardi di Pizzofalcone e Il giudice meschino, nonché della prima serie Rai oggetto di remake ambientato in USA, ovvero La fuggitiva, in sviluppo da parte di 20th Television.
Scrivere Fiori sopra l'inferno
Partirei dal coinvolgimento nel progetto. Come è nato? Conoscevi già il romanzo?
In questo caso c'è stata una curiosa coincidenza, perché avevo letto il romanzo a poche settimane dall'uscita nelle librerie e mi era piaciuto molto. Ho cercato di prendere i diritti, scoprendo poi che invece la produttrice Verdiana Bixio li aveva già presi, prima ancora della pubblicazione vera e propria, quindi mi sono rassegnato. Poi, dopo tre anni le nostre strade si sono incontrate, la mia e quella di questo romanzo, quando mi è stato offerto il progetto e ho partecipato all'adattamento in maniera anche abbastanza finalizzante nell'ultima fase di scrittura. Per me è molto importante cucirmi addosso i copioni, penso sia giusto quando scrivo quello che dirigo. In questo caso era già stato fatto un lavoro, un buon lavoro, ma c'erano due cose fondamentali che non tornavano. Quando si adatta un romanzo che cattura anche emozionalmente il pubblico, bisogna interrogarsi su quelle che sono le fondamentali differenze di un'opera tra cinema, televisione e letteratura. In questo caso, come era successo con I Bastardi di Pizzofalcone, il cosiddetto stream of consciousness, il dialogo interiore che è un tool che gli scrittori usano per entrare nella mente dei personaggi, andava reso in modo diverso e non si può sempre utilizzare il voice over. Inoltre amo Kubrick e mi piace che il materiale sia dotato di una logica narrativa che sia assolutamente inattaccabile e inappuntabile, così ho sottoposto il materiale a una sorta di griglia analitica logica e da lì sono scaturite delle variazioni che ritenevo necessarie anche per legare in modo più forte i flashback a quanto sta accadendo nel presente.
È molto interessante quel che dici riguardo il flusso di pensieri e l'intimità dei personaggi, perché è ovvio che un romanzo può farlo in modo diverso da quanto si può realizzare su schermo. Che strada preferisci usare per adattare situazioni del genere?
Il linguaggio del cinema, al di là delle opportunità di invenzioni immaginifiche, simbolizza in un attimo uno stato d'animo, un sentimento, e quindi è bello inventarsi delle soluzioni visive che rappresentino lo stato d'animo o di difficoltà. In questo caso, i prodromi di un obnubilamento della propria percezione delle cose dovuta ad un'alterazione dello stato di salute o l'incombenza di una malattia subdola come può essere l'Alzheimer, quindi con una diminuzione delle sue facoltà cognitive. Tutto questo come lo fai? Di solito quando lavoro procedo in due modi: o ci sono delle soluzioni visive che già immediatamente mi vengono nel momento stesso in cui leggo o in cui scrivo; oppure credo anche nella possibilità di poter reinventare i film mentre si sta girando, così come a un pittore viene in mente di fare le due pennellate che fanno quadrare il cerchio. E poi attenzione, perché c'è un ulteriore mezzo a disposizione dei cineasti, il montaggio, che è una ricreazione in un certo senso, non semplicemente una messa in ordine da un punto di vista logico e cronologico del materiale che si è girato seguendo un canovaccio. Una vera e propria riscrittura da un punto di vista strutturale, ma anche dal punto di vista visivo. Penso sempre che molte delle cose più belle che ho fatto le ho fatte in una maniera non programmata. Penso per esempio al finale de La corsa dell'innocente: mi piaceva un ambiente e ho deciso di girarlo anche vuoto, senza il ragazzino, e nel finale mi è venuto in mente di fare una sovrimpressione, bloccando la macchina da presa, facendo apparire il ragazzino come se fosse un'evocazione. Credo sia molto importante staccarsi da quella che è la pagina scritta, guardarsi intorno e catturare una realtà che probabilmente riesci a vedere solo tu, cogliere del materiale che può tornare utile in fase di montaggio.
Ricordi il caso in cui ti è capitato in questo progetto?
Avviene ogni giorno, perché le location non sono soltanto funzionali alla storia, sono funzionali a quello che è anche il percorso emotivo dei personaggi del racconto. Quindi sì, ce ne sono state diverse. Molte hanno a che fare con l'apparizione del mostro, del fantasma come lo chiamano i quattro bambini co-protagonisti di questo racconto. E quindi cercavo delle soluzioni visive che fossero ovviamente originali. A volte però l'originalità, quando si affronta il genere, rievoca inconsciamente delle reminiscenze di classici che abbiamo amato e che stanno lì come se fosse una sorta di archivio mnemonico a cui attingere. Penso per esempio a quella straordinaria immagine di Shining in cui Jack Nicholson, dopo aver ucciso con un colpo d'ascia nel finale, entra in campo dal basso, andando a riempire l'inquadratura vuota.
Girare Fiori sopra l'inferno
Hai citato le location, le ambientazioni così importanti nelle storie di Ilaria Tuti. Come avete scelto i luoghi in cui girare?
Si opera sempre in un modo che è un po' binario, cioè da una parte bisogna trovare qualcosa che si avvicina all'originale, a quello che è raccontato nel romanzo. Quindi la location finale che abbiamo usato è una location multipla che, sintetizzando, diventa la Travenì inventata da Ilaria Tuti, che si intuisce possa essere Tarvisio. Siamo andati in giro e abbiamo preso da posti diversi, soprattutto Malborghetto Valbruna, che lì vicino mi sembra il luogo più suggestivo, più favolistico. L'intento era quello di fare qualcosa di profondamente italiano che non scimmiottasse i cosiddetti noir scandinavi, anche se in comune ovviamente c'era l'ambientazione invernale, nel nostro caso alpina. Volevo che fosse qualcosa in cui la neve che ammanta tutto non cancellasse l'italianità, anche da un punto di vista specifico dell'architettura, dell'ambientazione e degli arredamenti. Mi servivano delle location che esaltassero soprattutto l'aspetto favolistico, un po' alla Stephen King, e i film con protagonisti i bambini, i grandi film degli anni '80 che abbiamo tutti amato, da Joe Dante, Zemeckis, I Goonies di Richard Donner, così tanto omaggiato in Stranger Things, con la presenza dei bambini che sono fondamentali nell'illuminare il percorso di Teresa Battaglia in questa sua ricerca della verità. Non volevo che fossero bambini da film, ma reali, con la loro magnifica innocenza e i loro sogni spezzati, ma anche con le difficoltà di ambienti familiari eterogenei, visto che ognuno di loro viene da una estrazione sociale leggermente diversa. Teresa stabilisce con loro un rapporto bellissimo e si vede che questa sua maternità viene percepita anche dai bambini, che pur non fidandosi degli adulti si affidano a lei.
Mi ha colpito molto la sequenza iniziale, perfetta per introdurre lo spettatore in quello che andrà poi a vedere, perché crea il ritmo, l'atmosfera e le suggestioni visive che verranno sviluppate. Mi racconti come hai realizzato quell'incipit e il contrasto con la sequenza successiva che ci presenta la Battaglia?
Volevo iniziare con quella sequenza, ce l'avevo già coreografata nella testa, ma dovevamo farla originariamente in un altro ambiente, in un altro paesino vicino. Però quando siamo arrivati a girare col drone, la neve era completamente sparita. E allora ho fatto di necessità virtù e ho pensato che, avendo anche la Chiesa come sfondo per questa piazzetta, fosse quello l'ambiente più adatto per cominciare, per introdurre questo universo un po' magico della serie. Per quanto riguarda Teresa, volevo presentarla come una donna libera, diciamo così, senza maschera quando è da sola. Poi, nel momento stesso in cui interagisce con gli altri, mostra tutte le sue asperità che sono anche dovute a un rigore deontologico molto marcato e a questa ferita profonda che si porta dentro. Viene fuori più rigida e più scostante e anche sarcastica.
Teresa Battaglia è un personaggio straordinario perché va a coprire una casella che è comune in quella tipologia di romanzi, ma in modo del tutto originale per approccio, per descrizione, per complessità. Come avete lavorato al percorso di Teresa Battaglia all'interno della stagione?
Sono stato fortunato perché Elena aveva già letto il romanzo e quando sono intervenuto lei è stata anche una mia idea, che però ha trovato entusiasti un po' tutti. Il percorso di Teresa Battaglia, quantomeno nel corso della storia di questo primo romanzo, era già lì. Dopodiché noi siamo andati in profondità e abbiamo cercato di lavorare scena per scena, a volte prendendo anche delle decisioni coraggiose. Elena Sofia Ricci è un'attrice straordinaria, anche una persona molto colta con cui è un piacere avere a che fare. Come grande professionista, ma anche come amica. E questo è importante quando vuoi alzare l'asticella e capire che si possono esplorare territori che magari in televisione, ma soprattutto nella televisione italiana, non si sono mai esplorati. Recentemente lei ha interpretato un personaggio distante anni luce e a volte un attore, soprattutto se abituato per più di dieci anni fare uno stesso personaggio, sviluppa un manierismo. Ma Elena è entrata in Teresa Battaglia con una passione, una forza e soprattutto una determinazione assolutamente straordinarie, per cui ha incantato tutti: ha incantato me, ha cantato la troupe e sono convinto che incanterà anche gli spettatori.
Verso il futuro di Teresa Battaglia e della fiction
Già a partire dal titolo, con l'aggiunta de "I casi di Teresa Battaglia", si tradisce l'intenzione di proseguire se il riscontro del pubblico dovesse essere positivo. Ti piacerebbe essere coinvolto?
Come si è potuto notare anche dall'esperienza de I bastardi di Pizzofalcone, io amo creare prototipi. Mi piace creare dei mondi ed esplorarli fin dove mi posso spingere. Dopodiché dipende da tanti fattori, ma tendenzialmente mi piace sempre cambiare. Però ovviamente, come tu giustamente hai notato, il sottotitolo "I casi di Teresa Battaglia" è una scelta editoriale che fa ipotizzare un seguito o anche più di uno, visto che la Tuti ha scritto altri romanzi, tutti molto belli. Sicuramente con un'attrice come Elena Sofia Ricci è come avere un assegno in banca, perché sai benissimo che ha un forte legame con un pubblico affezionato e soprattutto che fa scelte serie e ponderate, non dettate da fattori economici ma dall'interesse verso il personaggio che andrà a interpretare.
Secondo te la serialità italiana si sta aprendo a nuove suggestioni rispetto al passato?
Va considerato che in questo momento la situazione è molto fluida, per non dire caotica in generale. Perché se è vero che il proliferare delle piattaforme in America ha alzato un po' la qualità, e penso a delle serie straordinarie fatte da Apple o da Netflix, in Italia questo non è ancora successo. Non è successo anche se c'è una concorrenza che, rispetto alla Rai, si può permettere di raggiungere dei budget che sono, se vogliamo, anche esagerati in proporzione. La Rai ovviamente si basa anche sul denaro pubblico nel fare determinate scelte e nel definire il budget per la fiction, che è comunque cultura, intrattenimento. La Rai sta dimostrando, anche attraverso i suoi dirigenti creativi, di saperci fare e di fare molto meglio di quello che c'è in giro e quindi non bisogna assolutamente vanificare tutta questa conoscenza, questo talento, perché comunque è un fiore all'occhiello dell'industria dell'audiovisivo in Europa. C'è però una sproporzione incredibile fra quello che tu hai a disposizione se fai una serie Rai o se fai una serie per una piattaforma e chi sta da questa parte soffre questa sproporzione. Ma non è che la si soffre perché uno si sente sminuito, la si soffre semplicemente perché ormai i ritmi di lavoro stanno diventando quasi impossibili, un po' da Giochi senza frontiere. Allora se hai mestiere ti salvi da un punto di vista, diciamo così, pratico e logistico. Se hai talento, a queste risoluzioni pratiche e logistiche derivate dal mestiere aggiungi anche una qualità che fa una differenza. Però è una lotta e quindi mi auguro che un giorno si possa arrivare a una sorta di livellamento non solo dei valori, ma anche proprio dei mezzi a disposizione. Perché è fondamentale avere anche il tempo di pensare quello che si fa. La chiave è avere un linguaggio che renda le serie sempre più internazionali, sempre più appetibili in un mercato globale, in maniera tale che si possano concepire poi delle idee di finanziamenti e di coproduzioni che ti consentano di arrivare a quel minimo indispensabile che ti serve per fare una buona messa in scena.