La prima serata di RaiUno si arricchisce di un'altra storia tutta italiana, Il bambino della domenica, un film a due puntate su un pugile onesto ma sfortunato che lotta sul ring e nella vita scontrandosi con nemici sleali e spesso più forti di lui, come la mafia.
Giuseppe Fiorello è il protagonista di questa storia avvincente che unisce la passione per lo sport alla voglia di vivere e di lottare per essere liberi. La forza di questo personaggio nasce e si alimenta da un bambino interpretato con un'autenticità commovente dal piccolo Riccardo Nicolosi.
Buona parte del ricco cast, il regista Maurizio Zaccaro, la produttrice Susanna Bolchi, gli sceneggiatori Paolo Logli, Alessandro Pondi e Andrea Purgatori hanno presentato il loro film in una interessante conferenza stampa a Roma. Presenti tra gli attori oltre al protagonista, colei che interpreta sua moglie Anita Caprioli, Vittoria Piancastelli nei panni di una suora, Francesco Foti nel ruolo di medico ed il bravissimo bambino che dà nome al film.
Il bambino della domenica andrà in onda nella prima serata di domenica 18 e lunedì 19 maggio su RaiUno.
Prima dell'intervento dei giornalisti con curiose domande alla troupe, Max Gusberti ha presentato il film con una breve introduzione.
Max Gusberti: Questo film permette di aggiungere ai titoli Rai un nuovo interessante personaggio tra le intense interpretazioni di Beppe Fiorello. Come spesso accade, anche qui la televisione raccoglie un genere dal cinema, ma oltre alla ripresa del film sul pugilato c'è molto di più. Il protagonista cerca di riscattarsi, di uscire dal mondo della mafia, di ricostruire la sua storia d'amore: il film cerca di andare oltre la box. Il centro focale della storia sono il pugno e lo sguardo. La mano stretta nella durezza di un cazzotto e gli occhi innocenti di un bambino che accendono la speranza sono il nucleo profondo del film e di queste due esistenze allo sbando. La presenza di questo bravissimo ragazzino richiama poi un'ispirazione al neorealismo italiano, cinema a cui il regista Maurizio Zaccaro è molto legato. È mostrata una Sicilia molto bella pur nelle sue piaghe, attraverso luci e cromie di una fotografia e una regia di immensa vitalità.
Un film ricco, fiero di una certa sontuosità, dove le inquadrature sono sempre piene e mai banali.
Zaccaro, perché questa associazione al neorealismo? Maurizio Zaccaro: È un'associazione libera. C'è un bambino e la sua storia, forse per questo. C'è tutto un mondo dietro il neorealismo che io amo: la cultura, la storia, un certo modo di vedere e vivere l'arte. È un cinema a cui, secondo me, si deve ancora continuare a dire grazie.
Fiorello, sei un pugile buono? Giuseppe Fiorello: Sono un pugile buono travolto da una serie di eventi. A causa di un tradimento perdo tutto: la moglie, l'amico e anche il pugilato, la cosa a cui tengo di più. Alla fine trovo questo angioletto che mi da la speranza. Il soggetto per questo film è nato una sera in cui io e Alessandro Pondi passeggiavamo sul Lungo Tevere. Sì, un momento molto romantico (ride scherzando, ndr). Io gli dicevo che mi sarebbe piaciuto fare il pugile un giorno. Così, è nata l'idea, è partito tutto da un sogno mio in fin dei conti. Lui, nel mentre, mi parlava della questione dell'affidamento dei bambini e del problema della mafia. Abbiamo unito le cose in un assemblaggio che ha fatto nascere questa storia.
È un sogno curioso quello di fare il boxeur. Da cosa nasce? E crede di aver esaudito adesso il suo desiderio? Giuseppe Fiorello: Il sogno era quello di interpretare un pugile, non di diventarlo davvero e questo, sia dal punto di vista tecnico che fisico, credo di averlo fatto bene. Secondo me, i pugili hanno un carettere particolare: hanno molto da dire ma riescono ad esprimersi solo con i pugni. Sembra sempre che i boxeur nascondano una grande umanità.
Come ti sei preparato per la parte? C'è stata una vera e propria trasformazione fisica per diventare un pugile.
Giuseppe Fiorello: Mentre gli sceneggiatori scrivevano la storia, io scrivevo il mio corpo. Mi sono affidato ad un personal trainer che mi ha scolpito. Ho iniziato ad allenarmi un anno e mezzo fa, all'inizio potenziando solo la massa muscolare per prepararmi fisicamente ad affrontare lo sport. Ho fatto una dieta particolare e poi un corso accellerato con un allenatore di box. A volte abbiamo fatto anche delle sezioni di allenamento notturno, per sembrare più credibile nelle scene di ripresa girate la mattina. È stata una grandissima fatica, ma volevo essere credibile.
Il pugilato è uno sport molto serio, è duro e violento ma, se ci si fà caso, alla fine del match i due pugili si abbracciano sempre... si nasconde una grande etica dietro alla box, molto più che dietro a tanti altri sport che simulano un apparente fair play.
Gli sceneggiatori cosa hanno da dire su questo film?
Alessandro Pondi: Questa è una storia piena di sfumature. Volevamo raccontare due personaggi, due anime dure e ferite che si aprono pian piano all'amore e alla fiducia verso il prossimo.
Paolo Logli: Io vorrei riconoscere un merito di Beppe: ogni sera, finiti gli allenamenti, arrivava da noi e leggeva la scena che avevamo scritto in giornata, confrontandosi con tutti nell'aggiustare battute e dialoghi. Questo ha permesso di fare un vestito su misura.
Andrea Purgatori: Credo che questo sia un prodotto cinematografico che può alzare la qualità della fiction italiana.
Anita Caprioli, cosa ne pensa del suo personaggio, la moglie del pugile, Anna?
Anita Caprioli: Di Anna mi ha affascinato l'indipendenza affettiva. Lei decide di abbandonare Marcello per rimanere da sola perché non vuole più soffrire. Ha la forza di uscire da una situazione che la fa solo stare male, anche se il legame tra lei e il marito è ancora forte. Compie una bella evoluzione e a un certo punto impone delle richieste al suo matrimonio da cui non transige.
La cosa che mi è piaciuta di più del film è la forza di questo bambino che permette ad Anna di scoprire dei lati nascosti di Marcello che non conosceva, quindi la rimessa discussione del personaggio.
Vittoria Piancastelli, l'abbiamo vista negli abiti di una suora molto in gamba. Come si è sentita ad interpretare suor Chiara? Vittoria Piancastelli: Ho scoperto che il vestito da suora non ti mette a riparo da niente. Non mi sono sentita protetta e questa cosa l'ho portata nel personaggio, cercando di interpretare una suora senza sicurezze certe e definite, ma con tanta speranza. Un certo rigore del contenuto corrisponde ad un rigore della regia. Zaccaro ha sempre diretto dietro la cinepresa, senza mai mettere altri dietro lka macchina e rimanendo distante. Anzi, quando si gira è a trenta centimetri da te, coinvolto al cento per cento, che ti dice cosa cambiare, cosa rifare, a darti l'imput per andare avanti. È un modo fantastico di alvorare per una attore. Non c'è la certezza, ma l'incertezza: si lascia spazio all'improvvisazione in un metodo di girare senza orpelli dove contenuto e forma si uniscono.
Invece chi è il dottor Andrea? Francesco Foti: È un dottore che si è innamorato. È stato strano lottare contro Beppe, fare scene anche violente, perché è un mio caro amico e ci conosciamo da tanto tempo. È stato strano anche lottare per una Anna, come mi era già successo nel film Raccontami, dove anche lì prendevo un bel due di picche. È meglio lasciar perdere le Anna.
Beppe Fiorello, grazie al grande successo che risquote nel pubblico, è uno degli attori che appare di più nei vari prodotti televisivi. Lei si è mai allarmato del pericolo di una sovraesposizione? Giuseppe Fiorello: Il rischio della sovraesposizione dipende da cosa si racconta. Negli altri film che ho fatto sono molto me stesso, almeno fisicamente, mentre qui sono del tutto diverso. Il pubblico ti accetta per quello che racconti non per quello che sei.
A questo punto della sua carriera, ha qualche desiderio nel cassetto? Giuseppe Fiorello: Mi piacerebbe acciuffare il cinema, il grande schermo, partecipare ai festival e raggiungere il pubblico internazionale. È anche vero che Rai Fiction mi ha dato la possibilità di raccontare storie che al cinema non hanno interesse a trattare e questo è un grande privilegio. Alla fine la direzione la dà il mestiere. È giusto avere un obiettivo ma quello che conta alla fine è la fortuna e gli incontri.
I pugni sono veri o c'è stato un lavoro di montaggio particolare? Giuseppe Fiorello: Sono sia veri che finti. Con alcuni pugili con i quali ho combattuto sulla scena potevo anche dare pugni veri, tanto non sentivano niente. Mentre è successo anche che uno di loro mi abbia colpito per sbaglio e sia finito con un occhio nero, cosa che però non nuoceva al resto delle riprese.
Come è stato scelto il bambino? Maurizio Zaccaro: Mi piace molto lavorare con i bambini. Il giorni in cui facevamo i casting c'era un caldo torrido, Riccardo era stato uno dei primi che ho visto. Dopo di lui ho visionato altri mille ragazzini ma sapevo già di aver trovato il mio protagonista. È bravissimo, oltre a saper recitare, capisce le sfumature dei dialoghi e delle scene, le atmosfere.
La scena in cui Beppe corre per le scale con la felpa e il cappuccio in testa è una citazione di Rocky? Siete suoi fan? Giuseppe Fiorello: A dire la verità, tutti i pugili si vestono molto per andare a correre, perché devono sudare molto. Quella scena non è una citazione, il mio film preferito sulla box è Toro Scatenato. Una citazione su Rocky c'è nel secondo episodio, quando un uomo al mercato mi grida dietro "Ah Rocky!"