L'Italia ha riscoperto le commedie romantiche? Così parrebbe. Certo, quella di Riccardo Antonaroli, vive e respira le inflessioni tipiche delle rom-com americane, strizzando l'occhio (vabbè, l'occhiolino) a Notte folle a Manhattan di Shwan Levy. Dovute e ovvie distanze, ma la concezione generale è abbastanza simile: una coppia, una crisi, una lunga nottata in cui venire a capo di un amore da salvare, tra incontri e scontri. Questo, almeno, il primo pensiero post-visione. Di contrabbalzo, però, la somiglianza diventa ancora più palese se pensiamo ad Honeymoon dell'israeliana Talya Lavie: infatti, sommessamente, scopriamo (con stupore) che Finché notte non ci separi altro non è che il suo remake diretto, fin dalla locandina, identica (per giunta, entrambi sono stati presentati in Italia al Taormina Film Festival).
Un po'... to much? Probabilmente. L'abbiamo scritto tante volte, non abbiamo nulla di personale contro i remake, ma una domanda sorge spontanea: possibile che il cinema italiano non riesca ad essere quasi mai originale in fatto di commedie (eppure c'abbiamo costruito la nostra industria!), affidandosi a cinematografie nettamente (e teoricamente) meno influenti? Perché poi da Finché notte non ci separi arriverebbero anche gli spunti giusti (a tratti pure gustosi), se non fossero però un adattamento consequenziale e non originale. Un adattamento costruito da Roberto Cimpanelli, Giulia Martinez e Susanna Paratore al meglio rispetto al materiale a disposizione, impegnati per quanto possibile a dare al film una sorta di identità rinnovata.
Finché notte non ci separi e un anello della discordia
Il plot di Finché notte non ci separi, è infatti pressoché uguale a quello di Honeymoon: Eleonora e Valerio (Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano), appena convogliati a nozze, stanno per passare la loro prima serata insieme da sposati in un albergo nel centro di Roma. Appena entrati in camera, tra ammiccamenti, stanchezza e frecciate agli ex presenti durante la cerimonia, Eleonora scopre un anello nella tasca della giacca di Valerio. Un dono della sua ex. Prevedibile finimondo. Inferocita, vuole venire a capo della situazione: se Valerio resta vago sul motivo del regalo, provando a minimizzare, Eleonora è invece determinata a scoprire la verità. Indossate un paio di sneakers arrivate in regalo dal suo ex (guarda caso), la ragazza si precipita in strada seguita dalle rimostranze di suo marito, che vorrebbe "solo" iniziare il matrimonio nel migliore dei modi: non c'è un attimo da perdere, bisogna andare a casa dell'ex fidanzata chiedendo direttamente a lei le spiegazioni del caso. Va da sé, le cose non andranno nel verso giusto.
La bravura di Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano per un remake che non incide
Non c'è dubbio che la cosa migliore di Finché notte non ci separi sia l'alchimia e l'intesa tra Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano. Essenzialmente, crediamo in Eleonora e Valerio, e ci ritroviamo in loro. Nel loro modo di approcciarsi all'incomprensione, alla bugia, alla verità. Fogliati e Schicchitano parlano con gli occhi, si muovono e litigano e fanno pace e poi litigano ancora come qualsiasi coppia del mondo. Potrebbero essere noi, noi potremmo essere loro. I loro sogni impossibili, i loro dubbi, i loro egoismi, il valore delle loro scelte. Sono bravi a rendere tridimensionale la relazione, esaltando la paura di un matrimonio che fa rima con un futuro piombato nel presente (crucio di una generazione irrisolta, e costantemente messa alla prova).
In questo senso, proviamo a contestualizzare il film di Antonaroli (che è un buon regista, basti recuperare su Netflix l'ottimo La svolta, fresco e originale), staccandoci per un attimo dalla sua matrice, e soffermandoci ancora sulla tangibile bravura di un cast ben assemblato (e citiamo anche Lucia Ocone e Giorgio Tirabassi, irresistibili genitori dello sposo). Per questo, quando i due si separano (momentaneamente) lungo la notte romana (molto poco sfruttata: perché non rendere il tutto più irrequieto e verace? Del resto, siamo a Roma!), il film finisce per perdere il suo mordente (complice un'onirica e incerta scena di tango), dissipando ciò che di autentico poteva esserci. Allora, torniamo al quesito iniziale: perché accontentarsi di una buona idea, invece che svilupparne di migliori? Il materiale umano ci sarebbe, basterebbe solo un po' di coraggio in più.
Conclusioni
Lo ripetiamo: nulla contro i remake, ma occasioni come Finché notte non ci separi appaiono sprecate. Lo spunto c'è, ci sarebbe, così come ci sarebbe il cast, sia protagonista che di contorno. Eppure, quella di Antonaroli finisce per essere una commedia poco ispirata, che poco sfrutta il contesto romano (la notte di Roma ha materiale per infinite storie), restando troppo legato al titolo originale. Peccato, perché poi la prova di Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano è di quelle altamente credibili.
Perché ci piace
- Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano sono molto bravi.
- Così come funziona il cast di contorno.
- Lo spunto...
Cosa non va
- ...poco sfruttato, e poco originale.
- La Roma notturna ha un potenziale illimitato: perché non utilizzarlo?
- Niente contro i remake, ma questo appare troppo svogliato.