13 dicembre 1972: negli USA esce L'avventura del Poseidon, il primo kolossal catastrofico a vantare un cast di grandi nomi. Ronald Neame dirige Gene Hackman, Ernest Borgnine, Shelley Winters, Roddy McDowall e Red Buttons nella storia di un transatlantico di lusso, il Poseidon, che a causa di un'enorme onda anomala scatenata da un terremoto sottomarino si rovescia. Delle centinaia di passeggeri, solo pochi si salveranno, e a caro prezzo. Il film diventa un successo immediato. A fronte di un budget di circa 5 milioni di dollari, ne incassa 84 e mezzo ai botteghini di tutto il mondo. Il genere catastrofico, che negli anni '70 ci regala alcuni degli indiscussi capolavori del genere, è pronto a conquistare le sale cinematografiche.
Una grande (dis)avventura
Come sempre accade, perfino ai classici che dovrebbero essere intoccabili, anche il Poseidon è stato oggetto di un dimenticabile remake in tempi recenti. Una pellicola che nulla ha a che vedere con la maestosità dell'originale, premiato con un Oscar per la colonna sonora (con la canzone originale The Morning After di Al Sasha e Joel Hirschhorn). L'avventura del Poseidon (The Poseidon Adventure) è stato girato in studio in California e, caso più unico che raro, è stato anche girato in sequenza: gli attori hanno recitato una scena dopo l'altra esattamente come previsto dal copione tratto dal romanzo di Paul Gallico, ispirato principalmente dalla disavventura della Queen Mary durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma i precedenti non mancano: ricorderete senz'altro la tragedia della USS Arizona, capovolta a Pearl Harbor in seguito all'attacco giapponese.
Un po' per la ferita della guerra ancora aperta negli spettatori dei primi anni '70, un po' per il cast di grandi nomi, un po' per la spettacolarità del film, L'avventura del Poseidon diventò subito un classico del cinema.
Numerosi gli incidenti sul set, altra ragione che spinse la produzione a girare il film in ordine cronologico, rispettando rigorosamente la trama, perché nascondere le ferite (vere, graffi e poco altro, niente di grave) mescolate a quelle fittizie del make-up sarebbe stato davvero difficile. Perché gli attori girarono quasi tutte le sequenze, con la sola esclusione di quelle drammaticamente pericolose, affidate agli stunt.
Modellata sulla Queen Mary, la nave venne ricostruita sui set e in un modellino in scala, usato per le scene degli esterni e per la sequenza dell'onda anomala.
Shelley Winters, appositamente ingrassata e invecchiata (aveva appena 50 anni) per la parte, prese lezioni da un allenatore di nuoto olimpionico per far sì che la sua celebre nuotata sott'acqua risultasse realistica.
L'avventura del Poseidon, con tutti gli aneddoti sulla sua realizzazione, i ritardi dovuti al lievitare dei costi, e le innovazioni tecniche (come la macchina da presa montata su un sistema idraulico che la inclinasse rendendo realistiche le riprese) contribuì alla nascita di un grande cult movie... ma anche a un filone che il cinema non avrebbe mai più smesso di sfruttare.
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Disaster movies a più non posso
Prima del Poseidon, avevano già avuto grande successo il primo Airport (1970), destinato a dar vita a una fruttuosa saga, e Andromeda (1970). Ma fu la maestosità del film di Neame - che non a caso definiamo il primo kolossal catastrofico - a dettare le regole del genere. Il disaster movie, il film catastrofico, si affermò con una propria identità e un vastissimo pubblico di riferimento. Il 14 dicembre del 1974 a New York viene proiettato per la prima volta L'inferno di cristallo, il film con Steve McQueen e Paul Newman diretto da John Guillermin (Assassinio sul Nilo, King Kong - altro film del filone). Il film impara dal Poseidon e lo supera, reclutando alcune fra le più grandi star dello schermo dell'epoca.
William Holden, Fred Astaire, Faye Dunaway, Richard Chamberlain, Jennifer Jones, Robert Wagner, Susan Blakely e Robert Vaughn, tanto per citare i più noti e amati, si uniscono a Newman e McQueen nella storia di un lussuoso grattacielo che si trasforma in un inferno di fiamme alla forzata inaugurazione.
Il dio denaro comanda: non a caso, come negli Airport (e come sul Titanic, nella realtà), sono i mezzi o gli edifici più rivoluzionari e lussuosi a venire distrutti. L'esclusività si lega alla voglia di primeggiare in tutto, a costo della sicurezza. E i privilegi dei ricchi cadono sotto i colpi del cinema, a furor di popolo. Un popolo talmente soddisfatto da fare dei disaster movies le pellicole più redditizie del decennio (e se ci pensate, anche Lo squalo di Spielberg, film per cui nel 1975 venne conta il termine blockbuster, cioè campione d'incassi, ha una bella fetta di catastrofico nella trama...).
L'inferno di cristallo vince 3 Oscar (fotografia, montaggio e colonna sonora), costa la bellezza di 14 milioni di dollari e ne incassa 116 in tutto il mondo. Un altro grande successo targato disastro. E il genere porta a casa due delle sue pietre miliari.
Le ragioni del successo
Registi e sceneggiatori, a fronte del successo di pubblico in tutto il mondo, s'interrogano. Non serviranno i futuri studiosi di cinematografia per svelare l'arcano. Il motivo della disaster-mania è evidente: la gente vuole assistere a film spettacolari, carichi di tensione e soprattutto completamente lontani dalla realtà. Una realtà già di per sé angosciante e disastrosa, sempre intenta a far quadrare il bilancio, a gestire le problematiche di salute, i rapporti coniugali e i figli adolescenti. Lo spettatore vuole evadere, restituendo al cinema il suo scopo primario: far sognare. Non importa se si tratta di incubi, l'importante è che lo spettatore si senta lontano dal luogo dell'azione. Non solo che lo sia. L'identificazione è infatti prevista, in caso, solo per i personaggi eroici, perché nessuno vuole identificarsi nella vittima di una catastrofe. Anzi: uscire indenne e rilassato dalla sala cinematografica fa sentire il pubblico al sicuro, dopo aver sfogato le tensioni proiettandole sugli sfortunati protagonisti. Tutto chiaro, quindi: bisogna scrivere quanti più film di genere, sfruttare il momento, scervellarsi nella creazione di situazioni sempre più complicate, avventurose e spettacolari.
Ma c'è anche un'altra ragione, squisitamente narrativa, che spiega la popolarità del filone catastrofico: la sua versatilità. Il disaster movie può tradursi in un'invasione aliena, regalandoci capisaldi della fantascienza come La guerra dei mondi e il già citato Andromeda che sono di fatto disaster movies. Come il classico del catastrofico Cassandra Crossing (1976), con la nostra Sophia Loren accanto a Richard Harris, Burt Lancaster, Ava Gardner e Martin Sheen su un treno i cui passeggeri sono inconsapevolmente portatori di un virus mortale. Oppure può spingersi decisamente verso il genere horror, con lo scenario post-apocalittico degli zombie di Romero, o verso il war movie con The Day After: noi che l'abbiamo visto all'epoca dell'uscita, avevamo paura ad aprire le finestre tanto ne eravamo rimasti condizionati. Erano altri tempi, certo. Tempi che il disaster movie poteva sfruttare in un modo che oggi assume un significato molto diverso.
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Quando Madre Natura si ribella
Nello stesso anno de L'inferno di cristallo esce anche Terremoto. Nel cast ancora grandi nomi: Charlton Heston, Ava Gardner, Walter Matthau, Genevieve Bujold, George Kennedy, Victoria Principal... Il più devastante terremoto di sempre, il famoso "big one", si abbatte su Los Angeles, devastando la città e raccontandoci le storie personali di un gruppo di personaggi impegnati a sopravvivere e a salvare le proprie famiglie. Ancora la natura, ancora il 1974, ancora star del calibro di Larry Hagman e Jessica Walter, ma stavolta siamo di fronte a un Uragano e a un film per la TV, che cade miseramente sotto i colpi della potenza degli effetti cinematografici, con cui il piccolo schermo - all'epoca - non può ancora fare i conti. Non come oggi, insomma. E ancora: Meteor (1979), primo della lunghissima lista di film in cui un asteroide, un meteorite o frammenti di essi minacciano la Terra. Sean Connery, Karl Malden, Natalie Wood, Henry Fonda e Martin Landau combattono per la salvezza del pianeta (e delle proprie vite) sotto la direzione di Ronald Neame, che tenta senza successo di bissare il capolavoro di genere ottenuto con L'avventura del Poseidon.
Tocca alla montagna con la Valanga del 1978, nel film con Rock Hudson e Mia Farrow che condanna senza appello l'avido affarista che vuole fare i soldi con gli impianti sciistici senza curarsi della natura del territorio. Un po' come l'ambizioso proprietario de L'inferno di cristallo, già pronto a guadagnare milioni con il lusso. Come di lusso era il transatlantico Poseidon, e come inascoltati erano stati gli allarmi dell'ingegnere in Terremoto. Ci siamo arrivati: la natura si ribella all'uomo, che la sfrutta. Ma siamo solo al capitolo iniziale della storia. Perché a essere punita è l'avidità, se proprio. Lo dimostrano 24 dicembre 1975: Fiamme su New York!, Il colosso di fuoco (1976), Città in fiamme (1979) e molti, molti altri titoli minori. Cambiamenti climatici e riscaldamento globale sono ancora fantascienza, per il genere. Tranne che per il grande Peter Weir, che già nel 1977 affronta l'argomento nel suo L'ultima onda. Peccato per la svolta un po' esoterica che ne compromette l'efficacia. In buona sostanza, però, siamo ancora lì. Al dio denaro e all'invasione di terre ancora inesplorate. Ancora lontani dal climate change destinato a diventare l'inquietante - e drammaticamente inascoltata - tematica più legata ai disaster movies. E vicinissimi alle "colpe" della fauna.
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Il divertentissimo - inavvertitamente - The Swarm - Lo sciame che uccide (1978) con Michael Caine, Olivia de Havilland e l'ormai veterano del genere Richard Chamberlain, ci racconta cosa succede quando a ribellarsi è la natura nello specifico delle sue creature. Quelle che l'uomo considera "di contorno" alla propria arrogante centralità. Ma non sempre ci siamo noi, in testa alla catena alimentare. Ce lo ricordava tutti il filone catastrofico sui mostri alla Godzilla, che nel 1976 si sublima con King Kong che si arrampica sull'Empire State Building. Cosa che non sarebbe successa se ci fossimo tenuti alla larga dalla sua isola. Più chiaro di così...
Del resto il filone animale del disaster movie aveva illustri precedenti: Gli uccelli di Hitchcock non ne è forse il più riuscito esempio?
Prima di arrivare agli squali trasportati dai tornado siamo passati dalle formiche assassine (Furia bianca, 1954), da una sorta di Bigfoot (The Legend of Boggy Creek, fallissimo tentativo di disaster movie del 1972), dagli alligatori (Alligator, 1979), dai barracuda (Barracuda, 1978) e dalle tarantole (Tarantola, 1955).
E arriviamo al primo film diretto da James Cameron: Piraña paura, che nel 1981 segue l'onda - e il termine non è casuale - della tendenza del catastrofico.
Giusto qualche titolo per dire che gli antenati dei leoni "mangiatori di uomini" che si facevano beatamente i fatti loro a casa loro, nel loro ambiente naturale, sono pressoché infiniti.
E i disaster movies degli anni '70 hanno provato a sfruttare anche loro. Con scarsi risultati, in generale.
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Eroi ed eroine
Verso la metà del decennio a farla da padrone, accanto alla spettacolarizzazione delle situazioni e al grande impiego di mezzi per gli effetti speciali sono uomini e donne.
Più che altro uomini, diciamolo. Shelley Winters fu un'eccezione. Siamo ancora lontani dalla Ripley del 1979 in Alien, ma ci stiamo arrivando. Anche perché per vederla veramente agguerrita dovremo aspettare il secondo capitolo della saga, nel 1986 (e di nuovo James Cameron fa capolino).
Siamo agli albori di quel genere catastrofico, principalmente post-apocalittico, che sfrutta la situazione per vedere come si comportano i personaggi. Per metterli alla prova. Per sottolineare tutta la disarmante umanità che si trova a fronteggiare situazioni d'emergenza, eventi inattesi, catastrofi o stravolgimenti del corso naturale della vita.
Prima di The Walking Dead, prima di eroi ed eroine pronti a sacrificarsi o a guidare epiche battaglie contro morti viventi o alieni invasori, c'erano i responsabili tecnici del grattacielo de L'inferno di cristallo e gli ingegneri di Terremoto che cercavano di mettere in salvo famigliari e sconosciuti. Eroici personaggi, come i piloti di Airport, pronti a rischiare il tutto per tutto pur di salvare il salvabile. Sono i nuovi eroi del cinema. I vigili del fuoco, i soccorritori, i poliziotti, i marinai che si mettono al servizio dei sopravvissuti, mettendo in gioco le proprie vite. E poi ci sono le persone comuni: la madre di famiglia o l'architetto che si trovano in balia di un evento catastrofico e fanno ciò che possono per aiutare gli altri. Oggi siamo inondati di (super)eroi ed eroine, sempre al centro della narrazione anche nei catastrofici contemporanei, con effetti speciali che gli anni '70 potevano giusto provare a sognarsi. Allora il pubblico era preso più dalle situazioni apocalittiche che dalle reazioni umane ad esse. Oggi l'allarme inascoltato dei climatologi di The Day After Tomorrow, che ha già quasi 20 anni sulle spalle, non stupisce più. Oggi siamo sommersi dagli allarmi e dai modi in cui le autorità e le persone comune li ignorano, li minimizzano, li ridimensionano. Oggi siamo esattamente all'opposto di ciò che il pubblico cercava nei film catastrofici degli anni '70: oggi non vogliamo saperne, di ciò che ci aspetta. E il cinema, come sempre, si adatta. Ai gusti del pubblico, alle sue esigenze, ai generi più in voga. Ne abbiamo appena visto uno, fortunatissimo e foriero di film cult che, rivisti oggi, fanno sentire nostalgia non solo per attori e registi, ma anche e soprattutto per il mondo che li aveva dati alla luce.