Era il 2002 o forse il 2003, quando passavamo davanti le finestre aperte, poco dopo aver cenato. Un rito che definiremo "tutto italiano": il ritrovo con gli amici del muretto, sotto casa, quando le giornate sono talmente lunghe che la notte sembra non voler arrivare. La scuola è finita da un po', e nell'aria c'è una sostanziale spensieratezza molto simile alla felicità. Dalle finestre usciva il rumore dei piatti, l'odore di cucina, le chiacchiere. Usciva la leggerezza di un tempo che non tornerà mai più. A mescolarsi, con quel quadretto di provincia, c'era la televisione che suonava accesa sul "6". Era di martedì, e sentivamo un giovanotto chiamato Tiziano Ferro cantare Rosso Relativo. Un brano che, solo dopo (molti) anni, avremmo compreso del tutto. Per coloro nati alla fine degli anni Ottanta, quello era il momento bramato per dodici mesi. Segnava ufficialmente l'inizio dell'estate. La stagione che faceva rima con sole, cuore e amore. La stagione dei santi e falsi dei. La stagione di quelli che vogliono viaggiare in prima. La stagione del Festivalbar.
Un incipit sentito, e forse anche abbastanza personale. Però, concedetecelo, in un'Era di revival, di reunion, di remake e di reboot, crediamo fortemente che sia arrivato il momento di far tornare in tv il Festivalbar. Ce lo meritiamo, anche solo per rimpinguare la nostra memoria arrugginita, e ormai disillusa. Ce lo meritiamo, anche perché la televisione, d'estate, è un vuoto a perdere: programmi musicali tutti uguali, svogliati, fastidiosi nel proporre format che risuonano come degli enormi spot, nel quale gli artisti sembrano coinvolti senza una vera continuità. Invece no, il Festivalbar era musica allo stato puro. Era il playback delle nostre emozioni. Emozioni goffe, scoordinate, grezze. Il Festivalbar era l'estate traslata su Italia 1. Lo vorremmo indietro anche perché era l'unico programma televisivo capace di assecondare sul palco Paola e Chiara ai Linkin Park, Shakira ad Alexia, Max Pezzali a Lenny Kravitz, i Red Hot Chili Peppers a Le vibrazioni. Insomma, qualcosa di impensabile.
Il Festivalbar, l'equinozio della nostra estate
I tempi, lo ripetiamo, sembrano maturi, nonostante la storia del Festivalbar si sia conclusa nel 2007. Ideata da Vittorio Salvetti nel 1964, come se fosse un jukebox da spiaggia, divenne una delle intuizioni pop per eccellenza, rafforzandosi grazie a Fininvest, che ribaltò il format, tra gara e passerella, tra passaggi radio e talent da lanciare, come Licia Colò, Amadeus, Fiorello, Federica Panicucci, Alessia Marcuzzi. In mezzo, la musica: un concorso di cui ci importava poco, ma funzionale ad alternare le varie tappe che ci avrebbero fatto conoscere la geografia: Lignano Sabbiadoro, Piazza del Plebiscito di Napoli, la Piazza degli Scacchi di Marostica, ovviamente la mitica Arena di Verona, agrodolce teatro che chiudeva il festival, e di conseguenza sanciva la fine dell'estate.
Insomma, le sere estive erano arrivate, e tutto proseguiva al meglio. Sembravamo immortali, accesi da quel frullatore musicale che surriscaldava la nostra immaginazione. Il mondo stava cambiando, e noi non ce ne accorgevamo: un tvb sul 3310, dopo aver sentito gli ZeroAssoluto sillabare Semplicemente. Il Festivalbar era il nostro equinozio, la colonna sonora dei nostri primi amori, delle nostre compilation preferite, una rossa e una blu. La legittimazione della musica pop, accessibile, sincera, analogica. Potevamo ascoltare i The Calling senza vergognarci, seguivamo i consigli sentimentali di Biagio Antonacci come se fosse l'Erich Fromm della musica italiana. Ci affidavamo a Natalie Imbruglia, quando i sogni erano troppo ingombranti, canticchiando Torn come se fosse una preghiera. E poi? Poi, la crisi: i costi del live salivano, le star internazionali iniziavano a latitare, gli sponsor si tiravano indietro. Per Andrea Salvetti, erede di Vittorio, che tuttora mantiene i diritti sul Festivalbar, non restò che chiudere bottega.
Dopo la chiusura, il vuoto
Il resto è storia: Andrea Salvetti, di riaprire, non ne ha più voluto sapere. Successivamente, il buco lasciato dal Festivalbar, divenne una voragine, riempita sia da Rai che da Mediaset, con diversi concerti che si alternano durante l'estate, e tutti brandizzati (Wind, Tim, Coca-Cola). Una voragine televisiva, ma anche emotiva. Parliamoci chiaro, sono mere copie di un evento che ha a che fare con i nostri ricordi, confinati in un passato prezioso, che nessun live estivo può rimpiazzare. In fondo, il Festivalbar era, per parafrasare Max Pezzali, "Lo strano percorso di ognuno di noi".
Il punto, lasciando da parte l'emotività, è che oggi il Festivalbar, pur teoricamente pronto per un ritorno (basti pensare al lavoro svolto sul Festival di Sanremo, tra playlist, richiamo generazionale ed engagement social), non avrebbe da offrire gli stessi musicisti che si sono alternati tra gli anni Novanta e i Duemila. Andrea Salvetti, in una recente intervista a Il gazzettino, ha spiegato che "L'attesa per un ritorno del Festivalbar è forte. Ma è cambiato il livello generale della musica: i talent show hanno puntato su ragazzi inesperti trasformandoli in professionisti. Questo non sempre riesce. Gli stessi ragazzi che, all'epoca, volevano partecipare al Festivalbar. Bisognerebbe tornare a vero lavoro dei talent scout, senza seguire le mode".
Il nostro appello, tra passato e futuro
Non c'è dubbio che, dal 2007 in poi, anche grazie ad internet, la voce di chi vorrebbe indietro il Festivalbar si fa sempre più marcata. Teoricamente si potrebbe immaginare un Festivalbar che punti sull'iconografia del marchio, agganciando i Millennials e la Gen Z in un solo colpo. Giocare di comunicazione, di marketing, di merchandising. Puntare alla nostalgia e al revival, magari facendo tornare sul palco i vecchi nomi internazionali che hanno calcato il palco, sicuramente più accessibili (molti di loro sono state delle meteore, ma poco importa), alternandoli alle nuove certezze discografiche italiane (Mahmood, Annalisa, Ghali e via discorrendo).
Sono suggestioni, ipotesi, a cui proviamo a dare un senso, una forma. Come ha scritto anche Il Fatto Quotidiano, tornando sul passaggio di Amadeus sul Canale Nove. Tra i format musicali in fase di studio, che poi sarebbero affidati al conduttore, perché non vagliare anche un nuovo Festivalbar? Amadeus sarebbe il nome giusto, visto il suo rapporto con il festival, e il suo lavoro fatto con Sanremo. L'ultima parole, naturalmente, è quella di Salvetti. Certo, pensare il Festival fuori da Italia 1 sarebbe una pazza idea, ma si diceva la stessa cosa della Nazionale di calcio trasmessa da Sky dopo la Rai. In conclusione, dopo questa deviazione, prendente il nostro come una sorta di appello. Sarà l'ennesima invocazione inascoltata, sarà incompiuta, e non ci farà riavere indietro quell'emozione, né quell'estate. Ma lasciateci "disegnar capriole a mezz'aria". Lasciateci rifugiare nel nostro passato. L'unico posto dove poterci sentire al sicuro, ascoltando quelle canzoni terribili, ma ancora bellissime.