Michael Mann ha una passione per le mani. Da James Caan che apre casseforti in Strade violente, alle dita di Chris Hemsworth che sfiorano i tasti di un computer in Blackhat, passando per quelle di Will Smith coperte dai guantoni in Alì, il regista è affascinato da queste estremità, colte sempre in movimento. L'elemento tattile nei suoi film è fondamentale: le mani che si muovono non esprimono soltanto i pensieri e la spinta ad agire dei personaggi. A volte arrivano perfino a sostituirsi agli altri sensi, come nella scena di Manhunter in cui Joan Allen "vede" la tigre accarezzandola. Anche nel suo ultimo film, con Adam Driver nel ruolo di Enzo Ferrari, Mann si concentra su questo dettaglio, mentre il fondatore della casa automobilistica modifica il disegno del suo motore. Regista d'azione e ossessione, Mann è uno dei grandi del cinema. Eppure la recensione di Ferrari non può che essere dura: la pellicola rappresenta il primo vero passo falso in una carriera notevolissima.
In concorso a Venezia 80, Ferrari arriverà nelle sale per Natale. Il regista, appassionato di corse, ha sognato il progetto per più di 20 anni. Ne parlò infatti nel 2000 con Sydney Pollack. Finalmente qualcosa si era cominciato a muovere nel 2015: all'epoca nel ruolo del protagonista avrebbe dovuto esserci il premio Oscar Christian Bale, uscito dal progetto nel 2016. Si pensò poi a Hugh Jackman. Ma anche qui, niente di fatto. Sembrava ormai un film destinato a non vedere la sala. Nel 2022 invece il colpo di scena: Adam Driver ha preso, letteralmente, in mano il volante di Ferrari. Penelope Cruz ha il ruolo della moglie, Laura.
Mann, che si è ispirato al libro biografico Enzo Ferrari: The Man and the Machine del giornalista Brock Yates, decide di raccontare un anno preciso nella vita dell'imprenditore: il 1957. Lo ritroviamo in lutto per la morte del figlio Dino, in crisi con la moglie e con l'amante, da cui ha avuto un altro bambino, a cui però non ha dato il suo nome. Anche dal punto di vista professionale le cose non vanno bene: la Ferrari deve investire, vendere più macchine. E per farlo deve vincere la Mille Miglia. Ancora una volta il regista di Heat - La sfida e L'ultimo dei Mohicani mette in scena una storia di fantasmi e ossessione. Soltanto che questa volta il vero spettro è il suo.
Ferrari: il trailer del film
Ferrari, Michael Mann e Adam Driver: "La storia di Enzo Ferrari? Puro melodramma"
Il fantasma di Michael Mann
Un regista è qualcuno che, senza controllo, non può fare il suo lavoro. Troppi dipartimenti, troppe persone dipendono da lui. Sarà forse anche per questo che Mann è affascinato da personaggi che amano il controllo, sono metodici, agiscono. Il suo Enzo Ferrari non fa eccezione: il film racconta un lutto, un grande dolore, ma in realtà è sempre l'amore per il proprio lavoro - a livello quasi patologico - che cattura l'attenzione di Mann. Lo dice lo stesso protagonista: "Devo avere il controllo totale".
Ferrari non fa corse per vendere macchine: vende macchine per poter correre. O almeno questa è l'idea romantica che si è fatto l'autore. Per lui portare un intreccio di bulloni e metallo alla massima velocità significa sfidare i limiti umani, vivere il presente, essere libero. Lo stesso vale per i suoi piloti, allora molto più incoscienti di oggi: basti pensare che a fine anni '50 le auto non avevano nemmeno le cinture di sicurezza. Dominare la strada significa dominare la morte. E per dominare la morte bisogna abbracciare la paura, essere determinati. Solo così si può vincere.
Michael Mann: la maestria e le emozioni del suo cinema in cinque scene da antologia
Tra una curva e l'altra delle piste che vediamo nel film, qualcosa deve essersi però inceppato. Costato 90 milioni di dollari, il film è girato in Italia, ma presenta effetti speciali al limite del presentabile. In alcuni momenti sembra di vedere davvero manichini lanciati in aria. Ma c'è di peggio: il film non sembra girato da Michael Mann. Almeno non interamente. Ci sono movimenti di macchina e scelte di inquadratura che fanno domandare se davvero il regista abbia avuto totale controllo sul film. Stessa cosa per il montaggio di Pietro Scalia, a volte davvero incomprensibile.
C'è poi un peccato originale: la scelta di far parlare i protagonisti in inglese, ma con accento italiano. Territorio già esplorato da House of Gucci di Ridley Scott, che ha in comune con Ferrari il protagonista Adam Driver e di cui il film di Mann sembra, purtroppo, parente. Non bastano il carisma e la bravura degli attori a risollevare un film che forse è arrivato fuori tempo massimo e che è molto lontano dalle vette a cui il regista di Chicago ci ha abituato. Come dice Tom Cruise in Collateral: "Ehi Max, un uomo sale sulla metropolitana qui a Los Angeles e muore. Pensi che se ne accorgerà qualcuno"? Stavolta è successo tra Modena e Brescia.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Ferrari, Michael Mann porta finalmente al cinema, dopo averlo inseguito per più di 20 anni, il suo progetto sulla vita di Enzo Ferrari. A interpretare l'imprenditore italiano è Adam Driver, mentre il premio Oscar Penelope Cruz è sua moglie Laura. Il regista continua la sua esplorazione di personaggi ossessionati dal proprio lavoro e dal controllo, ma stavolta il progetto sembra essergli sfuggito di mano: siamo di fronte al primo vero passo falso in una carriera monumentale.
Perché ci piace
- L'esplorazione di Mann di personaggi ossessionati dal proprio lavoro e dal controllo continua.
- Il carisma di Adam Driver e Penelope Cruz.
Cosa non va
- Gli effetti speciali: impresentabili.
- Diverse scelte di regia incomprensibili.
- Il montaggio spesso altrettanto incomprensibile.
- La scelta di far parlare gli attori in inglese ma con accento italiano.