C'era una volta Mrs. Fairytale. Una bella donna che credeva nelle favole, e se le portava ovunque: nel nome, in testa e nel cuore. Il suo regno perfetto odorava di lacca, profumava di pulito, era un idillio meraviglioso. I suoi giorni passavano felici nonostante fossero tutti uguali, chiusa in casa a coltivare il mito della moglie invidiabile al fianco di un cagnolino un po' strano. Insomma, un sogno in technicolor dentro un'America degli anni Cinquanta scintillante come la scocca di una Chevrolet. Un sogno, però, niente di più, niente di vero. Un sogno pronto a svanire quando si sceglie di aprire gli occhi. E allora, guardandola con uno sguardo diverso, la favola di Mrs. Fairtytale è un po' diversa.
C'era una volta una donna che in realtà era un uomo, picchiata da suo marito, vittima degli altri ma soprattutto di se stessa. Ironico sin dal titolo, Favola mette in scena una bugia bella e buona, e lo fa con il tipico tocco tragicomico delle storie capaci di far sorridere e poi pensare con l'amaro in bocca. Tratta dall'apprezzato spettacolo teatrale del 2011 diretto da Filippo Timi, l'opera seconda di Sebastiano Mauri traduce il palcoscenico in grande schermo senza perdere il brio frizzante delle migliori commedie. Sembra di essere in una storia di Ibsen, alle prese con l'ennesima figura femminile asfissiata da un'epoca e da una cultura in cui i ruoli sociali e i generi sessuali dovevano sempre essere socialmente accettabili.
Nell'America del boom economico si era allergici alle eccezioni alla regola. Per questo la tenera Mrs. Fairytale, interpretata da un istrionico Filippo Timi, si culla dentro le proprie illusioni, ama sfuggire alla realtà con piccole fughe tutte sue. Un passo di danza o una chiacchierata con un'amica, fa lo stesso. Almeno sino a quando ogni favola ti obbliga a capire come si fa a essere davvero felice e contenta.
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Come fossi una bambola
La moquette ha fallito perché, guardando Favola, sembra quasi di sentire il rumore dei tacchi sul palcoscenico. Claustrofobico nella sua ambientazione domestica, il film di Mauri esibisce dall'inizio alla fine la sua matrice teatrale. Ce ne accorgiamo dalla cura maniacale della scenografia e di ogni oggetto di scena (mobilio, abiti, riviste), un'attenzione che rende la casa di Mrs. Fairytale un veicolo del racconto. Chiusa a doppia chiave dentro la sua prigione dorata, la protagonista gode nel riconoscersi negli oggetti che la circondano, mentre il mondo là fuori, ben visibile fuori dalla porta e dalle finestre ci mostra scorci incoerenti d'America. Spiando fuori da casa sua, vediamo prima il Grand Canyon, poi delle villette a schiera e infine uno skyline metropolitano.
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Insomma, casa Fairytale potrebbe essere ovunque, oppure non esiste affatto, è solo un luogo privato di una persona alla ricerca della sua identità. Verboso e segnato da dialoghi incessanti, Favola è cadenzato da un ritmo accelerato, pieno di sequenze surreali e sopra le righe, che soltanto alla fine svelano la loro natura tragicomica. In questa matrioska in cui la finzione si nasconde dentro la finzione, Filippo Timi è straordinario a vestire i panni di un uomo che si sente donna, che è donna, che si muove, parla e sogna al femminile. Grazie a una prova eclettica, che mette in risalto la sua presenza scenica, l'attore umbro ci regala un personaggio tenero e sognatore, una donna fragile pronta a ripararsi dietro le sue false convinzioni. Mauri le scardina poco per volta con mano lieve, per poi incrinare il film verso un finale doloroso e solare allo stesso tempo. Un sapore dolce e amaro che ci riporta lì: nella vera natura delle favole popolari, spesso zuccherose ma dal cuore nero.
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Bugia: femminile, singolare
Sospeso tra spensieratezza e disgrazia, siparietti divertenti e parole taglienti, Favola non può fare a meno dell'immaginario in cui è immerso. Quell'America degli anni Cinquanta, così piena di fiducia, di felicità esibite e famiglie patinate, è un contesto perfetto in cui specchiare una protagonista incapace di vedere le cose come stanno. Mrs. Fairytale è bulimica di vita, perché ha paura di rimanere da sola a pensare alla sua esistenza miserabile. Per questo casa sua si trasforma in un affollato crocevia di incontri, un andirivieni di personaggi assurdi, utili a fare della distrazione la sua migliore amica. Maestri di mambo, idraulici e suocere sono lì a ricordare a Mrs. Fairytale quello che vorrebbe essere. Nonostante una leggera flessione nella parte centrale del film, Favola è ricco di battute significative e mai didascaliche, ma è soprattutto una storia che ci mette in guardia dai principali antagonisti della verità: noi stessi. È come se Mrs. Fairytale diventasse l'emblema delle bugie che amiamo raccontarci da soli, dei desideri castrati e poi barattati con la tranquillità, degli azzardi felici che facciamo volentieri sfociare nella meno ambiziosa serenità. Si ritorna sempre lì, nei drammi pirandelliani attorno e dentro di noi, nel teatro che sfonda ogni parete e diventa vita.
Movieplayer.it
3.5/5