Con Ai confini del paradiso, film vincitore del premio per la miglior sceneggiatura al festival di Cannes del 2007, Fatih Akin si conferma autore ispirato che sa districarsi con grande abilità tra i fili invisibili che legano tra loro gli esseri umani. Nel suo nuovo lavoro, il regista tedesco di origini turche torna a parlare di Oriente ed Occidente, attraverso sei personaggi le cui storie sono destinate ad intrecciarsi sul duplice sfondo di una Germania multiculturale ma distratta, e una Turchia strozzata dal fascismo. Alla presentazione stampa per l'uscita italiana del film è presente il regista Akin che tiene a precisare che la sua non è un'opera politica, ma uno sguardo filosofico sui rapporti umani.
Fatih Akin, il suo film mette in luce diversi problemi di un paese che lei ben conosce come la Turchia. Qual è il suo punto di vista rispetto alle questioni che lei pone, come diritti umani, terrorismo, condizione della donna?
Fatih Akin: Ci sono tanti temi che affronto nel film, ma ho voluto pormi nella posizione dell'osservatore, collocando la macchina da presa ad una certa distanza per varie ragioni. Una è dovuta alla quantità di argomenti affrontati, che non volevo travolgessero il pubblico, la seconda è che non era mia intenzione costringere gli spettatori a pensarla ad una certa maniera, perché volevo potessero crearsi da soli la propria opinione. La terza è che non volevo che nessun movimento potesse strumentalizzare il film ai propri fini, quindi non venisse considerato un film di sinistra, o un film pro o contro l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Nel fare questo film sono stato ispirato da registi come Fassbinder, per i quali le questioni politiche venivano usate unicamente come narrazione e non in maniera didattica. Credo che le ideologie politiche o religiose abbiano una certa portata, ma cosa c'è oltre ogni ideologia? Per quanto mi riguarda posso semplicemente dire che non credo più nella violenza, che se si vuole combattere un sistema non si può far riferimento agli stessi strumenti che questo sistema usa. Se c'è un regista politico che potrebbe darmi una direzione che seguirei è sicuramente Costa-Gavras. Il mio però non è un film politico, ma piuttosto un film filosofico.
Molto importante in Ai confini del paradiso sono i dialoghi.
Uno degli elementi principali del film è proprio il dialogo, la comunicazione, in un mondo globalizzato fra culture, sistemi e ideologie diverse. Quello che succede in Turchia in questo momento accade a causa della comunicazione. Ho voluto rappresentare questo mondo come lo vedo io.
Come già nelle sue precedenti opere, anche qui la musica ha un ruolo fondamentale.
Ho cercato in questo film di usare meno musica rispetto al solito perché ho voluto dare più importanza all'aspetto visivo, alle immagini. Ho guardato molti film muti per risolvere determinate questioni senza affidarmi alla musica. Quando l'ho utilizzata, non volevo fungesse da commento, ma rappresentasse uno strumento ulteriore per dare modo al pubblico di riflettere. C'è una canzone che si sente durante la scena ambientata nella stazione di rifornimento, scritta da Kazim Koyuncu, un'artista morto di cancro due anni fa. Avrei voluto utilizzare quella canzone per Crossing the bridge, il mio documentario sulla musica turca, e mi sono sentito in colpa per non averlo fatto, così ho cercato di recuperare in questo film, sperando sia una buona occasione per la sua riscoperta.
Nel film il protagonista regala un libro al proprio padre che deciderà di leggerlo però solo verso la fine, terminandolo in lacrime. Può dirci qualcosa in più su questo volume?
C'è una ragione profonda dietro alla scelta del libro usato nel film. Volevamo trasmettere il messaggio che la letteratura, l'arte, l'educazione, sono cose importanti, che i libri possono cambiare il mondo, tanto è vero che i nazisti li bruciavano, e che non si è mai vecchi abbastanza per imparare. In molti durante la realizzazione del film esprimevano la propria opinione sul titolo più ideale da utilizzare, ma poi ho scelto La figlia del fabbro di Selim Ozdogan, che parla dei conflitti generazionali, della perdita della propria casa, temi presenti anche nel mio film.
In Ai confini del paradiso si parla anche di omosessualità femminile.
Non era certamente nelle mie intenzioni fare un film sul coming out rispetto alla propria omosessualità. Quando scrivevo il film in realtà la persona che scappava dalla Turchia e incontrava una ragazza tedesca era di sesso maschile, però mi è suonato come un clichè alla King Kong che incontra la donna bianca. Ho provato allora ad invertire i ruoli, a scrivere di una ragazza turca che incontra un ragazzo in Germania che decide di aiutarla, ma anche in questo caso c'era qualcosa che non funzionava. Così ho scelto di cambiare le cose, di raccontare di una ragazza che ha subito al proprio paese tanta violenza da parte dei maschi e che perciò è più aperta a determinate esperienze e si sente più sicura con persone dello stesso sesso.
E' una cosa che ha creato scalpore in Turchia?
Non è certamente nuovo ciò che faccio, perché ci sono tanti registi turchi che si occupano di questa questione anche in modo più diretto. Il fatto di aver utilizzato una star come Nurgul Yesilcay ha però creato un certo scandalo in Turchia, soprattutto sulla stampa, e il filmato del bacio tra lei e la ragazza tedesca è finito su internet ed è uno dei più cliccati della rete.
Lei ha dichiarato che questo film è il secondo capitolo di una trilogia. Ne La sposa turca ha parlato d'Amore, in Ai confini del paradiso di Morte. Quale sarà il tema principale del suo prossimo lavoro?
La trilogia verrà terminata da un film sul Male che sto finendo di scrivere in questo periodo, ma per il momento non posso dire di più.
Qual è il suo rapporto col cinema?
A scuola tutte le mie amiche dodicenni erano pazze di Tom Cruise dopo averlo visto in Top Gun e noi maschietti volevamo essere tutti come lui. Crescendo ho capito che quel film era una semplice pubblicità per la marina, finanziata dal Pentagono, così come Armageddon era un film a favore della bomba atomica, finanziato anche questo dal Pentagono. E pensare che Francis Ford Coppola ha avuto tanti problemi a trovare i finanziamenti per Apocalypse Now, perché era un film contro la guerra. Poi ho visto film come Mississipi burning e quelli di Costa Gavras che mi hanno cambiato la vita. Credo molto nel potere del cinema. Certo, anche Goebbels credeva nel cinema, come manipolazione delle masse, ma io naturalmente voglio essere diverso.