La possibilità di essere migliori, la redenzione attraverso la fede, alla fine perfino sorprendente nelle sue dimensioni perché più forte di qualsiasi dubbio e di ogni tipo di avversità. Come vedremo nella recensione di Father Stu, c'è questo messaggio al centro del progetto di Mark Wahlberg, qui produttore e protagonista assieme a star come Mel Gibson, Jackie Weaver e Malcom McDowell: appena approdato su Sky e in streaming su Now, il film diretto da Rosalind Ross è ispirato alla vera storia di Stuart Long, singolare personaggio passato dal pugilato al sacerdozio attraverso l'aspirazione di diventare attore, e poi morto cinquantenne per una grave malattia.
Dalle botte sul ring a credente per amore
La vita di Stuart Long, nei cui panni si cala Mark Wahlberg per questo Father Stu, non è stata facile fin dall'infanzia: l'improvvisa morte del fratellino minore, ha spaccato la famiglia e ha portato il padre a prendere la strada dell'alcool e della rabbia, e la madre a diventare sostanzialmente anaffettiva. Però Stuart è deciso a suo modo farsi strada nella vita, diventa un pugile anche di buon successo prima di dover gettare la spugna per una grave infezione alla mascella. Nonostante la madre (una sempre convincente Jacki Weaver) non creda in lui, si convince con esagerato entusiasmo di poter fare l'attore, si dirige verso Hollywood ma solo per fare il commesso in un negozio per alimentari e sperare che qualcuno del settore lo noti.
Proprio qui arriva la folgorazione, ma non subito per Dio, bensì per una ragazza, Carmen (Teresa Ruiz), di origini messicane. Solo che lei è una fervente fedele, catechista nella chiesa cattolica. Ma per Stu, ateo e cresciuto in una famiglia che non vede di buon occhio la religione, non sarà un problema: per conquistare il suo cuore, è disposto a gettarsi anche in questo mondo per lui alieno. Finisce per farsi battezzare e frequentare la comunità. Ma dopo un terribile incidente, la sua fede diventerà reale e raggiungerà livelli estremi fino ad arrivare alla scioccante decisione, che spiazzerà la ragazza, di diventare sacerdote. Prima che un'altra drammatica novità non arrivi a complicargli il cammino.
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Il rischio di esser visto come uno spot promozionale per la chiesa
La più grande insidia per Father Stu, inteso come prodotto cinematografico, risiede proprio in quello che vorrebbe essere il suo messaggio. Il film trasuda una tale convinzione di fede che agli scettici, ai dubbiosi, ma soprattutto a chi ha posizioni ostili contro la chiesa, l'opera sembrerà soprattutto uno spot spirituale. Ma è inevitabile visto il fervente cattolicesimo di chi ha voluto il film e di chi vi ha partecipato. Mark Wahlberg, oltre a fare il protagonista (tra l'altro bravo e convincente, oltre che disposto a ingrassare di parecchio nella sua convincente metamorfosi fisica), ha investito milioni di dollari nel progetto.
Nel film suo padre è interpretato da un altro ultras della fede come Mel Gibson. E la sceneggiatrice e regista, al suo debutto nel lungometraggio, è Rosalind Ross, compagna proprio di Gibson. Con queste premesse, è inevitabile entrare dritti nello schema della classica storia di redenzione, del perdono fin troppo zelante, della pecorella smarrita folgorata sulla strada di Damasco, magari proprio da un evento soprannaturale. E non aiuta il fatto che il cambiamento del protagonista sia un po' troppo repentino, senza passaggi intermedi di dubbi e riflessioni.
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La forza della fede in un cocktail tra sacro e profano, tra sarcasmo e religione
Eppure di Father Stu vanno apprezzate varie cose: innanzitutto l'equilibrio che riesce a conservare, la capacità di non cadere nel melenso ma di restare ancorato alla realtà. Continuare a sentire parolacce e linguaggio triviale, nonché il tono scanzonato e sarcastico del protagonista anche dopo la sua "conversione", potrà forse essere straniante, ma questo cocktail di sacro e profano, i fitti dialoghi espliciti in cui si citano tranquillamente porno e fede, alcool e Dio, imprecazioni e preghiere, danno al tutto un tocco di naturalezza e umanità. Come va sottolineata la prova di Mark Wahlberg, perfetto nel conservare un tono ironico nonostante i tanti sgambetti del destino al suo personaggio: la morte del fratellino, il divorzio dei genitori, il guaio fisico che lo costringe a lasciare il ring, l'incidente stradale, fino alla mazzata finale della malattia.
Ma lui andrà fino in fondo, con coraggio e decisione. Tanto da trascinare alla fine tutti con sé, gli scettici membri della chiesa e perfino i suoi genitori. Ci sono vari spunti anche nel rapporto conflittuale con il padre Bill, sulle seconde possibilità, ma soprattutto il solito grande tema di come Dio possa permettere il male, addirittura a chi l'ha abbracciato per la vita. Ebbene Stu riesce a provare gratitudine perfino per la sofferenza e attraverso questo atteggiamento convertire altre persone. Inspiegabile, se non appunto con la fede.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Father Stu sottolineando la bravura di Mark Wahlberg, sia per l’intensa interpretazione, sia per lo slancio e la passione con cui si è speso per questo biopic su Stuart Long, ragazzo complicato che in mezzo a mille traversie da pugile è finito per fare il prete. Nel complesso e per certi toni, il film però a tratti sembra prendere la strada di uno spot promozionale perdendo un po’ di genuinità.
Perché ci piace
- L’interpretazione e la graduale trasformazione fisica di Mark Wahlberg.
- La passione e la convinzione che trasuda dal progetto.
- Per essere un debutto, la regia di Rosalinda Ross ha degli spunti interessanti.
Cosa non va
- La conversione del protagonista è trattata in modo troppo sbrigativo.
- Alcuni toni hanno inevitabilmente il sapore di un appassionato spot per la chiesa.