Per i fans della più longeva serie action dell'ultimo quindicennio, questo Fast & Furious 7 film ha un valore tutto particolare. Siamo infatti di fronte, com'è noto, all'episodio postumo della saga, quello che ha visto la tragica scomparsa del protagonista Paul Walker durante la sua realizzazione: lavorazione interrotta per quattro mesi, addirittura la messa in dubbio della prosecuzione delle riprese, infine il nuovo ciak con la sceneggiatura leggermente rimaneggiata, e le sequenze di Walker affidate a delle controfigure (tra queste, i due fratelli dell'attore Caleb e Cody) e alla CGI. Non è il primo film postumo che vediamo, in questa stagione, dopo un'annata in cui le dipartite, per lo più inaspettate (da Philip Seymour Hoffman a Robin Williams) non sono mancate.
Come nel caso di Notte al museo 3 - Il segreto del faraone, però, ultima apparizione sullo schermo di Williams, a colpire è qui il contrasto tra il tono scanzonato e autoironico del film, all'insegna di un intrattenimento non certo sofisticato (in linea coi rispettivi franchise), e l'inevitabile emozione di un involontario testamento artistico, i cui contorni tragici restano fatalmente extra-diegetici. Se, in quel caso, l'"omaggio" narrativo risultava casuale e non voluto, esplicitato in una scena che a posteriori assumeva un valore tutto peculiare, qui abbiamo un tributo deliberato, addirittura annunciato: tale, addirittura, da rompere l'equilibrio narrativo del film e le sue stesse premesse, provocando un'irruzione del reale nel racconto che lascia frastornati. Una scelta (a parere di chi scrive) cinematograficamente discutibile, ma dall'indubbia efficacia emozionale.
Gioco di squadra
Una saga come quella iniziata nel 2001 da Rob Cohen, pur mantenendo alle sue basi un corpus di elementi forti (automobili, muscoli e testosterone, emozioni semplici e basilari, un'enfasi - molto "borghese" malgrado la vita criminale dei protagonisti - sui valori della famiglia) ha visto nel corso degli anni alcuni evidenti punti di evoluzione; un'evoluzione abbastanza organica, pur nella diversa riuscita qualitativa dei suoi episodi, che la rende un oggetto interessante da studiare nell'ambito del moderno action occidentale. Il primo di questi punti è rappresentato dal graduale spostamento del focus da una dimensione duale (quella del confronto tra i due protagonisti, dapprima avversari, poi alleati) ad una maggiormente collettiva e di gruppo: al punto che, in particolar modo negli ultimi tre film, la gang di Toretto condivide (quasi) equamente la scena con i due protagonisti Vin Diesel e Paul Walker, avvalendosi anche di innesti rilevanti quale quello di Dwayne Johnson/The Rock. La dimensione collettiva del racconto è enfatizzata, qui, dalla scelta di un cast che riunisce, più che in passato, glorie vecchie e nuove del cinema d'azione; conferendo al film un mood simile a quello della saga de I mercenari - The Expendables, chiaro punto di riferimento e soggetto/oggetto di contaminazione reciproca. L'eroe solitario, al cinema, evidentemente non è più efficace come un tempo: via libera, così, al gioco di squadra, alle muscolari fatiche dell'azione da condividere in team, ma anche ad antagonisti dall'equivalente "peso" dei buoni: nella fattispecie, gente come Jason Statham e Tony Jaa, che ispirano qualcosa di più di un po' di simpatia. E via libera, anche, all'utilizzo di alcune icone indimenticate del genere, quali Kurt Russell (che invero, da par nostro, avremmo voluto ancora più presente): la memoria, per l'action di questo decennio (e in generale per tutto il cinema mainstream) ha un valore indiscutibile.
(Auto)ironia, assenza di gravità
L'altro punto di evoluzione della saga, portato del tutto a compimento in questo settimo episodio, è quell'elemento autoironico e sanamente scanzonato che avevamo già intravisto nel quinto film, che si era fatto più che evidente nel sesto, e che qui diviene uno dei punti cardine della pellicola. La saga di Fast & Furious non ha mai avuto, ovviamente, gli elementi della verosimiglianza o del realismo come basi; ma il graduale disancoramento delle sequenze d'azione da qualsiasi concetto di credibilità, la scelta di escludere tale preoccupazione dall'orizzonte concettuale della serie, si sono accompagnati a un approccio sempre più ludico e "astratto" (malgrado la fisicità generale) alla messa in scena. Il franchise ha scoperto, in modo sempre più evidente, di saper ridere di sé e smitizzare i suoi simboli: e alla sottrazione della "gravità" della narrazione, a un racconto che, mentre mette in scena e ribadisce la validità dei suoi topoi, non si vergogna di sorriderne, corrisponde un'equivalente perdita di gravità fisica; via libera, così, ad automobili che si lanciano disinvoltamente da rupi altissime, che attraversano in "volo" i grattacieli di Dubai, che da elemento di fisica potenza maschile divengono quasi emblema di invulnerabilità. Nella rutilante sequenza conclusiva, uno dei protagonisti si riferisce al drone scatenato contro di loro dall'antagonista di turno come a un'"astronave": e in fondo, dato il mood del film, l'inserimento di un elemento del genere non sarebbe apparso ingiustificato. A una New York che diviene, nel finale, un apocalittico campo di battaglia, alla statuarietà di guerrieri dai muscoli (letteralmente) esplosivi, si contrappone un'esibita assenza di credibilità, tale da sconfinare nell'astrazione.
In tutto ciò, un cineasta come James Wan ("prestato" alla saga dai territori dell'horror) ha ovviamente spazi di manovra piuttosto limitati; dovendo adeguare e contenere il suo cupo immaginario agli steccati di un genere che resta, in sé, piuttosto codificato. Wan, da par suo, riesce comunque a rendere l'azione in modo chiaro e abbastanza limpido; evitando di abusare dello strumento del montaggio, e mettendo in scena anche le sequenze più elaborate con un occhio al vigore e uno alla leggibilità.
L'omaggio, e il futuro
Torniamo brevemente, in conclusione, sul tributo che il film riserva, nell'ultima sequenza, allo scomparso Walker; e al modo in cui questo si inserisce, con tutte le sue implicazioni, nella struttura del racconto. Un tributo che fa sentire, ancor più di quanto sarebbe stato lecito attendersi, lo "stacco" tra la natura ludica del film e la tragedia che si è consumata durante la sua realizzazione: in una sequenza che, per come viene presentata, sconfina pesantemente al di fuori della diegesi, rivolgendosi direttamente alla memoria dello spettatore. Evitando di anticipare i contenuti di tale sequenza, chi scrive si limita a dire che, tra i tanti modi che il film aveva per omaggiare la figura del suo protagonista, questo è forse il più discutibile: la soluzione proposta appare difficilmente giustificabile nella fabula del film, e trova la sua ragion d'essere, appunto, solo nella scelta di saltare del tutto la mediazione del racconto, parlando direttamente a chi guarda. Una soluzione che, ovviamente, non lascia indifferenti (che si sia, o meno, spettatori affezionati della serie); ma che, così come viene proposta, non riesce a non trasmettere un senso di posticcio, di forzatura ad hoc, che complessivamente lascia più disagio che commozione. Quest'omaggio, in sé dovuto, finisce insomma per rappresentare la più evidente stonatura in un prodotto che per il resto, in circa due ore e un quarto di durata, mantiene una notevole compattezza. E le implicazioni per il prosieguo della saga (perché, a quanto pare, lo spettacolo non è destinato a finire qui) ovviamente non mancheranno.
Movieplayer.it
3.0/5