Strano avere a disposizione un mare di belle parole e poi non pescarne alcuna. È successo questo nel sottotitolo di Fabrizio De André - Principe Libero, dove nessuno ha scomodato i testi poetici del grande cantautore genovese, preferendo una celebre frase del pirata britannico Samuel Bellamy, che si definì, appunto, un "principe libero". Una definizione amata dallo stesso Fabrizio De Andrè, talmente affascinato da quelle parole corsare da citarle nella seconda di copertina di un suo album (Le Nuvole). Però, forse, quel sottotitolo contiene un indizio, una traccia, una suggestione. Forse è un ossimoro dove convivono le due anime di un uomo complesso e inquieto, perché De André era nato principe, figlio di una ricca e agiata famiglia borghese con un padre assai presente, e perché De André voleva sentirsi libero, svincolarsi da ogni destino previsto da altri e trovare la sua strada. Sbagliando, errando, facendosi male, ma pur sempre in libertà. Due accezioni che ben si sposano con le due donne della sua vita, con le due mogli Enrica Rignon e Dori Ghezzi.
Stando alla scrupolosa ricostruzione emersa dal biopic, la prima amava il De André ben incasellato nel ruolo di marito e padre di famiglia, un'immagine da difendere sempre e comunque, anche a costo di non voler vedere in faccia la verità. La seconda, al contrario, sembrava averne subito compreso lo spirito libero, a livello sia artistico che sentimentale. Due sfumature molto delicate da mettere in scena per Elena Radonicich e Valentina Bellè, abilissime nel tratteggiare con cura due donne così diverse e complementari.
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Sposare due anime
C'è una grande responsabilità nell'interpretare persone realmente esistite o ancora esistenti. Bisogna rispettare, non tradire, evocare, non giudicare. Questo è uno dei grandi meriti di Fabrizio De André - Principe Libero, capace di esplorare questi labili confini grazie ad uno sguardo appassionato ed educato nell'esplorare vite e anime altrui. Un compito arduo soprattutto per Valentina Bellè, che ha lavorato a stretto contatto con Dori Ghezzi, ovvero il "personaggio" di cui ha vestito i panni. Sulla difficoltà di un lavoro simile, l'attrice veronese ha detto: "Ho passato tanto tempo insieme a Dori. Mi ha accolto come se fossi una di famiglia, e si è dimostrata subito disponibile, aperta al dialogo, pronta ad aprirsi e confrontarsi. Sul set si avvertiva che lei era lì presente per amore del film e per dimostrarci la sua vicinanza. Così, dopo la paura e l'imbarazzo iniziale, ho preso tutto il buono che Dori aveva da darmi. Avere il proprio personaggio seduto dietro il monitor, mentre stai recitando, ti spinge a cercare il rispetto e ti porta verso livelli interpretativi nuovi. D'ora in poi farò così: immaginerò sempre il mio personaggio lì a guardarmi sul set". Lavoro diverso ma non meno delicato per Elena Radonicich (Enrica Rignon è venuta a mancare nel 2004), alle prese con un personaggio forte e fragile allo stesso tempo: "Questo è un film pieno di amore, sostenuto da un gruppo incredibile. Nessuno di noi si sentiva solo, nessuno ha mai recitato da solo. Quello che mi porterò dentro sarà il ricordo di un'esperienza felice e di un film da cui imparerò sempre qualcosa di nuovo ad ogni nuova visione. Grazie a questo progetto impegnativo, doloroso e gratificante ho potuto conoscere un artista enorme".
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