Nel 2002, Sam Mendes veniva dal clamoroso successo, da Oscar, della sua opera prima, l'acclamato American Beauty. Era mio padre, la sua attesa opera seconda, usciva in Italia 20 anni fa, il 13 dicembre del 2002, dopo essere stato presentato al Festival di Venezia dello stesso anno. E una delle prime scene vede proprio una famiglia in una sala da pranzo, attorno a un tavolo rettangolare, come in una delle scene di American Beauty. Ma i colori sono diversi: non ci sono più quelle tinte pastello, ma una penombra. È come se Sam Mendes volesse dirci subito che siamo in un'altra epoca, in un'altra storia, in un altro film.
Con Era mio padre, tratto dalla graphic novel di Max Allan Collins, Road to Perdition (che è anche il titolo originale del film) è un film completamente diverso da American Beauty. Ed è anche molto diverso dai film che sarebbero venuti dopo. Da quel momento abbiamo capito che, nella carriera di Sam Mendes, ogni film sarebbe stato una storia a sé, un genere diverso, un mondo diverso. È qualcosa che appartiene a pochi grandi registi, ad artisti, per fare un nome su tutti, come Stanley Kubrick. Era mio padre così diventa Il Padrino di Sam Mendes, un grande gangster movie, un film di mafia, un noir nel segno dei grandi classici del genere.
Nel nome del padre
Siamo nel 1931, nel freddo Illinois. Il "padre" a cui fa riferimento il titolo del film è Mike Sullivan (Tom Hanks), gangster che lavora per il boss John Rooney (Paul Newman), a cui è fedelissimo. Rooney lo ha preso sotto la sua ala protettiva, gli ha dato un lavoro e una casa quando non aveva niente, è qualcuno a cui deve tutto. E, per Rooney, Mike è come un figlio. Mike, a sua volta, ha due figli, Michael Jr. e Peter. Il primo, una sera, di nascosto, segue il padre e Connor (Daniel Craig), il figlio di Rooney, e vede questi uccidere un uomo. Mike rassicura il suo capo, il piccolo non parlerà. Ma Mike e la sua famiglia ormai sono considerati testimoni scomodi e per questo ordina di ucciderli. Mike e il piccolo Michael Jr, così, saranno costretti a fuggire, in un viaggio che li unirà e permetterà loro di conoscersi davvero.
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Con gli occhi di un bambino
Osservare il proprio padre, scrutarlo, provare a capire quale sia il suo lavoro, quale sia la sua vita. È questo senso di curiosità, tipico di ogni bambino verso l'adulto, quello che anima la storia di Era mio padre, il motore che dà il via a tutto. Perché seguiamo la storia con gli occhi del piccolo Michael Jr. É sua la voce narrante che ci introduce alla storia, è il suo sguardo quello con cui vediamo le vicende del padre Mike. Ed è letteralmente così perché molte delle inquadrature, soprattutto all'inizio, sono girate dal suo punto di vista: pensiamo a quando, da una porta socchiusa, scruta il padre tornare da lavoro, togliersi i vestiti, e con essi una pistola. Oppure quando decide di seguirlo di nascosto, e intravvede lui e Connor da dentro a un baule nella macchina che li porta a un incontro. E ancora, da un pertugio in una porta, in una visione che non può che essere parziale. Eccolo osservare il padre mentre partecipa a un omicidio. La rivelazione su chi sia il proprio padre è sconvolgente. L'idea di raccontare una storia di mafie e di gangster attraverso gli occhi di un ragazzino di 12 anni è una scelta forte, che dà al film un tono molto particolare. In tutto il film la brutalità e la tragicità del film di mafia viene continuamente contrastata dalla tenerezza che Mike, ma in fondo tutti, hanno nel trattare questo bambino. Dal suo punto di vista, è il passaggio dall'innocenza all'età adulta, in modo brusco, troppo brusco. È il suo romanzo di formazione. Perdition è il luogo dove il padre sta per condurlo, una località immaginaria sul lago Michigan. Ma la "strada per la perdizione" a cui allude il titolo del film è, ovviamente, quella di chi si affilia alla mafia, una strada da cui non si può tornare indietro.
Da graphic novel a film
In Era mio padre la graphic novel diventa film. Il rimando a quel mondo è suggerito dai fumetti che il piccolo Michael Jr. legge e in cui trova conforto, consolazione, un mondo in cui fuggire. Ma anche dalla fotografia di Conrad L. Hall che crea quell'effetto monocromatico e quei chiaroscuri tipici dei fumetti. In molte inquadrature del film sembra quasi di vedere l'inchiostro sullo schermo. Ma quelle luci e ombre sono quelle a cui ci hanno abituato i grandi classici del cinema di mafia americano, come quelli proverbiali de Il padrino. Era mio padre, allora, è una graphic novel che diventa grande cinema, cinema classico sin dal momento in cui è girato e concepito. Era mio padre può stare a ben diritto nel gotha dei grandi film del genere.
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Tom Hanks, Paul Newman, Jude Law e Daniel Craig
Così come Sam Mendes è assurto immediatamente al ruolo di regista di culto dopo un solo film, American Beauty. E, alla sua opera seconda, si è potuto permettere (non che l'opera prima non li avesse, anzi), un grande budget (la ricostruzione storica degli anni di Al Capone è accurata e imponente) e un grande cast. A partire da Tom Hanks, che dà al gangster Mike Sullivan un volto carico di umanità e sensibilità, quella tenerezza di cui parlavamo prima, senza mai far mancare al personaggio il senso di ineluttabilità e spietatezza che è la chiave del ruolo, e senza mai eccedere in eccessi che sono tipici di chi interpreta certi ruoli. Accanto a lui c'è Paul Newman, attore monumentale e tragico, che dà al film quel senso shakespeariano che è una delle cifre dei film di mafia, moderne tragedie elisabettiane. E ci sono anche un giovane e ancora relativamente sconosciuto Daniel Craig, che attraversa tutto il film con uno sguardo liquido, un misto di follia e debolezza, quella di un bambino non ancora cresciuto che vive all'ombra del padre senza esserne all'altezza. All'epoca, forse, tra tanti grandi mostri sacri, avevamo sottovalutato questo attore: non potevamo sapere che sarebbe diventato 007, e neanche che avrebbe ritrovato Sam Mendes come regista di due capitoli della saga di James Bond, Skyfall e Spectre. A lasciare il segno è anche Jude Law, nei panni di Maguire, killer psicopatico, occhio affebbrato e unghia lunghe e trascurate, che per lavoro fotografa i morti per i giornali e per arrotondare lo stipendio i mostri contribuisce a crearli. E poi, Stanley Tucci è il boss Frank Nitti, Ciarán Hinds è Finn Mac Govern, un altro gangster legato a Rooney, e Jennifer Jason Leigh è Anne, la moglie di Mike. Tyler Hoechin è il piccolo Michael Sullivan Jr., capace di tenere la scena accanto a Tom Hanks.
Una storia alla John Woo diventa Il padrino
"Avevo immaginato il racconto come una storia di John Woo, ma ne hanno fatto Il padrino e va bene lo stesso!". Lo dichiarò, appena visto il film, Max Allan Collins, autore della graphic novel. Ed è una frase che rende bene l'atmosfera del film, e la scelta di Sam Mendes, regista innamorato del cinema che sa come maneggiare un certo tipo di materia. Sam Mendes scelse così di girare un film rispettoso di quelle atmosfere. Ma, a suo modo. C'è. in tutto il film, qualcosa di sospeso, di ovattato, che attenua il mood tipico dei film di mafia. La fotografia di Conrad L. Hall, che vinse l'Oscar postumo per questo film (e numerosi altri premi, tra cui il BAFTA), in alcuni momenti, come quando enfatizza la neve, rendendo tutto ovattato, aiuta Sam Mendes a dare al film un'atmosfera particolare al film. Come lo aiuta la musica del suo storico collaboratore, Thomas Newman, che era state centrale anche in American Beauty, che sa essere epica, ma ha anche quella sua tipica caratteristica di rendere tutto sospeso, astato. Pensate alla sparatoria verso la fine del film, in cui non sentiamo gli spari, ma solo quelle note eteree, e vediamo i bagliori dell'arma da fuoco e la gente cadere al ralenti. Se Mendes è affascinato dalle atmosfere de Il Padrino, sceglie comunque di girare la sua idea di film di mafia. Come è spesso accaduto nella sua carriera, è interessato alla famiglia, ai rapporti tra padri e figli, come è stato in American Beauty, e come sarebbe stato in Revolutionary Road, American Life, e anche in Skyfall e Spectre. C'è, in Era mio padre, un senso di tenerezza e affetto che nei film di mafia non troviamo: quei discorsi tra padre e figlio, quegli abbracci così forti che pare di sentirli sono quello che rende il film di Mendes qualcosa di molto particolare. Quelle sei settimane passate con il padre saranno importanti per Michael Jr. La strada per la perdizione lui la eviterà, ed eviterà l'unica cosa di cui aveva paura suo padre: che diventasse come lui. E, a chi gli chiede chi era davvero Mike Sullivan, potrà rispondere scolmante: "era mio padre".