Era mio figlio, la recensione: il valore di una storia vera

La recensione di Era mio figlio, il film tratto da una storia vera con Sebastian Stan e Samuel L. Jackson, che racconta la storia di un riconoscimento al valore mancato.

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Era mio figlio: Christopher Plummer e Dianle Ladd in una scena del film

Per una volta iniziamo la nostra recensione di Era mio figlio dalla fine. No, il film di Todd Robinson con un cast stellare e tratto da una storia vera non è un film senza qualità, ma fa di tutto per farci uscire scontenti dalla sala. Con l'intenzione di elogiare l'atto eroico di un soldato durante la guerra del Vietnam e rendere sincera e giusta la lotta, trent'anni dopo, per il riconoscimento del suo valore con una medaglia al merito, il film esagera nei toni rendendo il tutto un po' pasticciato. Eppure, durante la visione, la sensazione è che sotto questo filtro spessissimo di retorica e semplicismo ci sia anche del buono che può far breccia, in maniera del tutto sincera, nel cuore dello spettatore.

Una questione di giustizia

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Era mio figlio: Sebastian Stan e Bradley Whitford in una scena del film

La trama del film si basa su un'indagine da parte di Scott Huffman, un civile che lavora al Pentagono, che deve fare luce su un'ingiustizia lunga più di trent'anni. Nonostante, durante la guerra del Vietnam, l'aviatore paramedico William Pitsenbarger abbia salvato più di sessanta vite prima di morire in battaglia, le sue imprese eroiche non sono mai state riconosciute dal governo militare. A quest'eroe manca una Medaglia d'Onore che i genitori, ormai vecchi e malati, stanno ancora aspettando. Scott, all'inizio controvoglia ma poi sempre più affezionato alla vicenda e ai coniugi Pitsenbarger, è costretto a intervistare i reduci ancora in vita per chiarire la faccenda, fino a scoprire le ingiustizie burocratiche della storia. Pur di far valere la giustizia rischierà la sua carriera e metterà in dubbio i suoi vecchi principi.

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L'eroe e l'uomo: dialoghi tra retorica e sentimento

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Era mio figlio: una sequenza del film

Difficile non immaginare il finale della storia (basterebbe una veloce ricerca online per fugare ogni dubbio) che, paradossalmente, è anche il momento più sentito ed emozionante di un film che, invece, cerca di essere forzatamente più emotivo di quanto lo sia in realtà. Sviluppando un discorso che vuole dare un duplice ritratto di Pitsenbarger (ma che finisce per contaminare tutti i personaggi del film) ovvero l'eroe di guerra da una parte e l'uomo altruista di buon cuore dall'altra, il film cede spesso nel rappresentare il lato eroico con sin troppa retorica. Ogni volta che un personaggio racconta episodi del passato o si getta in un monologo sull'onore, la devozione al proprio Paese, il senso di combattere, il film cerca in tutti i modi di commuovere lo spettatore inserendo un'orchestra romantica a tutto volume, lacrime che solcano i volti e frasi che non possono che risultare un po' troppo artificiose, arrivando persino ad accostare il lavoro di un parademico a un gesto divino.
L'eroe di guerra è rappresentato come un angelo di Dio senza mezze misure.

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Era mio figlio: un'immagine del film

Va decisamente meglio, invece, quando il film si concentra su un più sincero lato umano. Quando non vuole costruire il ritratto dell'eroe, ma si concentra sulla semplicità del buon cuore (cosa che Clint Eastwood ha rappresentato ottimamente in più occasioni negli ultimi anni, vedasi Sully o il più recente Richard Jewell) il tutto assume una dimensione più intima, meno cristologica e, di conseguenza, più universale. È un peccato assistere a un continuo desiderio di soffocare quest'ultimo aspetto più commovente con sequenze che sembrano scritte seguendo il manuale del buon patriota americano e che, nella realizzazione, ricordano certi film televisivi trasmessi nei pomeriggi natalizi con lo spirito del Natale trasformato in senso dell'onore.

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Tutto per una medaglia

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Era mio figlio: una scena del film

Appare quasi naturale un confronto tematico con un altro recente film di guerra che racconta altre gesta eroiche. Ci riferiamo a 1917 di Sam Mendes che sul valore di una medaglia ha idee molto diverse. Nelle prime fasi del film di Mendes assistiamo a un dialogo tra i due soldati dove l'uno confessa all'altro di aver venduto la sua medaglia per una bottiglia di vino: aveva sete e considerava quell'oggetto un semplice pezzo di latta con un nastrino. Discorso opposto in Era mio figlio, dove i fatti e le gesta di Pitsenbarger, comprovate e ricordate da tutti i personaggi che avremo modo di conoscere nel corso del film, non hanno valore se non esiste quello stesso pezzo di latta con il nastrino. È una presa di posizione forte che, fuor di retorica, potrebbe far alzare più di qualche sopracciglio da parte di noi spettatori non americani, estranei a questa cultura che il film rappresenta. Perché sentendo solo elogi e positività, mai un difetto, nei riguardi di William Pitsenbarger, eroe ricordato da tutti a distanza di trent'anni, ci verrebbe da chiedere se sia davvero necessario legarsi al riconoscimento e alla consegna di un oggetto. La domanda, di conseguenza, ci sorge spontanea: sono i valori e le azioni di un uomo a renderlo un eroe o un oggetto in suo onore?

Un cast stellare con il film sulle spalle

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Era mio figlio: Christopher Plummer e Sebastian Stan in una scena del film

Nessuna domanda o dubbio, invece, sul cast del film che propone attori in forte ascesa come Sebastian Stan, conosciuto soprattutto per il suo ruolo di Bucky Barnes nel Marvel Cinematic Universe, e altre vere e proprie istituzioni della settima arte come Samuel L. Jackson, Ed Harris e Christopher Plummer. Quest'ultimo, nel ruolo del padre di Pitsenbarger, vecchio e malato eppure desideroso di avere finalmente tra le mani la medaglia del figlio, ci ha particolarmente colpito per l'intensità nella recitazione, compassata e allo stesso tempo sentita. Una piccola nota di merito va all'ultima interpretazione della vita di Peter Fonda, nel ruolo di un reduce del Vietnam affetto da stress post-traumatico.

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Era mio figlio rinnovando il nostro dispiacere nei confronti di un film che sembra possedere due anime che lottano e si soffocano a vicenda. Nei momenti migliori, il film brilla con sincerità ed emozione ma quando preferisce un discorso sull’eroe americano invece che sull’uomo, coadiuvato da una messa in scena troppo semplicistica e dialoghi banali e retorici, cancella velocemente quanto di buono stava costruendo. Non mancano alcuni momenti riusciti grazie anche a un cast che con le sue interpretazioni riesce a mascherare i difetti gravi del film.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.8/5

Perché ci piace

  • Un cast stellare regge il film sulle proprie spalle.
  • Alcuni momenti riescono a emozionare con facilità.

Cosa non va

  • Spesso la retorica del film ne soffoca le qualità.
  • Il ritratto dell’eroe patriota americano è così senza sfumature che sembra fuori tempo massimo.