Dall'inizio, e ad un attimo dalla fine (perché è sempre una questione di attimi, o no?), non ci molla mai la sensazione che Pietro Castellitto, alla sua opera seconda, ci stia sapientemente prendendo in giro, per non usare un'altra inflessione ben più colorita. Sarà il suo sguardo sornione, tipico di una certa romanità impomatata, oppure sarà che il precedente film, I predatori, che a Venezia era andato nell'edizione mozzata del 2020, aveva sotto sotto una traccia goliardica, mai seria, mai allegra, con una certo tono enfatizzato da un dirompente narcisismo. Un narcisismo che torna forte, fortissimo anche in Enea, che a Venezia, invece, è andato (meritatamente) in Concorso. Così, il primo dilemma: ma essere narcisi è un pregio di prospettiva o un netto difetto? Di certo, non è questo il luogo per addentrarci nell'analisi (anche se di analisi e auto-analisi il film ne è pieno), ma è palese quanto Castellitto, regista, sceneggiatore, protagonista, non faccia quasi mai un passo indietro dalla scena, pur non essendo direttamente lui il punto più interessante del film.
Allora, con sprezzante onestà intellettuale, Castellitto sfrutta il suddetto narcisismo per delineare i confini di un film astuto, brillante e inaspettato, costruito a sua immagine e somiglianza cinematografica (tornano i colori complementari, che dipingono i volti dei personaggi, e torna la soundtrack piena di quei brani che probabilmente ruotavano in shuffle sul suo iPod Classic), ruotando in un'estetica risolta ed elegante. Troppi complimenti tutti insieme? Forse. Eppure, nella sua vanesia scrittura, dolce quanto brutale, saranno poi le mostruosità stratificate a prendere il sopravvento, finendo per rendere vive le increspature di un pugno di annoiati e nevrotici personaggi borghesi, che riflettono il relativo bisogno d'affetto di una generazione che non ha vissuto nulla, ma a cui è stato imposto tutto. Anche per questo Enea è un film di espedienti, di riflessi capovolti (papà Sergio Castellitto entra in scena tramite un riflesso a testa in giù...), di generi che ne nascondono altri. Un gangster movie disfunzionale, un romanzo di formazione, una lettera d'amore e di odio a quella Roma (nord) che dipinge, tra il serio e lo sberleffo, come fosse davvero il Vietnam.
Finché vedrai sventolar bandiera gialla...
Come l'ingombrante ed epico nome che porta, tanto il film quanto il personaggio, Castellitto riassume nella sceneggiatura la bisognosa volontà di sentirsi vivi. Vivi, presenti, potenti. Tuttavia, per la potenza, serve generosità e sacrificio, mica come il potere, che invece si basa sul dominio assoluto, bieco e spietato. Da questa sottile differenza, che esplode in uno dei tanti primi piani che si concede il regista e attore, la visione (anche) politica di Enea, con una buona dose di sovrabbondanza, cambia la zona di comfort, mostrando il lato oscuro di una sceneggiatura crepuscolare. Tutto, però, parte dalla ricerca della vita, inseguita da Enea e da Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio, che rivelazione), due amici della Roma dei circoli, del rum e della coca.
Enea e Valentino sono giovani, corrotti, alterati dal concetto di famiglia, di borghesia. Ma si vogliono bene, e sono settati per voler bene. Non sappiamo perché, ma verso di loro proviamo uno strano e fastidioso affetto: sono personaggi schematizzati, a volte respingenti, ma universali nei loro drammi e nelle loro gioie. Enea e Valentino, seguendo le indicazioni di Giordano (Adamo Dionisi), un nostalgico boss romano, spacciano cocaina come fossero narcotrafficanti colombiani, sorvolando il cielo vitreo della Capitale. Sotto, tra le strade, ci sono i loro legami, i loro dolori, le loro serate a cantare Bandiera Gialla, provando a beffare le ineluttabili consapevolezze.
Prospettive urbane e le vanità artistiche
Per scrittura e regia, Enea è un film in cui ciò che accade, accade all'improvviso. È un film che non segue una traccia precisa, concentrandosi su un'umanità in perenne crogiolo, e scollata dalla realtà delle cose. Pietro Castellitto racconta quello che conosce, esagerando (ovvio) nei termini e nei modi, ideando la matrice criminale come un accompagnamento capace di prendere il sopravvento. Ad aiutarlo, la colonna sonora di Niccolò Contessa o la fotografia di Radek Ladczuk, che colora le discoteche della Roma bene come fosse la Saigon del 1975. Tutto voluto, tutto cercato, tutto enfatizzato. Vanità narrativa compresa, mai edulcorata, mai celata. Come detto, se Enea dà il titolo al film, è il corollario che rende l'opera interessante e vitale. A cominciare dal personaggio di Valentino. L'interpretazione di Giorgio Quarzo Guarascio è tra le cose migliori - e che meraviglia la sua disperata intonazione di Spiagge di Renato Zero -, ma dall'altra parte avremmo voluto sapere di più di lui, dei suoi baci, del suo sguardo torvo ma rassicurante.
Enea, seguendo la tecnica e il cuore, è un mosaico di accenni che ruotano intorno ad una tavola imbandita per cena (altra nota stilistica di Castellitto), dove poter vomitare ricordi, idee, nevrosi. Dove poter ricordare il volto di una nonna, in una fotografia che vibra di rimorsi e parole non dette. A capo tavola c'è Sergio Castellitto, pater familias che suddivide le cose buone da quelle cattive, trattenendo la rabbia fino all'implosione. Davanti a lui c'è Pietro / Enea, figlio teneramente mammone (che male c'è, poi?) che dilania le emozioni quando si concentra proprio sulla figura materna, da chiamare anche quando non c'è più. Pietro ed Enea, lati diversi di due medaglie differenti (l'idea cinematografica potrebbe non essere l'idea personale di un regista, lo ricordiamo), autori di una vita da vivere cogliendo l'attimo, sentendo i battiti del cuore. Lo stesso cuore acceso dalla femme fatale del racconto (è o non è una gangster story?). Sarà Eva (Benedetta Porcaroli), in una troppo fugace (ma fondamentale) apparizione, ad essere il personaggio determinante per la maturazione e la ritrovata consapevolezza di Enea. Perché, mischiando le prospettive urbane e le vanità artistiche, il film pare dirci che non c'è compromesso che tenga: per sentirsi vivi, bisogna amare. Solo questo.
Conclusioni
Concludendo la recensione di Enea, rimarchiamo quanto Pietro Castellitto sia diventato un ottimo regista, sfruttando una certa vanità per costruire sequenze tecnicamente impeccabili. Un film più maturo, più strutturato, tuttavia meno forte nella seconda parte. Geniale l'intuito di riprendere davvero Roma Nord come se fosse il Vietnam, così come è interessante il personaggio del bravo Giorgio Quarzo Guarascio.
Perché ci piace
- Pietro Castellitto sa usare la macchina da presa.
- Giorgio Quarzo Guarascio è molto bravo.
- La disamina sulla borghesia.
- L'umorismo sul "Vietnam di Roma Nord".
- La sequenza finale.
Cosa non va
- La seconda parte perde l'abbrivio.
- C'è molta vanità, e questo potrebbe essere inteso come difetto.