È stato senza ombra di dubbio l'anno delle donne nella televisione americana, e soprattutto alla sessantanovesima edizione degli Emmy Award: Big Little Lies - Piccole grandi bugie, The Handmaid's Tale e Veep, tre opere accomunate dalla presenza di indomite e coraggiose protagoniste femminili al cuore del racconto, hanno sbaragliato la concorrenza nelle rispettive categorie, facendo incetta di premi, in un'edizione in cui non sono mancate altre serie con splendidi personaggi femminili, da The Crown a Feud: Bette and Joan.
Con otto statuette a testa, la miniserie Big Little Lies, firmata da David E. Kelley per la HBO a partire dal romanzo di Liane Moriarty, e la prima stagione di The Handmaid's Tale, realizzata da Bruce Miller per il servizio di streaming Hulu sulla base del capolavoro di Margaret Atwood, hanno prevalso su tutta la linea, lasciando ben poco agli altri titoli in gara in un'edizione in cui c'è stato davvero pochissimo spazio per i colpi di scena. Ma andiamo con ordine e ripercorriamo vincitori e momenti salienti di questi Emmy Award 2017...
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Il trionfo dell'ancella (e di Elisabeth Moss)
Se fino al 2017 Hulu non era esattamente uno dei "pezzi forti" del sistema televisivo americano, con The Handmaid's Tale la situazione è cambiata di colpo. L'angosciante cronaca di un prossimo futuro in cui un regime totalitario opprime le minoranze e relega le donne in una posizione sociale simile alla schiavitù ha colpito al cuore tanto la critica, quanto i giurati dell'Academy of Television Arts & Sciences, che hanno attribuito a The Handmaid's Tale otto Emmy Award su tredici nomination. Alle tre statuette tecniche assegnate durante la cerimonia della settimana scorsa, miglior attrice guest star per Alexis Bledel, miglior fotografia e miglior scenografia, ieri notte si sono aggiunti altri cinque trofei: miglior serie drammatica, miglior regia per Reed Morano, miglior sceneggiatura per Bruce Miller, miglior attrice supporter per Ann Dowd nella parte della spietata zia Lydia e ovviamente miglior attrice per la sua protagonista, una superba Elisabeth Moss.
La Moss, che in The Handmaid's Tale presta il volto all'ancella June Osborne, una giovane donna sottoposta a indicibili abusi ma determinata a riconquistare la propria libertà, ha finalmente ottenuto il primo Emmy della sua carriera dopo sette precedenti candidature andate a vuoto, sei delle quali per la serie Mad Men. Di fronte a Elisabeth Moss non ha potuto nulla neppure Claire Foy, la Regina Elisabetta II nella prima stagione della serie Netflix The Crown: tredici nomination e tre Emmy per la scenografia, i costumi e il miglior attore supporter al veterano John Lithgow nei panni del Primo Ministro Winston Churchill (per Lithgow, a cui è andato il primo trofeo consegnato durante la cerimonia, si tratta addirittura del sesto Emmy della carriera).
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Il ritorno di Sterling K. Brown e la battuta d'arresto per Westworld
Nell'ambito delle serie drammatiche, un premio di grande prestigio è stato attribuito a Sterling K. Brown, interprete di Randall Pearson nella prima stagione di This Is Us, dramedy familiare della NBC estremamente popolare negli USA. Brown, visibilmente emozionato, ha pronunciato un lungo discorso di ringraziamento, descrivendo il team della serie come "la migliore famiglia bianca che abbia mai avuto"; per l'attore si tratta del secondo Emmy consecutivo, dopo quello vinto un anno fa per American Crime Story. Su dieci nomination, This Is Us aveva ricevuto anche un altro Emmy per l'attore guest star Gerald McRaney.
Alla cerimonia di ieri notte, invece, nulla di fatto per le altre serie in corsa per i premi più ambiti. Westworld, il kolossal di fantascienza della HBO che partiva con ben ventidue nomination, ha dovuto accontentarsi di quattro Emmy tecnici per migliori effetti speciali, sonoro, trucco e acconciature; il fenomeno di Netflix Stranger Things, diciotto nomination, ha portato a casa cinque Emmy per miglior casting, montaggio, effetti sonori, sigla musicale e design dei titoli di testa. Un Emmy per la miglior colonna sonora su sette nomination per la quinta stagione di House of Cards, mentre non ha neppure la consolazione di una statuetta la terza stagione di Better Call Saul, nonostante le sue nove nomination.
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Fra le serie comiche inarrestabile Veep, doppietta per Donald Glover
Assolutamente nessuna sorpresa sul versante delle serie comiche, dove (come troppo spesso accade) i giurati degli Emmy tendono a puntare sul sicuro, votando in molti casi gli stessi vincitori delle precedenti edizioni; e infatti, per il terzo anno consecutivo è Veep della HBO, giunto ormai alla sua sesta stagione, a portarsi a casa il trofeo come miglior serie comica. In totale, quest'anno Veep si è aggiudicato cinque Emmy Award su diciassette nomination: miglior serie, miglior casting, miglior fotografia, miglior scenografia e miglior attrice per Julia Louis-Dreyfus nei panni della fittizia Presidente degli Stati Uniti Selina Meyer. Nella sua carriera Julia Louis-Dreyfus ha collezionato un totale di ben undici Emmy, inclusa la sesta statuetta consecutiva nella categoria come miglior attrice di serie comica: con questa telefonatissima vittoria la Louis-Dreyfus ha superato il record di Emmy vinti per la stessa serie, un primato che fino a questo momento condivideva con la Candice Bergen di Murphy Brown.
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Se Veep, come da copione, ha fatto ancora una volta la parte del leone, ha due importanti motivi per festeggiare il suo principale rivale di questa edizione: Atlanta, nuova serie della FX ambietata nel mondo della musica rap e ricompensata con due Emmy Award, attribuiti entrambi al giovane creatore e protagonista Donald Glover. Nel corso della cerimonia, Glover è salito sul palco due volte per ritirare i trofei per la miglior regia e come miglior attore protagonista per il ruolo di Earnest Marks, manager discografico alle prime armi in cerca di riscatto agli occhi della famiglia. L'Emmy per la miglior sceneggiatura di una serie comica, invece, ha visto incoronata la seconda stagione di Master of None della scuderia Netflix, otto nomination e due Emmy in tutto (miglior sceneggiatura e montaggio). Fumata nera, al contrario, per la quarta stagione di Silicon Valley, targato HBO: dieci candidature, ma neppure una statuetta.
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Anche agli Emmy... it's Saturday night!
E come da previsioni, questa edizione degli Emmy ha segnato un ennesimo trionfo per il popolarissimo Saturday Night Live: ieri notte lo storico show comico della NBC si è aggiudicato le statuette come miglior varietà di sketch, per il miglior attore supporter ad Alec Baldwin (al terzo Emmy della sua carriera), anche quest'anno strepitoso interprete di Donald Trump in una parodia che ha fatto scuola, e per la miglior attrice supporter a Kate McKinnon. La McKinnon, alla sua seconda vittoria consecutiva, nel suo commosso discorso ha ringraziato fra gli altri Hillary Clinton, oggetto della più famosa fra le proprie imitazioni. E a proposito della 'prevedibilità' di un'ampia sezione degli Emmy, nel nostro articolo sui favoriti sono risultati azzeccati tutti i pronostici nelle sette categorie riservate alle comedy series, con una sostanziale differenza rispetto alle serie drammatiche (quattro previsioni giuste su sette) e alla sezione di film e miniserie (quattro su otto).
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Otto Emmy per Big Little Lies, Nicole Kidman miglior attrice
Sguardo intimo e penetrante nelle vite private, nei silenziosi tormenti e nei segreti inconfessabili di un piccolo gruppo di donne di Monterey, sulla costa californiana, Big Little Lies - Piccole grandi bugie è stato l'asso nella manica della HBO, con otto Emmy Award su sedici nomination: miglior miniserie, regia, attrice, attore supporter, attrice supporter, casting, costumi e supervisione musicale (si tratta della prima volta che viene assegnato questo trofeo, appena inaugurato). E ieri notte, oltre al produttore David E. Kelley e al regista Jean-Marc Vallée (al timone di tutti i sette episodi), a salire sul palco sono stati anche la diva australiana Nicole Kidman, miglior attrice per la parte di Celeste Wright, madre di famiglia vittima di abusi domestici; lo svedese Alexander Skarsgård, miglior attore supporter per il ruolo del suo violento e possessivo marito Perry; e Laura Dern, eletta miglior attrice supporter e anche lei al primo Emmy della sua carriera (alla sesta candidatura) nei panni dell'altezzosa Renata Klein.
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Una statuetta per la quale Big Little Lies sembrava favorito, ma che invece si è visto sottrarre contro ogni pronostico, è stata però quella per la miglior sceneggiatura di film o miniserie: il premio è stato assegnato infatti a San Junipero, episodio della terza stagione di Black Mirror caratterizzato da un emozionante amalgama di romanticismo e fantascienza e ricompensato anche con l'Emmy Award come miglior film televisivo. La valanga di trofei al cast di Big Little Lies, invece, ha frenato la corsa di Feud: Bette and Joan, la miniserie della FX che vedeva in lizza ben sei interpreti, incluse le co-protagoniste Jessica Lange e Susan Sarandon: su un lauto totale di diciotto nomination, Feud ha dovuto accontentarsi di due premi minori per il trucco e le acconciature (ma avrebbe meritato anche qualcosa in più).
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Un'importante vittoria per Riz Ahmed, miglior attore per The Night of
Un riconoscimento di grande rilevanza ha incoronato invece una delle star emergenti degli ultimi anni, Riz Ahmed, che ha vinto l'Emmy Award come miglior attore grazie al ruolo di Nasir Khan, giovane tassista accusato di un omicidio che non ha commesso, in The Night of della HBO. Ahmed, candidato in compagnia del suo comprimario John Turturro, dal palco degli Emmy ha espresso la necessità di utilizzare l'arte per contrastare il razzismo e l'islamofobia, in linea con l'atmosfera socialmente impegnata della cerimonia. Su tredici nomination, The Night of ha mandato all'incasso un totale di ben cinque Emmy: miglior attore, fotografia, montaggio, sonoro ed effetti sonori. Delusione invece per la terza stagione di Fargo: su sedici nomination, il crime drama antologico della FX si è guadagnato una singola statuetta per la miglior colonna sonora.
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Una cerimonia a sfondo politico nell'annus horribilis di Donald Trump
Infine, qualche parola a proposito di una cerimonia che, come era lecito aspettarsi, ha dosato con disinvoltura i toni umoristici e la satira politica. Come di consueto, la serata si è aperta con il tradizionale numero musicale del conduttore, Stephen Colbert, con tanto di corpo di ballo che rendeva omaggio al look delle ancelle di The Handmaid's Tale. E nel suo discorso d'apertura Colbert non ha mancato di prendere di mira Donald Trump, ben poco amato nel mondo dello spettacolo americano, ricordando anche come, durante la campagna elettorale, Trump si fosse lamentato di non aver mai vinto un Emmy per il suo reality show; "Agli Emmy, a differenza delle elezioni, viene premiato chi conquista il voto popolare", ha sottolineato con ironia Colbert, facendo riferimento al fatto che Trump sia diventato Presidente pur avendo ottenuto quasi tre milioni di voti in meno rispetto a Hillary Clinton. Poco dopo, sempre in merito alla satira anti-Trump, sul palco del Microsoft Theatre ha fatto una breve apparizione Sean Spicer, ex portavoce della Casa Bianca, costretto alle dimissioni poche settimane fa e oggetto di una celebre imitazione da parte di Melissa McCarthy al Saturday Night Live.
In seguito, una bordata impietosa contro l'attuale Presidente americano ("Sessista, bugiardo, egocentrico e bigotto") è arrivata anche da un terzetto di presentatrici d'eccezione: Jane Fonda, Dolly Parton e Lily Tomlin, che nel 1980 avevano recitato fianco a fianco nella commedia femminista Dalle 9 alle 5... orario continuato (Jane e Lily erano candidate entrambe all'Emmy come miglior attrice comica per la terza stagione della serie Grace and Frankie). Un bersaglio meno 'caldo', invece, è stata la gaffe all'ultima edizione degli Oscar, con Colbert e Jimmy Kimmel pronti a scherzare sul rischio di sbagliare le buste dei vincitori: "Qui agli Emmy non succede", l'immancabile chiosa di Colbert.