Gli Emmy Award 2020 saranno ricordati come l'edizione record di Netflix: a prescindere dall'esito delle votazioni (i premi saranno consegnati il 12, 13 e 20 settembre), il servizio di streaming ha totalizzato infatti un bottino di centosessanta candidature per i premi della TV americana. Si tratta non solo del risultato più alto di questa settantaduesima edizione degli Emmy, con la HBO come distante seconda a quota centosette candidature, ma di un primato assoluto, superiore a tutti i precedenti record dei network tradizionali. Ma pure la HBO ha diversi motivi per festeggiare queste nomination agli Emmy Award 2020, a partire dal titolo in pole position con il bottino più alto in termini di candidature: Watchmen.
Watchmen e Mrs. America, tra affresco sociale e diritti civili
Ideato da Damon Lindelof rielaborando il capolavoro a fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons, di cui si propone come un ideale sequel, Watchmen è stato la serie-evento dello scorso autunno; un complesso racconto fantascientifico la cui rilevanza appare oggi ancora maggiore alla luce dell'omicidio di George Floyd e delle proteste legate al movimento Black Lives Matter. Watchmen, che compete nelle categorie riservate alle miniserie, si è guadagnato ventisei nomination, fra cui miglior miniserie, miglior attore per Jeremy Irons, miglior attrice per Regina King e quattro interpreti secondari in lizza, inclusa l'attrice supporter Jean Smart. A contendere a Watchmen il trofeo come miglior miniserie saranno il dramma familiare Little Fires Everywhere, con Kerry Washington in lizza come miglior attrice, i titoli Netflix Unbelievable e Unorthodox e soprattutto Mrs. America.
Unbelievable, poliziesco incentrato su una catena di abusi sessuali e stupri, e Unhortodox, ritratto di una comunità ebraica ultraconservatrice, si sono rivelati due delle punte di diamante nel catalogo Netflix in quanto a opere drammatiche rivolte a un pubblico più adulto. Ma il vero rivale di Watchmen nel campo delle miniserie batte la bandiera di Hulu, una delle realtà televisive più interessanti degli ultimi anni: si tratta di Mrs. America, affresco corale sulle lotte femministe degli anni Settanta fra società, cultura e politica. Capitanato da Cate Blanchett, candidata come miglior attrice nei panni di una leader del movimento antifemminista, Mrs. America ha collezionato dieci nomination, incluso un terzetto di attrici supporter (Uzo Aduba, Margo Martindale e Tracey Ullman).
Watchmen, oltre il capolavoro: dalla HBO una lezione a Hollywood
Tra i film TV in prima fila Bad Education
Lo strapotere di Netflix si estende pure alla cinquina per il miglior film TV con ben quattro pellicole in gara, fra cui Dolly Parton - Le corde del cuore e lo spin-off El Camino - Il film di Breaking Bad; eppure a spuntarla sarà quasi certamente l'unico titolo targato HBO, ovvero Bad Education di Cory Finley, storia di corruzione e compromessi morali nell'ambiente delle scuole statali americane, con un magnifico Hugh Jackman in prima fila come miglior attore. A contendergli l'Emmy, oltre ad Irons, l'intenso Paul Mescal di Normal People, Mark Ruffalo in un doppio ruolo in Un volto, due destini e, a sorpresa, Jeremy Pope per la miniserie Netflix Hollywood, che ha ricevuto ben dodici nomination (troppa grazia).
El Camino, recensione del film di Breaking Bad: un'ode a Jesse Pinkman
Le serie drammatiche: Ozark, Succession e la new entry The Mandalorian
Nel campo delle serie drammatiche, due titoli hanno dimostrato di godere appieno dei favori dei giurati degli Emmy, totalizzando diciotto nomination a testa. Il primo è Ozark, crime drama di Netflix giunto alla sua terza stagione, con Jason Bateman e Laura Linney in lizza come protagonisti e una pioggia di candidature multiple in categorie di peso quali miglior regia e sceneggiatura. Il secondo è Succession, graffiante satira su un gruppo di famiglia a capo di un impero finanziario, con una seconda stagione che ha già trionfato ai Golden Globe lo scorso gennaio; fra i prodotti più originali e intriganti realizzati di recente dalla HBO, Succession può vantare un cast strepitoso che, quest'anno, vede schierati per gli Emmy i co-protagonisti Brian Cox e Jeremy Strong insieme a tre attori supporter e alla sopraffina Sarah Snook come miglior attrice supporter.
Tornano in lizza per gli Emmy anche le terze stagioni di due delle serie di punta di Netflix: The Crown (tredici nomination), che ha visto l'esordio di Olivia Colman nel ruolo della Regina Elisabetta II e, fra le attrici supporter, di Helena Bonham Carter nei panni della Principessa Margaret, e Stranger Things (otto nomination, assai meno rispetto ai fasti degli scorsi anni); la terza stagione della distopia fantascientifica The Handmaid's Tale (dieci nomination), fiore all'occhiello di Hulu; la terza stagione dello psico-thriller della BBC Killing Eve (otto nomination, fra cui la coppia di protagoniste Jodie Comer e Sandra Oh); e la quinta stagione dell'acclamatissimo Better Call Saul della AMC (sette nomination). L'unica novità è costituita dunque da Disney+, che debutta nell'agone degli Emmy con The Mandalorian, serie ambientata nell'universo di Star Wars (quindici nomination, quasi tutte nelle categorie tecniche).
Succession 2, la recensione: il cinico ritratto di una famiglia in lotta per il potere
Le altre novità, da The Morning Show a Euphoria
Un'altra, importante new entry nel panorama televisivo, Apple TV+, non è riuscita a penetrare nella categoria più importante, ma in compenso può festeggiare le otto candidature per The Morning Show, dramma sul dietro le quinte del giornalismo sul piccolo schermo, che porta in lizza i protagonisti Steve Carell e Jennifer Aniston e gli attori supporter Billy Crudup e Mark Duplass. La terza stagione di Westworld raccoglie undici nomination, ma nessuna nelle categorie di maggior peso; e sempre in casa HBO, debutta con sei candidature l'innovativo teen drama Euphoria, inclusa la nomination come miglior attrice per Zendaya, mentre la relativa delusione per il ritorno di Big Little Lies - Piccole grandi bugie (campione agli Emmy 2017) si è tradotta in appena cinque candidature, fra cui quelle per una coppia di attrici supporter del calibro di Laura Dern e Meryl Streep.
The Morning Show, la recensione: TV e scandali nell'era del #MeToo
Le serie comiche: accanto a Mrs. Maisel la sorpresa è Schitt's Creek
Come per la serie drammatiche, anche l'Emmy Award per la miglior serie comica vede una selezione di otto candidati: a partire dalla terza stagione de La fantastica signora Maisel, capofila del catalogo di Amazon Prime con un bottino di venti nomination, inclusa la strepitosa mattatrice Rachel Brosnahan e altri sei interpreti sparsi fra varie categorie. A fare notizia, tuttavia, sono state in primo luogo le quindici nomination per la sesta stagione di Schitt's Creek, amatissima sitcom canadese che, grazie a un successo crescente dovuto al formidabile passaparola, si propone come il titolo da battere e lancia in prima fila fra i candidati per gli Emmy da protagonisti i veterani Eugene Levy e Catherine O'Hara.
Oltre a Schitt's Creek, la maggiore sorpresa sul versante delle serie comiche sono state le otto nomination per la seconda stagione di What We Do in the Shadows, mockumentary a tinte horror della FX. E curiosamente, fra tutti i candidati per l'Emmy come miglior serie comica non figura alcuna new entry, a riprova della tendenza dei giurati a "puntare sul sicuro" ripetendo le scelte degli anni passati: accanto ai tre titoli già citati troviamo infatti il ritorno di Curb Your Enthusiasm, alla decima stagione, e la quarta stagione di Insecure, entrambi per la scuderia della HBO; due serie Netflix alla loro seconda stagione, Dead to Me - Amiche per la morte e Il metodo Kominsky; e, per la NBC, la quarta stagione di The Good Place.
La fantastica signora Maisel 3, recensione: Il mondo di Midge sempre più grande
Attori e attrici candidati, da Michael Douglas a Mahershala Ali
Pochi colpi di scena anche nelle categorie riservate agli interpreti: fra gli attori tornano veterani quali Michael Douglas (Il metodo Kominsky) e Ted Danson (The Good Place), accanto ai quali si fa spazio il giovane Ramy Youssef per Ramy, candidato anche come miglior regista; fra le attrici, ad accompagnare la Brosnahan e la O'Hara ci sono le due protagoniste di Dead to Me, Christina Applegate e Linda Cardellini, e la Issa Rae di Insecure. La sitcom Black-ish, giunta alla sesta stagione, vede di nuovo fra i candidati agli Emmy Anthony Anderson e Tracey Ellis Ross, mentre fra gli interpreti secondari di quest'anno si segnalano il 'solito' Alan Arkin de Il metodo Kominsky e Mahershala Ali per Ramy.
Dead to Me 2, la recensione: le improbabili coincidenze del karma
Le omissioni, da Moss e Witherspoon a Russell Crowe e The Great
E a dispetto dalla vasta quantità di nomi e titoli inseriti nella maggior parte delle categorie principali, come ogni anno non mancano alcune omissioni più o meno inattese. Ad esempio, a dispetto della pioggia di nomination per le rispettive serie, hanno mancato la candidatura Elisabeth Moss per The Handmaid's Tale, Bob Odenkirk per Better Call Saul, Larry Davis per Curb Your Enthusiasm e Reese Witherspoon, alla quale non è bastato recitare in tre show di successo quali The Morning Show, Little Fires Everywhere e Big Little Lies per tornare in gara agli Emmy. La stagione conclusiva di Homeland, nonostante la pioggia di trofei degli esordi, si ferma a un'unica nomination per la regia, mentre una delle migliori novità del 2020, la serie satirica a sfondo storico The Great, deve accontentarsi di due nomination per regia e sceneggiatura.
Se la carenza di candidature per The Great (e per Elle Fanning nel ruolo di Caterina di Russia) rappresenta una delle sviste più imbarazzanti di quest'anno, una sorte analoga è toccata del resto alla miniserie in costume Caterina la Grande, che ha visto sfumare perfino la speranza di nomination per una beniamina degli Emmy quale Helen Mirren. Sempre nel settore delle miniserie, nella cinquina delle attrici si vedono snobbate Kaitlyn Dever e Merritt Wever, le comprimarie di Unbelievable, e fra le attrici supporter le splendide Rose Byrne e Sarah Paulson di Mrs. America. In casa Showtime è fumata nerissima per The Loudest Voice, che vede ignorato pure un Russell Crowe trasformista come non mai: a pesare, probabilmente, è stata la messa in onda l'estate scorsa. Una 'scusante' non valida in compenso per il recentissimo Il complotto contro l'America, altro ottimo titolo sacrificato in una competizione che, da qui a settembre, si preannuncia serratissima.
Il complotto contro l'America, la recensione: l'incubo fantapolitico di Philip Roth