Un trionfo senza precedenti. Un trionfo prevedibile solo in parte, e non certo in queste proporzioni. Il trono di spade ha appena scritto un nuovo capitolo nella storia della TV americana, grazie a una notte da ricordare che suggella come meglio non si potrebbe il successo epocale della sua quinta stagione. Dopo aver raccolto ben ventiquattro nomination, la serie fantasy basata sui romanzi di George R.R. Martin si è aggiudicata infatti un totale di dodici Emmy Award: nessun'altra serie era mai riuscita in un'impresa simile in una singola annata.
Ma più in generale, la 67° edizione degli Emmy Award sarà ricordata come l'edizione del clamoroso riscatto della HBO. Dopo le parziali delusioni dello scorso anno, la rete satellitare che più di tutte ha contribuito al "rinascimento" della narrazione seriale per il piccolo schermo ha messo a segno un poker storico, vincendo i premi più importanti in tutte e quattro le categorie dedicate alla fiction televisiva: miglior serie drammatica, miglior serie comica, miglior miniserie e miglior film TV (quest'ultimo premio era stato assegnato la settimana scorsa).
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Winter has come: dodici statuette e record per Il trono di spade
Si prospettava un duello serratissimo fra Il trono di spade e l'ultima stagione di Mad Men, con la serie sui pubblicitari di Madison Avenue forte di un rinnovato consenso da parte della critica: invece, quella che avrebbe potuto essere la celebrazione 'postuma' di Mad Men si è trasformata in un inarrestabile plebiscito per lo show della HBO, creato da David Benioff e D.B. Weiss.
Dopo gli otto premi tecnici di una settimana fa, infatti, anche nelle categorie di maggior prestigio Il trono di spade ha inanellato una vittoria dietro l'altra: prima per la miglior sceneggiatura, poi quella per la regia di David Nutter (due premi attribuiti entrambi per lo stupefacente season finale, La misericordia della madre), quindi il trofeo come miglior attore supporter a un incredulo Peter Dinklage. Dinklage, al suo secondo Emmy dopo quello vinto quattro anni fa sempre per il ruolo di Tyrion Lannister, ha reso omaggio dal palco al favorito della categoria, il Jonathan Banks di Better Call Saul (sette nomination andate a vuoto).
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A quel punto Il trono di spade aveva già stabilito un record, ma ormai era facile intuire dove tirava il vento; e così, al termine delle tre ore esatte della cerimonia degli Emmy, è arrivata pure la ciliegina sulla torta, ovvero la statuetta come miglior serie drammatica. La dodicesima della serata, ma la prima ottenuta dallo show di culto della HBO nella categoria più ambita, con gli autori, il cast e lo scrittore George R.R. Martin insieme sul palco per festeggiare la vittoria. Nell'arco degli ultimi cinque anni, Il trono di spade ha collezionato un bottino di ventisei Emmy Award: un altro record per una serie drammatica, condiviso ex aequo con Hill Street - Giorno e notte e West Wing. Ma è solo questione di tempo: fra un anno, è quanto mai probabile (anzi, scontato) che Il trono di spade aggiungerà qualche altra statuetta alla propria bacheca, stabilendo così un primato unico e senza pari negli annali degli Emmy. Insomma, stavolta l'inverno è davvero arrivato!
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E alla fine arriva l'Emmy: Jon Hamm miglior attore per Mad Men
Come già accennato, la potenziale quinta vittoria per Mad Men come miglior serie drammatica non si è concretizzata (e pure in quel caso sarebbe stato un record); la seconda parte della settima stagione dello show di punta della AMC partiva con undici nomination, ma ha visto sfumare quasi tutte le sue speranze. Con una singola, significativa, doverosa eccezione: perché quest'anno, dopo sette candidature infruttuose, era indispensabile ricompensare Jon Hamm per il suo profondissimo e struggente ritratto di Donald Draper, miracolosa incarnazione del Sogno Americano rovesciato nella propria negazione. E così è stato: quando Tina Fey ha pronunciato il nome di Jon Hamm, l'attore si è lasciato andare ad un lungo sospiro ed ha letteralmente 'strisciato' sul palco, mentre scattava la standing ovation dei suoi colleghi. Incredibile ma vero, nonostante l'enorme consenso riscosso in passato da Mad Men agli Emmy, Jon Hamm è stato l'unico interprete della serie ad aver ricevuto la statuetta nell'arco di ben otto anni.
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Rivincita black: Viola Davis e Uzo Aduba
Dopo le polemiche sugli Oscar e le mancate candidature per Selma - La strada per la libertà, la "questione razziale" è rimasta al centro dell'attenzione nel mondo dello spettacolo per diversi mesi; e già nel monologo d'apertura della cerimonia il conduttore Andy Samberg aveva fatto cenno al tema, sottolineando la presenza di numerosi candidati afro-americani e ironizzando con la battuta "Bene, il razzismo è debellato!". E il problema delle opportunità per gli attori neri è stato sollevato anche da Viola Davis: la stimata interprete di The Help ha mostrato grande commozione al momento di ritirare l'Emmy Award come miglior attrice di dramma per la prima stagione de Le regole del delitto perfetto, in cui impersona lo spregiudicato avvocato Annalise Keating, ha condiviso la vittoria con l'altra candidata di colore della categoria (Taraji P. Henson per Empire) e ha omaggiato le attrici nere che hanno raggiunto la fama al cinema e in TV. Meno schiettamente 'politica', ma decisamente più emozionata è stata Uzo Aduba, ricompensata un po' a sorpresa come miglior attrice supporter per Orange Is the New Black, spostato quest'anno dal versante delle serie comiche a quello delle serie drammatiche; la Abuda, già premiata l'anno scorso ma come miglior attrice guest star di commedia, non ha trattenuto le lacrime al momento di salire sul palco.
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Comedy series: dalla novità Transparent ai "premi fotocopia"
Il 2015 è stato l'anno della battuta d'arresto di Modern Family, campione incontrastato come miglior serie comica addirittura per cinque anni consecutivi, ma rimasto infine all'asciutto per la sua sesta stagione. Con Modern Family messo fuori gioco, le categorie riservate alle cosiddette comedy series hanno rivelato le virtù e i limiti che da diverso tempo affliggono le giurie degli Emmy in generale e le serie comiche in particolare. Partiamo dalle virtù, vale a dire quella di aver riservato il giusto spazio a una delle novità televisive più applaudite dell'anno, ammettendo i neonati Amazon Studios nel circolo delle blasonatissime reti in competizione per i trofei di maggior peso. Stiamo parlando, naturalmente, di Transparent, che su undici nomination si è portato a casa cinque Emmy Award, fra cui miglior regia per Jill Soloway, la creatrice dello show, miglior attore per Jeffrey Tambor, magnifico nel ruolo della transessuale Maura Pfefferman, maturo padre di famiglia alle prese con un cambiamento di sesso, e miglior attore guest star per Bradley Whitford. Sia Tambor che la Soloway hanno colto l'occasione per ringraziare la comunità dei transessuali e per rivendicare la necessità di garantire loro la parità dei diritti di fronte allo Stato.
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Ma al di là delle (doverose) vittorie di Transparent e Amazon Studios, per il resto le giurie degli Emmy hanno continuato a mostrare una sorta di 'immobilità' che, dopo anni, rischia purtroppo di ridurre al minimo l'interesse verso varie categorie di spicco. È vero, l'imbattibilità di Modern Family ha ceduto il posto all'affermazione di Veep, la serie della HBO giunta alla quarta stagione e ricompensata per la prima volta con il premio come miglior serie comica, per un totale di cinque Emmy (fra cui miglior sceneggiatura e miglior casting) su nove nomination. Bisogna però aggiungere che, nelle altre categorie, sono stati riproposti gli stessi vincitori di passate edizioni: Julia Louis-Dreyfus, deliziosa interprete del fittizio Presidente americano Selina Meyer, è un'attrice sopraffina, ma quello di ieri notte è stato il suo quarto Emmy consecutivo per Veep (e il sesto Emmy complessivo della sua carriera), quando - tanto per cambiare - sarebbe stato possibile fare spazio ad Amy Poehler per l'ultima stagione di Parks and Recreation o alla neofita Amy Schumer, rivelazione dell'annata grazie ad Inside Amy Schumer (premiato in compenso come miglior serie di sketch).
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Trofei fotocopia pure nelle categorie riservate agli attori supporter: Tony Hale, comprimario della Louis-Dreyfus in Veep, ha vinto il secondo Emmy come miglior attore supporter, mentre la semi-imbattibile Allison Janney ha incassato la seconda statuetta consecutiva come miglior attrice supporter per la serie Mom. Per la Janney fra l'altro si tratta, udite udite, del settimo Emmy della sua carriera (ne aveva vinti altri quattro per West Wing e uno per Masters of Sex): ancora un trofeo e la nostra Allison sarà a pari merito con Cloris Leachman come attrice più premiata nella storia degli Emmy. E lungi da noi sminuire il talento di un'interprete sopraffina come la Janney, ma l'idea di vedere gli stessi vincitori di anno in anno, con tanti altri candidati meritevoli tenuti in disparte, di certo non accresce la nostra curiosità per queste premiazioni...
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Meritatissimo trionfo per Olive Kitteridge
Era stata una delle nostre assolute folgorazioni al Festival di Venezia dell'anno scorso: quattro ore di emozioni distillate con impeccabile maestria, di recitazione sublime, di scrittura raffinatissima, di personaggi in cui ritrovare speranze, gioie, desideri e rimpianti della vita di ciascuno di noi. Basato sul romanzo di Elizabeth Strout, Olive Kitteridge è stato uno dei più acclamati eventi televisivi degli ultimi anni, e nella cerimonia di ieri notte ha alimentato la grande riscossa della HBO, a cui va il merito di aver portato sullo schermo una delle punte di diamante della narrazione seriale contemporanea.
Forte di tredici nomination, Olive Kitteridge ha conquistato ben otto Emmy Award: miglior miniserie, miglior regista per Lisa Cholodenko (già autrice de I ragazzi stanno bene), miglior attrice per la strepitosa protagonista Frances McDormand, miglior attore per il suo comprimario Richard Jenkins, miglior attore supporter per Bill Murray (assente dalla cerimonia), miglior sceneggiatura, miglior casting e miglior montaggio. Con questo trofeo, la McDormand può ora vantare la cosiddetta triple crown of acting, avendo vinto anche i massimi riconoscimenti per il teatro (il Tony Award) ed il cinema (l'Oscar).
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Lo strepitoso risultato di Olive Kitteridge, asso pigliatutto nelle categorie principali, ha rappresentato la doverosa consacrazione per una miniserie capolavoro che ha incantato critica e pubblico; l'unica fra le categorie principali in cui ha prevalso un altro titolo è stata quella per la miglior attrice supporter, dove è stata incoronata a sorpresa un'emozionatissima Regina King per la serie drammatica American Crime (dieci nomination). Si sono consolati con i trofei assegnati la settimana scorsa, invece, American Horror Story: Freak Show della FX, con cinque Emmy Award su diciannove nomination, e il biopic Bessie, con Queen Latifah, con quattro Emmy Award (tra cui miglior film) su dodici nomination, sempre per la scuderia della HBO.
Gli snobbati del 2015 e le "fumate nere"
Vale la pena, nel lungo elenco dei vincitori, segnalare anche quei nomi e quei titoli che si sono distinti non poco nel corso dell'ultima annata televisiva, ma che non hanno trovato spazio al momento dell'assegnazione dei premi. Di qualcuno si è già detto, come la Amy Poehler di Parks and Recreation - e la Poehler, fra l'altro, con i suoi repentini cambi di look e le sue smorfie alla telecamera ha dato una salutare scossa di vivacità alla cerimonia. Ma ci sono da ricordare pure Kevin Spacey e Robin Wright, superbi protagonisti di House of Cards (undici nomination e due premi): e se Spacey ha dovuto piegarsi al sacrosanto Emmy a Jon Hamm, la Wright aveva di sicuro un personaggio più sfaccettato e interessante rispetto a quello di Viola Davis, protagonista di una serie che non brilla certo per le finezze di scrittura. Ma dispiace anche per la bravissima Christina Hendricks, che ha visto andare a vuoto l'estremo tentativo di assicurarsi un Emmy come miglior attrice supporter per Mad Men (e sarebbe stato quanto mai meritato), e per Sarah Paulson, impegnata in un sensazionale doppio ruolo in American Horror Story: Freak Show e alla sua terza candidatura consecutiva per la celebre serie horror. Fumata nera, infine, per lo sceneggiato storico Wolf Hall (otto nomination) e per le serie Better Call Saul e Unbreakable Kimmy Schmidt (sette nomination a testa).
Una cerimonia fra ironia, commozione e politica
Qualche ultima parola vale la pena spenderla sullo spettacolo in sé: una cerimonia di tre ore in cui i premi si sono susseguiti a ritmo piuttosto serrato, a dispetto di qualche breve momento di stanca. Promosso a pieni voti Andy Samberg, comico del Saturday Night Live nonché protagonista della sit-com Brooklyn Nine-Nine: per la prima volta nella veste di presentatore degli Emmy, Samberg si è fatto apprezzare per la sua ironia evitando però di strafare. Dal divertente numero musicale pre-registrato per l'apertura, con una parodistica dimostrazione degli effetti di isolamento prodotti dall'assuefazione alle serie TV, al consueto monologo iniziale (con tanto di frecciata velenosa a True Detective) e agli sketch fra un premio e l'altro (irresistibile la parodia della scena conclusiva di Mad Men), Samberg si è dimostrato un conduttore molto efficace (di sicuro assai più rispetto al 'povero' Neil Patrick Harris, ben poco convincente sul palco degli Oscar).
A un anno di distanza dalle elezioni presidenziali, non sono mancati naturalmente i riferimenti alla politica, e manco a dirlo il bersaglio prediletto è stato il discusso Donald Trump, oggetto di battute da diverse 'fonti'. Qualche momento di pathos, infine, verso l'epilogo della cerimonia: prima per l'applauso al mitico Mel Brooks, maestro della comicità sul grande schermo, chiamato a consegnare il trofeo per la miglior serie comica, e subito dopo per l'attore Tracy Morgan, ex interprete di 30 Rock, coinvolto nel giugno 2014 in un gravissimo incidente d'auto. Morgan, con gli occhi lucidi, ha ricordato i giorni trascorsi in coma, per poi stemperare l'atmosfera con una nota di autoironia e chiudere la serata con l'ultimo - e ormai scontato - premio da assegnare: quello che ha messo il sigillo alla straordinaria (e irripetibile?) annata de Il trono di spade e della HBO, mai come quest'anno padrona assoluta della scena televisiva.
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