Sto appena iniziando a comprendere come utilizzare certi strumenti. E ci sono un sacco di cose che devo imparare e che ho bisogno di mettere in pratica e con le quali voglio sperimentare.
È il mago della luce. Un artista del set che, sull'esempio di alcuni dei più geniali direttori della fotografia della storia della settima arte (da Vilmos Zsigmond a Vittorio Storaro), ha saputo realizzare alcune delle immagini e delle scene più stupefacenti viste sul grande schermo negli ultimi vent'anni. Ma Emmanuel Lubezki, cinquantadue anni, nato a Città del Messico, soprannominato Chivo dai suoi colleghi, è anche il maestro del piano sequenza, tecnica nella quale ha raggiunto livelli di virtuosismo che hanno davvero pochissimi uguali, perlomeno nel cinema contemporaneo.
Domenica prossima, Lubezki sarà fra i partecipanti alla cerimonia degli Oscar con la sua ottava nomination, conquistata grazie a uno dei maggiori successi dell'annata: Revenant - Redivivo, struggente film d'avventura e di vendetta realizzato da Alejandro González Iñárritu e ambientato negli scenari più selvaggi del Nord degli Stati Uniti, fra il Montana e il North e il South Dakota. Un'opera ambiziosa e imponente, con un Leonardo DiCaprio mattatore assoluto, pronto ad aggiudicarsi la statuetta come miglior attore, e un ruolo fondamentale giocato proprio dalla fotografia. E con Revenant Lubezki, favoritissimo dopo aver già ottenuto il BAFTA Award e il Critics' Choice Award, potrebbe mettere a segno un'impresa mai riuscita prima d'ora: portarsi a casa un terzo Oscar consecutivo per la miglior fotografia. Aspettando di sapere se sarà record, oggi celebriamo il contributo del grande artista messicano con un viaggio attraverso le meravigliose immagini da lui realizzate per sette film a cui Chivo ha, letteralmente, donato la luce...
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Ombre e nebbia: Il mistero di Sleepy Hollow
Attivo al cinema dal 1991, Lubezki si afferma nel mondo del cinema in virtù della sua collaborazione con il connazionale Alfonso Cuarón: i due condividono il rispettivo esordio con il lungometraggio Uno per tutte e da allora stringono un sodalizio che, nel 1995, li porta a realizzare La piccola principessa. Il film è un mezzo fiasco al botteghino, ma a sorpresa vale a Lubezki la prima candidatura all'Oscar della sua carriera. Nel 1999 Chivo viene ingaggiato invece dal maestro del cinema dark, Tim Burton, per uno dei suoi film di maggior successo: Il mistero di Sleepy Hollow, ghost story ambientata al tramonto del diciottesimo secolo e tratta dal celebre racconto di Washington Irving. E Sleepy Hollow, sinistro villaggio nello Stato di New York, meta dell'ispettore Ichabod Crane (Johnny Depp), assume un tenebroso fascino proprio per merito della fotografia di Lubezki, che utilizza coltri di nebbia, luci tiepide e colori tendenti al nero per generare la sinistra atmosfera gotica che domina tutto il film. Un perfetto contrappunto visivo che vale a Chivo la sua seconda nomination all'Oscar.
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Illuminando il nuovo mondo: The New World
Il 2005 segna la nascita di un nuovo sodalizio per Emmanuel Lubezki, che nel frattempo ha acquisito sempre maggior prestigio a Hollywood prendendo parte a produzioni come Ali di Michael Mann e Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi di Brad Silberling: quella con il più elusivo fra i registi d'America, Terrence Malick. Girato fra l'estate e l'autunno del 2004 sulle sponde del Chickahominy River, nello Stato della Virginia, in un'area con tassi di umidità elevatissimi, nell'insolito formato 65 millimetri, The New World - Il nuovo mondo rimane, a detta dello stesso Lubezki, il set più logorante a cui abbia mai preso parte. Il dramma storico di Malick, ambientato all'inizio del diciassettesimo secolo e ispirato all'amore proibito fra il Capitano John Smith (Colin Farrell) e la giovanissima nativa americana Pocahontas (Q'Orianka Kilcher), viene messo in scena dal regista come un ideale poema visivo, in cui i dialoghi e l'azione sono spesso sostituiti dal puro valore delle immagini; e in tale prospettiva, Lubezki filma le foreste incontaminate della Virginia restituendo appieno l'incanto di una natura ancestrale e fuori dal tempo, guadagnandosi una terza nomination all'Oscar.
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Fantascienza fra realismo e long take: I figli degli uomini
Dopo Paradiso perduto del 1998, rivisitazione di Grandi speranze di Charles Dickens, e il cult generazionale Y tu mamá también del 2001, girato in Messico con un budget più contenuto, nel 2006 Emmanuel Lubezki ed Alfonso Cuarón si ritrovano sul set, questa volta a Londra, per un progetto assai più impegnativo: I figli degli uomini, film di fantascienza distopica tratto dall'omonimo romanzo della giallista P.D. James. Il ritratto di una civiltà in rovina, devastata dalla guerra civile, è presentato con uno stile quasi documentaristico, da cinéma vérité, contribuendo al senso di immedesimazione dello spettatore nello scenario caotico del film; Lubezki, inoltre, rinuncia all'uso di luci elettriche, per accentuare il senso di squallore e di crudo realismo del racconto. Ma a lasciare meravigliati sono gli spettacolari piani sequenza con i quali Chivo gira alcune fra le più elettrizzanti scene d'azione: i quattro, impressionanti minuti dell'agguato all'automobile di Theo Faron (Clive Owen) e la fuga di Theo in una zona in preda alla guerriglia urbana, in un long take di oltre sei minuti. Per I figli degli uomini Lubezki, alla quarta candidatura, sfiora l'Oscar, assegnato però al suo connazionale Guillermo Navarro per Il labirinto del fauno.
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Verso la meraviglia: The Tree of Life
A cinque anni dalle riprese di The New World, Emmanuel Lubezki viene richiamato da Terrence Malick per il suo atteso ritorno sul set: e il risultato è uno degli esempi di fotografia più strabilianti e poetici che il cinema ci abbia regalato negli ultimi anni. Premiato con la Palma d'Oro al Festival di Cannes 2011, The Tree of Life segna il definitivo abbandono, da parte di Malick, degli ultimi residui di narrazione tradizionale per tuffarsi in un flusso di immagini e di suggestioni incredibilmente libero e sorprendente. E in tal senso, il contributo di Lubezki a concretizzare la visione di Malick si rivela fondamentale: la mobilità e i virtuosismi della macchina da presa del regista si coniugano infatti con la capacità di Chivo di 'catturare' la meraviglia sprigionata da singoli istanti, dal riflesso del sole sui corpi e sui volti dei personaggi ai giochi di luce creati dai rami degli alberi o dal volo di una farfalla. Che si tratti della grazia sinuosa dei movimenti di Jessica Chastain o della rievocazione delle origini del pianeta, il potere ipnotico di The Tree of Life deriva in misura determinante dal lavoro di Lubezki, che incassa un'altra candidatura all'Oscar.
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La vertigine dell'infinito: Gravity
Se in The Tree of Life Emmanuel Lubezki aveva dovuto utilizzare la luce per rappresentare sullo schermo la meraviglia del nostro pianeta, due anni più tardi, in Gravity, la sfida di Chivo è quella di illustrare per immagini l'abisso senza fine dell'universo. Superba prova di maestria registica per Alfonso Cuarón, Gravity è uno dei fenomeni cinematografici del 2013, ricompensato da un enorme successo di critica e di pubblico e dalla vittoria di sette premi Oscar, incluse le statuette per la regia di Cuarón e per la fotografia di Lubezki, giunto ormai alla sua sesta nomination. La solitaria lotta per la sopravvivenza dell'astronauta Ryan Stone (Sandra Bullock) è messa in scena da Cuarón e Lubezki mediante il connubio fra il "mare di tenebra" in cui volteggia la protagonista e il bagliore del pianeta Terra, in un gioco di luci e ombre che lascia incantati. E la passione di Chivo per il piano sequenza si esprime, nella scena d'apertura, in un incipit ininterrotto di ben diciassette minuti: una singola ripresa che, si per sé, costituisce un capolavoro di abilità tecnica e di tensione narrativa.
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Le imprevedibili virtù del piano sequenza: Birdman
Subito prima di Revenant, Emmanuel Lubezki ha occasione di collaborare con il regista messicano Alejandro González Iñárritu ad un altro film accolto da lodi entusiastiche fin dalla sua presentazione al Festival di Venezia 2014: Birdman, commedia dai contorni surreali ambientata nel dietro le quinte di uno spettacolo teatrale di Broadway. Dalla penombra dei corridoi del teatro e dei camerini alle luci lisergiche che, all'improvviso, si accendono sull'attore in declino Riggan Thomson (Michael Keaton) e sugli altri individui coinvolti in questo frenetico allestimento, la fotografia di Lubezki riveste una parte importante nella realizzazione di Birdman: soprattutto perché, con una scelta singolare e coraggiosa, Iñárritu costruisce l'intera opera come un unico, lunghissimo piano sequenza (ovviamente fittizio, nascondendo i raccordi fra una scena e l'altra). Una sfida che, grazie alla perizia tecnica di Chivo, permette a Birdman di assumere un ritmo e un'energia ulteriori, e che riceve il plauso della critica: la pellicola di Iñárritu sarà premiata infatti con quattro Oscar, tra cui miglior film, miglior regia e una seconda statuetta per Lubezki.
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Rivoluzione digitale e luce naturale: Revenant
E arriviamo così al 2015 con Revenant, ovvero il film, insieme a The Tree of Life, che costituisce probabilmente il vertice di prodezza e di suggestione della fotografia di Emmanuel Lubezki, il quale alla sua ottava nomination sembra aver ipotecato il terzo Oscar della carriera. Un progetto contrassegnato da infinite difficoltà produttive, e che segna una netta cesura nell'attività di Chivo rispetto al proprio lavoro precedente, per due ragioni: la scelta, dettata da necessità, di abbandonare la pellicola e di girare in digitale, e l'utilizzo pressoché totale della luce naturale, ad aumentare il senso di realismo e di concretezza dell'avventura dello Hugh Glass impersonato da Leonardo DiCaprio. E l'esito, in termini visivi, è sbalorditivo: i campi lunghi e lunghissimi dei paesaggi innevati del Nord degli Stati Uniti lasciano senza fiato non solo per la loro maestosità, ma per la capacità di convogliare il carattere 'sublime' della natura, elemento essenziale del racconto di Revenant. E i piani sequenza, ancora una volta, ci consegnano alcune fra le riprese più ardite del cinema moderno, fra cui il long take del lungo e iperrealistico scontro fra esploratori e pellerossa, da annoverare fra le pagine 'miracolose' della settima arte.
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