Il cinema è da sempre un mezzo potentissimo per poter raccontare, denunciare o ricordare la Storia.
La settima arte annovera, infatti, un numero consistente di pellicole dedicate alle molteplici angolazioni di altrettanti eventi che hanno plasmato il mondo nel quale viviamo permettendoci di conoscere episodi o protagonisti reali spesso tralasciati o rimasti nell'ombra e che, grazie ad un film, sono riaffiorati dall'oblio del passato.
Al pari della Seconda Guerra Mondiale o dell'Olocausto e gli orrori messi in atto dal Nazismo, anche la dittatura militare in Cile, instauratasi l'11 settembre del 1973, quando il generale Augusto Pinochet salì al potere rovesciando il governo dell'allora Presidente Salvador Allende, è stata più volte trasposta sul grande schermo, portando alla luce anni di torture, uccisioni e abolizione della democrazia che ancora oggi continuano a riemergere, in forme sempre diverse, unendosi in una sorta di ideale puzzle dalla valenza storico/sociale. Alla lunga lista di cineasti che si sono confrontati con fatti realmente accaduti si aggiunge anche Florian Gallenberger, regista e sceneggiatore tedesco Premio Oscar 2011 per il miglior cortometraggio con Quiero ser, che ci riporta nella Santiago dei primi anni '70 dove gli scontri e le contestazioni pubbliche a favore del Presidente marxista erano all'ordine del giorno e animavano un popolo stremato tra inflazione, economia al collasso e disoccupazione.
Per farlo utilizza uno sguardo esterno (basato su fatti realmente accaduti), quello di una coppia di giovani tedeschi, il fotografo Daniel (Daniel Brühl), in Cile per collaborare con i sostenitori di Allende, e la sua fidanzata, l'assistente di volo Lena (Emma Watson), con la quale trascorre le ore immediatamente precedenti il Golpe in una parentesi di idillio che svanisce con il tempo di una telefonata. Gallanberger, ricostruendo le angoscianti ore immediatamente successive all'insediamento politico di Pinochet, mostra uno dei tanti episodi che hanno abbruttito la storia di un Paese dall'intensa bellezza: la segregazione di comuni civili, simpatizzanti e politici del governo di Allende nell'Estadio Nacional de Chile. Qui la coppia viene divisa sotto gli sguardi impotenti dei due e Lena, solo una volta liberata, riuscirà a scoprire dove è stato trasferito l'uomo che ama, decidendo di sfidare il regime pur di tentare di salvarlo.
"Colonia Dignidad"
La Colonia della Dignità. Così si chiama la fantomatica missione caritatevole nella quale è stato portato Daniel. Quello che Lena scopre, grazie all'aiuto di un rappresentante di Amnesty International spiato dal regime, è che in realtà Colonia Dignidad è una setta fondata nel 1961 da Paul Schäfer (Michael Nyqvist), predicatore tedesco conosciuto come Pius, ex medico delle SS che nel Sud del Cile ha eretto un campo di lavoro dalle reminiscenze naziste dove la violenza, la prevaricazione e i soprusi sono il pane quotidiano degli sfortunati ospiti/prigionieri. Lena entra volontariamente, scoprendo sulla sua stessa pelle la crudezza di Colonia, riuscendo ad incontrare il suo Daniel solo dopo mesi trascorsi nella struttura. La pellicola, sceneggiata dallo stesso Florian Gallenberger insieme a Torsten Wenzel, sebbene abbia il merito di sottolineare una delle tante sfaccettature assunte dall'orrore della dittatura di Pinochet, denunciando la quasi totale impunità di Schäfer all'indomani della caduta del regime, non riesce però a creare quel senso totalizzante di oppressione e terrore che la detenzione forzata nella struttura porta con sé, specie in virtù della considerevole porzione di pellicola ambientata tra le mura della falsa missione.
Gli stessi tentativi di Lena di entrare in contatto con Daniel, e altresì gli sforzi dell'ignaro fotografo di fuggire da Colonia Dignidad, non riescono a trasmettere a pieno il disperato bisogno della coppia di portare a compimento i propri obiettivi, così come l'atteso incontro tra i due non porta con sé quella forza emotiva necessaria o quantomeno ipotizzata. La suspense autentica è riservata alle sequenze finali, nelle quali il ritmo dell'azione ha un'improvvisa impennata, riuscendo a trasmettere lo stato d'animo dei protagonisti.
Uno sguardo meno penetrante sulla dittatura
Florian Gallenberger, che già nel 2009 con John Rabe, sempre prodotto da Benjamin Herrmann, si era confrontato con la trasposizione cinematografica di un fatto realmente accaduto, con Colonia, non riesce però a tenere il confronto con le altre pellicole che hanno raccontato, anche solo limitandoci agli ultimi dieci anni, il Golpe di stato cileno. Nonostante l'impianto da thriller unito alla componente sentimentale, l'uso di immagini di repertorio, cartine che segnano lo scorrere del tempo e le varie sezioni del complesso di Colonia, riferimenti alle torture della DIMA, la polizia segreta di Pinochet, e le foto dei volti di coloro che sarebbero divenuti i desaparecidos strette tra le mani dei familiari fuori dallo stadio di Santiago, Colonia rimane in superficie, lasciando nello spettatore il senso di ingiustizia e orrore per le azioni del regime del generale cileno ma privandolo di quella carica intensa e profonda che le opere di cineasti come Patricio Guzmán, da sempre impegnato nel riportare e denunciare i crimini del regime lui che nell'Estadio Nacional rimase per tre giorni nel 1973, o Pablo Larrain riescono a trasmettere.
Ne sono esempi Post Mortem o No - I giorni dell'arcobaleno, pellicole con le quali la dittatura viene analizzata e rappresenta da differenti e singolari punti di vista (al suo inizio e alla sua conclusione), o, senza andare troppo indietro nella filmografia di Guzmán, Nostalgia della luce e La memoria dell'acqua, due titoli capaci di evocare le conseguenze e la ferita, ancora dolente, dell'operato di Pinochet utilizzando delle basi di partenza del tutto inedite quanto suggestive e coinvolgenti rappresentate dal deserto di Atacama e da un bottone di madreperla.
Movieplayer.it
2.5/5