Mezz'ora al telefono, con la linea che tiene botta nonostante il viaggio in treno. Mezz'ora, su e giù, tra il cinema e la serialità, tra la (sua) comunità e la consapevolezza di essere una parte importante del cinema italiano che, non senza difficoltà, sta mollando la prevedibilità e lo stereotipo (finalmente, aggiungiamo noi). Come dimostra il suo ruolo in Doc 3. "Con gli autori della serie ho percepito una volontà importante: mostrare curiosità verso un mondo diverso, trattandolo con la giusta normalità", ci dice Elisa Wong, pechinese ma romana d'adozione, che nella terza stagione di Doc interpreta la specializzanda Lin Wang. Classe 1996, l'attrice, prima di condividere il set con Luca Argentero e Matilde Gioli, ha recitato nella serie Netflix Zero, ed è nel cast di Stelle binarie di Gianluca Maria Tavarelli.
Un percorso chiaro, strutturato verso una professionalità sempre più curata e sempre più approfondita, trovandosi ad affrontare personaggi via via più complessi, e sicuramente al passo con una narrazione sociale e artistica che deve inevitabilmente aprirsi verso nuove culture. Ecco, in un meelting pot meraviglioso, Elisa Wang dimostra a tutti che il lavoro dell'attrice è una peculiarità legata all'intelligenza e non al paese d'origine, come anticipa la poetica statunitense, rivolta verso l'oriente: "La giusta prospettiva è data anche dall'approccio mediatico", ci dice Elisa Wong, durante la nostra chiacchierata. "Penso ad Everything Everywhere All at Once, all'Oscar a Michelle Yeoh... Oggi c'è più visibilità".
Doc 3: la nostra intervista ad Elisa Wong
Elisa, Doc è un'istituzione. Cosa hai provato quando ti hanno preso per il ruolo?
Beh, ero incredula, non mi sembrava vero. Un'incredulità che mi ha accompagnato anche durante la preparazione, tra le letture del copione con il cast e l'approfondimento che ho fatto negli ospedali. Non mi sembrava reale. E mi chiedevo: sta accadendo davvero? Abbiamo lavorato bene, in tranquillità, curando i rapporti umani. È stata un'esperienza formativa.
Doc 3, le anticipazioni e i temi secondo Luca Argentero, Sara Lazzaro e il cast
È stato complicato avvicinarsi ai termini medici?
Su alcune cose, sì. Ci parole che sono degli scioglilingua. Termini che non riscontri quotidianamente, tra malattie e disturbi, e diventa un po' più complicato. Tra l'altr accompagno mia mamma alle visite, e questo un po' mi ha aiutato!
Ti hanno già fermata per strada per i selfie?
Non ancora! Rispetto ai miei colleghi, chiaramente sono una nuova arrivata. Ma ora, nella mia comunità, quella che frequento, c'è più interesse verso questo lavoro.
Anche tu senti una certa pressione come i dottori di Doc?
Sì, ma è frutto dell'impronta culturale, alla base della vita il lavoro è importante, come è importante il sacrificio. Anche nella comunità cinese. Il sacrificio per una prospettiva migliore è molto accentuato. Purtroppo, c'è poi il lato negativo: si passa sopra ai famigliari, alle relazioni. Si sacrifica il tempo libero. Ed è un peccato.
Lavoro poco valorizzato in Italia, tra l'altro...
Vero. E anzi... un po' lo vedo nella comunità che vivo: più generalmente il mestiere dell'artista non viene visto come un lavoro, perché l'arte non è palpabile e quindi non misurabile economicamente. Al pari di un lavoro tradizionale. Nella comunità asiatica ricorre il memo che se non sei dottore o ingegnere, sei un fallito. È un'idea molto ricorrente. Tra l'altro, veniamo da civiltà che per millenni hanno valorizzato l'arte...
Da Scrubs a... Paolo Sorrentino
Invece, sul set di Doc, ti sei sentita un po' al centro dei medical drama americani? Ne hai uno preferito?
Dico subito che non seguo Grey's Anatomy, nonostante l'assonanza con Sandra Oh. Ma dico che Scrubs è uno dei miei preferiti! Scrubs ha un posto di riferimento, e nella sua comicità ha lezioni di vita molto profonde. Poi mi piace Dottor House, per il lato medico. Affronta malattie assurde!
Hai citato Sandra Oh, ma hai un'attrice di riferimento?
Non direi. Anche perché in Italia non c'è una figura asiatica predominante, se penso all'inclusione che può esserci in USA, in relazione agli attori di seconda generazione. Lì c'è stata un'evoluzione nel corso degli anni, che mostra vite, persone e mestieri diversi. Qui, le cose stanno cambiando, ma ancora sono troppi i ruoli standard. Pensiamo agli attori medio-orientali, hanno sempre ruoli da cattivi o terroristi.
"Il cambiamento? Lento, ma possibile"
Secondo te le cose stanno cambiando?
È una sfida, ma inizia ad esserci ad essere un moto di cambiamento. Siamo sempre un po' in ritardo, però. Respiriamo cambiamenti, ma arrivano dopo. Certo, le nuove generazioni danno voce a nuove culture. La lingua poi è stata un limite. Le seconda generazioni, essendo ormai adulte, hanno il bisogno di dire la loro. Prima non era così, non c'erano i mezzi, soffrendo di una certa passività.
Tu vivi a Roma da anni. Come ti trovi?
Roma è un crocevia di culture e comunità. Artisticamente, però, le esperienze sono ridotte rispetto ad un attore caucasico. Non ci sono mentori nel panorama italiano, e questo limita molto. Milano invece ha un respiro più internazionale e aperto, almeno su questo.
A proposito, non hai mai nascosto il tuo amore per Sorrentino!
Sorrentino è una punta di diamante per il cinema italiano. Ma ci sono anche Matteo Garrone. E c'è Paola Cortellesi. Il suo film è stato un grande successo. Abbiamo il potenziale, ma dobbiamo supportarlo. Il cinema italiano per me ha sempre un fascino diverso. Ha il fascino di casa.
Doc, un po' come Skam Italia, è una fucina di talenti. Senti una certa responsabilità, in questo senso?
È un trampolino, certo. Come responsabilità, magari, ora non la sento e ancora non la realizzo del tutto. Non vorrei però che la mia figura rappresentasse la generalità della comunità cinese. Siamo tutti diversi, e ognuno ha il proprio percorso. Vorrei ci fosse una naturale curiosità verso la nostra comunità, verso la cultura e i nostri modi di fare.