Il film funziona, e su questo non c'è dubbio. Funziona nelle scene di gioco, funziona nelle caratteristiche dei personaggi, funziona nell'introspezione, nei momenti più accorati. Del resto, cinema e sport, l'abbiamo detto e scritto tante volte, è un connubio perfetto. Dall'altra parte, però, fin dalle prime scene, ci accorgiamo che El Campeón di Carlos Therón ci ricorda qualcosa che conosciamo bene, e che abbiamo molto apprezzato. Una sorta di deja-vu cinematografico, formato Netflix. Cerchiamo in rete, tra le note di produzione, ma nulla, nessuna conferma. Non c'è un chiaro riferimento al film originale che tanto ce lo ricorda, ossia Il campione di Leonardo D'Agostini, con Andrea Carpenzano e Stefano Accorsi.
Nessun rifermento, almeno fino ai titoli di coda: increduli, dobbiamo arrivare quasi alla fine dei titoli per certificare che quello di Therón sia effettivamente il remake del film italiano uscito nel 2019. "Basada en la pelicula Il campione, dirigida por Leonardo D'agostini". Certificazione tardiva, che probabilmente passerà inosservata, ma comunque doverosa (nonché obbligatoria!) data l'adiacenza palese tra i due titoli. Una volta tanto, sono gli altri Paesi a rifare i nostri film. Motivo d'orgoglio? Certo. Anche perché quello di D'Agostini dimostrava quanto il calcio (perché di calcio si parla) sia uno sport che si sposa bene con la narrativa, smontando il falso mito che sosterrebbe il contrario.
El Campeón, oltre il talento
Stesso titolo, stessa storia? In parte sì. El Campeón inizia in medias res, non c'è la Roma, ma l'Atletico Madrid (due club dal temperamento simile). Ci ritroviamo in mezzo al campo, dove l'azione di gioco si fa convulsa, quasi violenta. La storia, come nel film di D'Agostini, segue l'intemperanza di Diego (Swit Eme, uno dei rapper spagnoli più famosi), maglia numero 7, fenomeno in campo ma aggressivo contro gli avversari e, a volte, contro i compagni. Insomma, il solito ragazzino viziato, borioso e arrogante, scombussolato dai milioni e dalla vittoria. Bisogna trovare una soluzione, bisogna educarlo, accudirlo e accompagnarlo verso il successo. Il Club, allora, ingaggia Alex (Dani Rovira), professore di psicologia che di calcio non sa nulla, ma che scoprirà la dislessia del ragazzo, inizialmente restio nel prendere lezioni. Tra i due, ca va sans dire, nascerà un'inaspettata amicizia.
Un remake spagnolo che funziona
Al netto dell'idea non originale, El Campeón riflette sul talento come mezzo, e come responsabilità. Forte l'alchimia tra Swit Eme e Dani Rovira (un buon lavoro di casting), e coesa la messa in scena, al netto di un imbarazzante green screen sfruttato per le sequenze di gioco. Nel profondo, però, il remake di Carlos Therón offre uno spunto sincero e avvincente sulle dinamiche segrete che influiscono sulle scelte dei grandi giocatori molto giovani, spesso tenuti sotto scacco dai club di appartenenza. In un altro senso, il centro dell'azione sembra focale secondo il regista (senza rinunciare ad una spettacolarizzazione generale), che procede lungo l'enfatizzazione di una vicenda attraverso il linguaggio cinematografico ad effetto, congeniale secondo lo script firmato da Joan Gual e Joaquín Oristrell.
Di nuovo, gli sport movies sono un genere archetipo, perfetto per tagliare a metà diverse tematiche. A proposito di linguaggio, sarà proprio la parola ad unire i due personaggi, poggiati su due piani teoricamente paralleli. L'accettazione di un disturbo (in questo caso la dislessia), il valore dell'ascolto, la consapevolezza, la libertà di scelta, anche il valore della conoscenza, oltre il denaro, oltre la fama, oltre l'apparenza (e la vita di un baby calciatore, per di più top player, si basa quasi interamente sull'apparenza e la perfezione). The Champion, dunque, è una storia di formazione osservata tramite la lente del calcio, che mantiene viva l'attenzione del pubblico grazie ad un'idea (lo ripetiamo, italiana) vincente nella sua semplicità.
Conclusioni
La premessa di El Campeón non può prescindere dall'idea dietro il film: quello di Netflix è infatti il remake de Il campione del 2019, con Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano. La struttura è simile, ed enfatizza il più possibile il connubio tra cinema e sport, attraverso una storia di maturazione e di crescita, ma anche di consapevolezza rispetto alle proprie capacità umane. Un buon cast e una buona regia fanno il resto, al netto di alcune trovate forse esagerate.
Perché ci piace
- Una buona storia.
- Una buona scelta di casting.
- La regia funziona.
- E funziona la soundtrack. C'è pure Eddie Vedder!
Cosa non va
- Un remake diretto, e scritto solo alla fine dei titoli di coda. Perché non dirlo subito?
- Il green screen per le scene di gioco è pessimo.