La sua seconda opera da regista, Motherless Brooklyn, un affascinante noir ambientato nella New York degli anni Cinquanta, è stato il film d'apertura della Festa del Cinema di Roma 2019: una pellicola per la quale Edward Norton, cinquant'anni compiuti lo scorso 18 agosto, è tornato dietro la macchina da presa dopo Tentazioni d'amore, da lui diretto e interpretato nel lontano 2000. E in Motherless Brooklyn, di cui è protagonista assoluto nei panni di un detective privato affetto dalla sindrome di Tourette, Norton ha ancora una volta l'occasione di dimostrare la sua versatilità come attore e la capacità di immergersi totalmente nei propri personaggi.
Venerdì pomeriggio, all'Auditorium, Edward Norton ha partecipato a un incontro con il pubblico per ripercorrere alcune fra le tappe salienti di una carriera ricchissima, partita con il botto nel 1996 con il thriller Schegge di paura, in cui dominava la scena ogni volta che appariva sullo schermo. Ma durante questa conversazione c'è stato spazio per parlare anche di altri film che hanno messo in luce il suo eccezionale talento drammatico, da American History X a La 25ª ora, passando ovviamente per un cult movie del calibro di Fight Club.
Edward Norton dal palcoscenico al grande schermo
Quanto è stata importante la tua formazione teatrale per il debutto al cinema?
Il teatro ti fa mettere i muscoli e ti fa fare esperienza nel modo di approcciarti al testo: a teatro si prova continuamente, ma quando sei sul palcoscenico è come se stessi giocando a football e ti passassero la palla, senti un profondo senso di responsabilità. A teatro devi avere dentro di te l'intero arco narrativo di una storia; questa formazione mi ha aiutato anche al cinema, sebbene lì questo processo sia molto più frammentario. E che si reciti a cinema o a teatro, mi piace citare una battuta di Dorothy Parker: se scalfisci la superficie di un attore, sotto ci trovi un'attrice. Amo entrambi, ma a teatro ti senti davvero una rockstar e crei un rapporto viscerale con il pubblico.
È vero che uno dei tuoi maggiori idoli è stato il drammaturgo Edward Albee?
Mentre ero un giovane attore di teatro, scrissi una lettera a Edward Albee e lo invitai a vedere il mio spettacolo: per me fu incredibile, lo ritenevo uno dei più grandi drammaturghi viventi. Il mio primo lavoro da professionista a teatro fu in uno dei suoi testi. Lui era estremamente severo nei confronti dei propri drammi; era un autore sperimentale, ma sempre pronto a mettersi in discussione, perfino a settant'anni.
Com'è stato, da attore emergente, lavorare con un maestro come Woody Allen per Tutti dicono I love you?
Mi ricordo che Woody non disse a nessuno che sarebbe stato un musical, ve lo giuro! Ero eccitato di aver avuto il ruolo e chiamai subito mia madre per dirglielo, eravamo entrambi grandi fan di Woody Allen; ma due mesi dopo mi contattarono per mandarmi della musica da imparare e farmi prendere lezioni di canto. Chiesi che diamine stesse succedendo, e mi risposero: "Il film sarà un musical". Non credo sia stato per questa performance che mi hanno definito "il giovane De Niro".
A questo proposito, cosa ricordi della tua esperienza sul set di The Score con Robert De Niro e Marlon Brando?
Nel primo ciak girato con Robert De Niro e Marlon Brando, Brando si rovesciò per sbaglio un bicchiere d'acqua addosso, mentre De Niro si addormentò fra una ripresa e l'altra. Marlon Brando ha avuto un impatto enorme sulla recitazione e sugli attori: Robert De Niro e la sua generazione derivano da Brando. Il lavoro di Bob era estremamente intenso, sembrava in grado di esprimere un'inquietudine interiore senza usare le parole. Le sue performance hanno un ritmo molto particolare, difficile da riprodurre.
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I ruoli di culto: American History X, Fight Club e la 25 ora
Tu in passato hai interpretato Hulk: cosa pensi delle dichiarazioni di Martin Scorsese a proposito dei cinecomic come parchi a tema?
Penso che Martin Scorsese si sia immerso nel cinema più di chiunque altro: è totalmente preso dalla sua arte, e per questo ha guadagnato il diritto ad avere qualunque opinione sul cinema. Si tende a estrapolare certe frasi, ma c'è una maggiore complessità nel discorso di Scorsese, che parlava di ciò che per lui crea emozione. Ognuno ha la propria relazione con le storie e le narrazioni, e non c'è una formula o un modo per quantificare questa magia.
Com'è nato un progetto tanto coraggioso ed estremo quale American History X?
Dopo aver girato tre film con gli stessi identici capelli, qui finalmente ho cambiato acconciatura! Molte tragedie di William Shakespeare sono storie su personaggi con grandi qualità ed un enorme potenziale, ma condannati a causa di un errore. Con American History X, io e David McKenna abbiamo realizzato un film sulla classica 'caduta' con un protagonista dell'epoca moderna: un uomo distrutto dalla propria ira.
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Un altro momento di svolta per la tua carriera è stato Fight Club: cosa ne pensi dell'impatto di quel film?
Fight Club è un esempio dell'influenza di un regista su un film: qui David Fincher dà prova di un virtuosismo straordinario. Non riesco a pensare a nessun altro per quel film, non sarebbe mai stata la stessa cosa senza Fincher. Conoscevo il romanzo, è molto divertente. Ci siamo sentiti tutti molto connessi a questo soggetto: il film ha avuto origine da qualcosa che sentivamo davvero e che ci apparteneva nel profondo. È un film che abbiamo fatto per noi stessi e per i nostri amici, e vi abbiamo lavorato con la massima sincerità. A un certo punto, prima della sua presentazione, Brad Pitt mi chiese cosa ne pensassi, ed entrambi eravamo concordi: sarebbe andato malissimo. Per consolarci, ci siamo fatti una canna insieme! Quando fu proiettato alla Mostra di Venezia fu accolto da fischi, e al box office non andò benissimo; ma non importa, perché Fight Club ha iniziato a parlare veramente al pubblico e con il tempo è diventato ciò che volevamo. L'esperienza artistica è molto più profonda di tutto il resto e conta più degli applausi in sala e del successo commerciale.
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Con Spike Lee avete girato La 25ª ora: cosa hai imparato da lui?
Quando uscì Fa' la cosa giusta ero uno studente universitario e per noi fu come un terremoto. Philip Seymour Hoffman recitava ne La 25ª ora insieme a me e spesso abbiamo parlato del lavoro di Spike Lee. Spike è un autore assolutamente originale e con il suo cinema ha esplorato New York e l'America, confrontandosi continuamente con la morale e le sfide morali della società americana. Spike ha realizzato La 25ª ora in soli ventisei giorni, una rapidità impressionante: da lui ho appreso il lavoro meticoloso, l'attenzione ai dettagli, l'efficienza incredibile, soprattutto per girare in una città come New York. Vederlo lavorare ha cambiato completamente il mio modo di vedere e affrontare questo lavoro e le sue tempistiche: non avrei mai potuto portare a termine Motherless Brooklyn se non fosse stato per la lezione di Spike Lee.
E da Wes Anderson, invece?
Da Wes ho imparato che è divertente essere un burattino! E non sono mai stato così felice di farmi pronunciare le battute da un regista.
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