Edipo al quadrato
Mike Sullivan (Tom Hanks) , è un uomo tutto d'un pezzo, forse un pò rigido con i figli, ma comunque un padre amorevole. In verità è un killer, al soldo del "padrino" irlandese John Rooney (Paul Newman). Quando il figlio maggiore, Michael (Tyler Hoechlin), assisterà ad un omicidio, il figlio di Rooney, Connor (Daniel Craig), ucciderà la moglie e il figlio più piccolo di Mike. Sarà l'inizio di una fuga, per salvare il figlio sopravvissuto, ma anche per ottenere la sua vendetta.
Era mio padre (ma io preferisco il titolo originale, Road to perdition, con un suo senso e un suo significato, al melenso adattamento italiano) è il nuovo attesissimo film del regista Sam Mendes, dopo l'acclamato American Beauty.
Ma le similitudini si fermano qui, perché Mendes abbandona luogo e tempo del suo primo film per portarci nella Chicago del Proibizionismo. Resta il tema fondamentale della famiglia, ma anche qui vista con occhio anomalo. La famiglia qui non è solo quella tradizionale, formata da Sullivan (Hanks) e dal figlio Michael (Hoechlin), non affonda i suoi affetti solo nel legame del sangue, ma anche nell'onore. Il dramma di questo film non consiste solo nella morte dei cari e nel conseguente desiderio di vendetta; Sullivan dovrà risolvere il suo conflitto, perché se da una parte vuole lavare il sangue con il sangue, e salvare il figlio, il suo rivale non è un uomo che lui possa semplicemente odiare, ma un padre putativo. Sullivan per salvare il figlio dovrà uccidere il padre, che ama e da cui è amato. Rooney (Newman) infatti è anch'egli tormentato da un conflitto, costretto a dare la caccia a Sullivan, che rispetta e che gli è caro come se fosse del suo sangue, per salvare il suo vero figlio, che detesta e odia, ma che non può fare a meno di proteggere.
Oltre a questo, Sullivan deve cercare di non trascinare il figlio Michael nel suo mondo di violenza e morte. Il suo intento è portarlo sul lago, dalla zia, nella cittadina di Perdition, dove si potrà rifare una vita e rimanere un innocente.
Il tutto ruota intorno al concetto dell'onore, che costringe i due personaggi interpretati da Hanks e da Newman a compiere gesti che cozzano con i loro sentimenti, ma che sono obbligatori nel contesto in cui vivono. Fanno da contraltare a questi due eroi, tutto sommato positivi, i personaggi di Connor e del killer Maguire (Jude Law), che invece vengono guidati solo dal profitto e che tradiscono affetti e onore per le loro personali ambizioni. Emblematica infatti è la stessa professione ufficiale di Maguire, che fotografa i corpi di uomini e donne assassinati per un giornale scandalistico; quest'uomo non solo è un assassino egli stesso, ma aggiunge alla sua crudeltà anche la beffa finale, nel degradare questi momenti drammatici con un gesto umiliante come scattare quelle foto, negando agli uccisi una dignità finale.
Un materiale del genere avrebbe potuto degenerare nel melenso, ma Mendes tiene le redini di tutto e preferisce affidarsi alla prova gigantesca di Tom Hanks, che con questo ruolo sacrifica il linguaggio verbale e riesce ad esprimere un'ampia gamma di sentimenti solo attraverso leggerissime variazioni di espressione, e di Paul Newman, suo contraltare perfetto. Buona anche la prova di tutti gli altri interpreti.
Mendes fotografa tutto il film in un grigio perpetuo, sotto la neve o la pioggia, come se il marcio di questo mondo fosse visibile a tutti. Solo a Perdition sarà possibile rimanere abbacinati nel bianco più abbagliante. E se i colori sono determinanti, i suoni non lo sono di meno; oltre ad un'ottima colonna sonora, il regista presta particolare attenzione ai suoni ambientali, ritenendoli a volte il solo perfetto commento ad alcune scene. Come quella della resa dei conti; uno scampolo di perfezione in questo film da non dimenticare.