Ed ora al Papa come lo DiCo?
Luca e Gustav sono una coppia, in un'Italia che riguardo a temi come la libertà sessuale e la conquista di determinati diritti civili continua a subire pesanti condizionamenti, specialmente da parte del mondo cattolico. Lo si percepisce chiaramente, sia a livello di decisioni politiche che di mentalità diffusa, con una ignoranza e una arretratezza culturale da cui si sconfina spesso in convinzioni e tabù tali da rimandare indietro le lancette della Storia. Quasi un rigurgito di Medio Evo. E così, al pari di ciò che accade nel mondo del lavoro, si ha la sgradevole sensazione che da noi i costumi sociali regrediscano, invece di avanzare, invece di consolidare quelle conquiste ottenute a duro prezzo, conseguentemente agli sforzi di diverse generazioni.
Non va perciò sottovalutata l'importanza di un film come Improvvisamente l'inverno scorso, che riesce ad esporre con molto acume, senza rinunciare mai all'arma dell'ironia, una questione tanto urgente; una delle tante che vedono contrapporsi le frange più oscurantiste e reazionarie di marca clerico-fascista alle rinnovate esigenze di una parte della società italiana, che non vuole sottostare ai diktat del Vaticano e dei suoi fedelissimi portabandiera. L'oggetto del contendere è rappresentato dai DiCo (diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), ovvero la proposta di legge varata nel 2007 dal governo Prodi e presto affossata da una miriade di pressioni esterne. Prima dei DiCo si parlava di PACS, ma in seguito all'ostracismo di svariati personaggi pubblici, sempre pronti a polemizzare tanto in sede parlamentare che attraverso i media, l'apposita commissione provò a rifugiarsi nei CUS (sigla a forte rischio di confusione con una nota istituzione sportiva universitaria...), per concludere poi l'ignobile farsa in un nulla di fatto. Col plauso delle gerarchie cattoliche, ovviamente, i cui vicari più gretti e ostinati (vedi Monsignor Bagnasco) si sono scagliati sin dall'inizio, forti di una retorica da predicatori medievali, contro un iter legislativo che avrebbe recato vantaggi non trascurabili alle coppie gay, e non solo.
Luca Ragazzi e Gustav Hofer, lo dicevamo all'inizio, sono una coppia come tante altre. Convivono da qualche anno, ed è normale che abbiano assistito a questo triste spettacolo, condito di ipocrisia e ripensamenti quanto mai squallidi, con un certo sgomento. Luca e Gustav, però, sono anche due giornalisti; già in altre occasioni hanno dato il loro appoggio, con indubbia coerenza, a campagne di sensibilizzazione rivolte a contrastare l'omofobia e il conformismo dilaganti. La passione comune si è così riversata in un documentario militante decisamente sui generis, costato poche migliaia di euro, in cui il punto di vista di chi si considera laico emerge nel modo più appropriato: evitando, cioè, la schematicità del pamphlet, e permettendo agli autori di mettersi in scena personalmente, così da lasciar scorrere in assoluta semplicità frammenti di vita quotidiana e materiale di repertorio, improvvisazioni deliziosamente situazioniste e accurate testimonianze documentarie; su tutte, spiccano le interviste raccolte durante manifestazioni politiche di tono e obiettivi assai diversi, dal Gay Pride al Family Day. Con grande naturalezza, ma senza dissimulare qualche patema d'animo (accentuandone, anzi, la portata in modo assai spiritoso), i nostri Luca e Gustav si sono infiltrati in luoghi e situazioni che scoraggerebbero qualsiasi essere pensante: eccoli alle prese con gli esaltatissimi rappresentanti di Militia Christi o con certi giovanotti dall'aria goffa, che ancora oggi ai raduni di Comunione e Liberazione, o in occasioni speciali come il Family Day, affermano con tono sicuro ed espressione facciale di commovente ottusità che l'omosessualità è una malattia. Il tedesco domiciliato a San Pietro dall'alto guarda il suo gregge e sorride compiaciuto.Ebbene, di fronte al mesto spettacolo del Belpaese provinciale e dogmatico, i due registi hanno il merito di non tacere sulle meschinità offerte a iosa dalla classe politica e da altri scomparti della società civile, alleggerendo però il tutto con uno stile fresco e vivace, a partire dal montaggio (notevole, come in L'orchestra di Piazza Vittorio, il lavoro di Desideria Rayner). Il loro è un percorso a ostacoli che risulta comunque arioso, in barba allo sconforto che certi incontri potrebbero indurre. I tanti soggetti chiusi e bigotti approcciati durante le riprese non hanno infatti impedito agli autori di concepire un finale allegro e irriverente, che ha il sapore della libertà, quella autentica.