È una triste conferma che siamo costretti a comunicare con questa recensione di Earwig e la strega, perché il primo film totalmente in CGI dello Studio Ghibli risente delle problematiche tecniche che avevano già preoccupato e fatto storcere il naso quando i primi trailer erano stati diffusi. Siamo però arrivati alla visione speranzosi di essere conquistati dalla solita purezza narrativa a cui ci ha abituati lo studio giapponese, una volta superato lo scoglio iniziale puramente estetico e superficiale, ma questo è avvenuto solo in parte e il film di Goro Miyazaki, il figlio del sensei che aveva già diretto I racconti di Terramare e La collina dei papaveri, non riesce a riprodurre totalmente la magia Ghibli nella nuova tecnica.
Storia di una piccola orfana
L'ispirazione per la storia, per un progetto proposto dallo stesso Hayao Miyazaki allo Studio Ghibli, è il romanzo per ragazzi di Diana Wynne Jones, già autrice dell'opera da cui è tratto Il castello errante di Howl. La storia di Earwig e la strega, del libro così come del film diretto da Goro Miyazaki, racconta di una bambina di dieci anni, la Earwig del titolo, cresciuta nell'orfanotrofio St. Morwald, che è per lei un luogo fantastico in cui riesce a imporre la sua volontà su tutti, bambini o adulti che siano, e ottenere tutto ciò che desidera. Per questo si adopera per mostrarsi sgradevole e non esser scelta quando aspiranti genitori vengono in visita per scegliere un orfano da adottare.
Un trucco che non funziona quando al St. Morwald si presentano Bella Yaga e Mandragora, una strana coppia che sceglie la piccola Earwig, chiamata Erica Wig per semplicità, e la accoglie in casa con lo scopo di farsi aiutare nei lavori quotidiani. La bambina riesce però a barattare il proprio impegno casalingo con un assaggio degli incredibili poteri che lì sono all'ordine del giorno, facendosi introdurre alla magia dalla padrona di casa.
Gli 80 anni di Hayao Miyazaki: cosa abbiamo imparato dal suo cinema
Un passo doveroso, ma zoppicante
Una storia adatta al pubblico giovane, per la quale si è scelto di continuare il lavoro sulla CGI iniziato a piccole dosi come supporto all'animazione tradizionale nei precedenti progetti per grande schermo e per una serie tv. Un passo doveroso per chi fa animazione oggi, nell'ottica di aumentare le frecce al proprio arco e di non sostituire in tutto e per tutto il disegno a mano che ha reso celebre lo studio. Un passo che però appare zoppicante, segnato in modo inevitabile dal grande ritardo con cui ci si è avvicinati a questa tecnica espressiva: Goro Miyazaki e i suoi animatori sfruttano la maggior libertà nella gestione degli spazi e dei fondali permessa dalla CGI, ma non riescono a riproporre con i modelli poligonali dei personaggi quella morbidezza del tratto e dell'animazione che ha contraddistinto lo stile dello studio sin dagli esordi.
Eppure l'impegno è evidente e la prima scena, che vedete a corredo di questo articolo, fa sperare in un miracolo che sulla lunga distanza si dimostra irrealizzabile: manca l'esperienza per essere padroni della situazione, aggirare gli ostacoli e sfruttare le potenzialità minimizzando le debolezze. Non parliamo solo del look generale dei protagonisti, fin troppo plasticoso, che può essere una scelta consapevole, ma dell'impossibilità di instillare calore e anima del disegno a mano in qualcosa di diverso. Per quello servono anni, forse decenni, di esperienza, e Luca della Pixar non è che l'ennesima prova.
Luca e Ponyo sulla scogliera: dal mare, con semplicità e purezza
La purezza della fiaba
Il tutto per veicolare una storia semplice, immediata e diretta, mutuata con molta fedeltà dal testo di Diana Wynne Jones, arricchito dalle illustrazioni di Miho Salake (suoi anche i bellissimi disegni che accompagnano i titoli di coda del film), che si affida a toni e linearità adatti a un pubblico giovanissimo, andando a porsi sulla scia delle opere dello studio più adatte ai bambini, da Il mio vicino Totoro a Ponyo sulla scogliera. Quei titoli erano però valorizzati da una profondità che qui stenta ad emergere, anche nel discorso presente e interessante sulla famiglia disfunzionale che accoglie Earwig, e dal tocco di Miyazaki padre: manca quella maestria necessaria ad andare oltre la storia, gradevole ma fin troppo semplice, quell'esperienza e personalità artistica capaci di mettere se stessi e la propria visione per render proprio e personale il racconto.
Earwig e la strega non è un brutto film, non in senso assoluto, ma è deludente se visto come parte del catalogo dello studio che l'ha realizzato. È un film che fa fatica a lasciare i binari che lo portano con sicurezza e senza scossoni al proprio pubblico ideale, che non riesce a decollare e viaggiare sulle ali di una creatività che, tra Miyazaki padre e Isao Takahata, in ambito Ghibli erano di casa. In questo è una delusione, ma è pur sempre una storia che molti giovani spettatori si divertiranno a guardare, con alcuni tocchi e dettagli, dal gatto Thomas ai piccoli demoni, in cui il tocco dello Studio Ghibli è visibile.
Conclusioni
Non possiamo che ribadire e confermare la delusione al termine della recensione di Earwig e la strega, non in senso assoluto come film per ragazzi che fa il suo dovere e racconta una storia semplice con la necessaria gradevole vivacità, ma come progetto che parte da un maestro come Hayao Miyazaki ed entra a far parte del catalogo di uno dei più grandi studi d'animazione al mondo. Una delusione, insomma, da appassionati, che non pregiudica la visione del pubblico d'elezione di un film che siamo sicuri potrà divertirsi con la storia della piccola Earwig e la famiglia disfunzionale in cui si trova coinvolta.
Perché ci piace
- Il ritmo e la vivacità, capaci di coinvolgere il pubblico giovane.
- Un discorso, purtroppo solo accennato, sulle famiglie disfunzionali.
- Il gatto Thomas e i piccoli demoni, in cui il tocco Ghibli è visibile.
Cosa non va
- Un'eccessiva semplicità, a cui manca il tocco autoriale che Miyazaki padre avrebbe saputo infondere.
- La CGI è troppo acerba per veicolare quella magia a cui lo Studio Ghibli ci aveva abituati.