Risulta quasi impossibile, nell'era del #metoo, accostarsi senza filtri e pregiudizi a certi concetti e poter redigere una recensione di E poi c'è Katherine senza tener conto di quanta confusione tutto questo movimento, nato su basi condivisibili e rispettabilissime, stia generando nel mondo intero. Una cosa è certa: che le donne siano merce rarissima nei Late Show (che poi è anche il titolo originale del film) è un dato di fatto e nessuno lo può negare.
Che Emma Thompson sarebbe perfetta alla guida di uno programma di questo tipo è forse un altro assunto che possiamo dare pressoché per certo. Che definire questo film Il nuovo Diavolo veste Prada sia un pochino azzardato, anche. E poi c'è Katherine deve il suo funzionamento all'incredibile eleganza e immancabile grazia della sua protagonista e del suo disarmante sorriso. Emma Thompson è da sempre una grande attrice e una comica sofisticata dalla verve tutta sua: questo ruolo non fa che confermarlo.
Emma Thompson: i migliori ruoli dell'attrice, tra ragione, sentimento e ironia
E poi c'è Katherine e la questione delle quote rosa
A molti di noi il nome di Mindy Kaling dice poco - specie se non avete visto The Office. Nasce come star televisiva, autrice e attrice, una che viene definita pioniera perché è stata tra le prime indio-americane a scrivere per la TV. Una quota rosa, una quota di minoranza. Una che ottiene un'occasione e poi, per tenersela, deve dimostrare di valere quanto e più degli altri, una che non può permettersi di sbagliare, altrimenti sarà da tutti considerata "quella che ha ottenuto il lavoro perché è donna e indiana". Ed è quanto le accade in questo film, che assume forti connotati autobiografici, soprattutto se si pensa che a dirigerlo c'è la poco esperta mano di Nisha Ganatra, altra indio-americana che già conosce la sceneggiatrice e protagonista da tempo.
Insomma, la sua Molly viene assunta nel Late Show di Katherine proprio perché serve una quota rosa. Katherine ha vinto tanti Emmy da non sapere più dove metterli, è un'istituzione. Ma proprio per questo, è anche una cariatide. Donna forte, a suo modo femminista, lo dimostra tenendo sotto scacco uno staff composto da soli uomini caucasici, che la temono, la rispettano, la venerano. Ma così facendo, viene tacciata di maschilismo perché non assume donne. Il suo umorismo è piano di paletti, e per questo rischia di vedersi tolta dalle mani la sua creatura, la sua gioia, la sua ragione di vita. Il suo show. Molly arriva, non ha esperienza, è pedante e saputella (ricorda certi giovani critici che arrivano e criticano senza proporre, passateci il gioco di parole), ed è convinta che non sarà mandata via proprio in quanto donna e minoranza etnica. Ma non solo si sbaglia, si ritrova anche a voler dimostrare di essersi meritata il posto.
Donne e generazioni a confronto
Due donne, due diverse generazioni, due culture, due modi di vedere il mondo. C'è anche il confronto generazionale in E poi c'è Katherine, come è naturale che sia. E dunque, riassumendo: quote rosa, minoranza etniche, nepotismi e raccomandazioni, gap generazionale e gap qualitativo tra una comicità elegante e una di pancia, umorale e statunitense contemporanea. Il post #metoo e il post qualunque cosa abbia significato una lotta. Un bell'impasto molto didascalico su come dovrebbe funzionare la vita se fosse politicamente corretta, compreso il karma di chi licenzia senza pensarci due volte e che potrebbe ricevere lo stesso trattamento, quando meno se lo aspetta. No, E alla fine arriva Katherine non è decisamente Il diavolo veste Prada, commedia intelligente, arguta, caustica e cinica, ma soprattutto veritiera, su come funziona la direzione delle riviste femminili, con la competizione che questo comporta. Questa commedia non ha quel coraggio, né tantomeno l'aderenza alla realtà. Di simile ha l'eleganza. Quella di due colossi del cinema, loro sì che davvero ciò che hanno se lo sono guadagnato, fotogramma dopo fotogramma. Emma Thompson non avrà la stessa fama di Meryl Streep, ma la segue a ruota, e in quanto a premi prestigiosi, non ha nulla da invidiare a nessuno. Donne, loro sì, che la quota rosa se la sono presa, e se la sono anche mantenuta per tutta la vita.
Conclusioni
Concludendo la recensione di E poi c'è Katherine ribadiamo come abbiamo voluto spiegare che il movimento #metoo arriva tardi, come un Late Show. Necessario, ma non rivoluzionario, è quasi già istituzionalizzato e sta producendo una serie di film al femminile che difficilmente supereranno la prova del tempo. Eppure con una interprete come Emma Thompson tutto assume un significato più alto e un'eleganza senza pari.
Perché ci piace
- Lo stile e l'eleganza di Emma Thompson, splendida donna e meravigliosa interprete, autoironica e intelligente.
- L'arguzia delle battute, così elaborate e spiritose. Un'ironia sofisticata che si va perdendo.
- L'idea di fondo per cui tutto può essere messo in discussione e non ci si debba mai adagiare nella vita.
Cosa non va
- Forse il racconto è eccessivamente didascalico nello spiegare come le cose dovrebbero andare se il mondo fosse perfetto.
- Il film è decisamente e con troppa evidenza un prodotto dell'era #metoo