È stato uno dei titoli più attesi degli ultimi anni: il sogno proibito di legioni di lettori che, dal 1965 (data della sua pubblicazione originaria) a oggi, si sono calati nell'universo creato da Frank Herbert in Dune, fra i capolavori della letteratura fantascientifica, e nella lunga serie di libri che hanno fatto seguito all'illustre capostipite. Del resto, l'importanza di Dune nel campo della fantascienza è paragonabile a quella de Il Signore degli Anelli per il fantasy; e se l'amatissima trilogia di J.R.R. Tolkien ha sperimentato una rinnovata fortuna grazie al grande schermo, c'è da chiedersi se, vent'anni più tardi, una sorte analoga potrebbe toccare al libro di Frank Herbert. L'occasione è offerta da Dune, nuova trasposizione cinematografica del romanzo, affidata alla regia di uno dei nomi di punta del genere sci-fi, il canadese Denis Villeneuve.
Da Alejandro Jodorowsky a David Lynch, l'infausto destino di Dune al cinema
Il rapporto fra Dune e il cinema, tuttavia, non è mai stato troppo semplice: vuoi per la densità e la complessità dell'intreccio messo in piedi da Frank Herbert nelle oltre seicento pagine del volume (di cui Fanucci ha appena proposto una riedizione italiana), vuoi per la necessità di un impegno produttivo che poteva essere garantito solo da un grande studio hollywoodiano. Si passa così dai primi tentativi all'alba degli anni Settanta, che si sarebbero risolti in un nulla di fatto, all'impresa donchisciottesca del regista cileno Alejandro Jodorowsky, che avrebbe voluto realizzarne un kolossal da almeno dieci ore interpretato da suo figlio Brontis insieme a Orson Welles, Gloria Swanson e Salvador Dalí e con una colonna sonora composta dai Pink Floyd (al suo proibitivo progetto sarebbe stato dedicato nel 2013 il documentario di Frank Pavich Jodorowsky's Dune).
Ma è con David Lynch che l'opera di Herbert entra definitivamente nella storia del cinema: il visionario regista del Montana, reduce dal successo di The Elephant Man, accetta infatti la proposta di Dino De Laurentiis e di sua figlia Raffaella di dirigere un adattamento del romanzo. Il Dune di Lynch debutta nelle sale nel dicembre del 1984, dopo essere stato drasticamente ridotto da De Laurentiis a una durata di due ore e un quarto (con circa due ore di tagli). Risultato: uno sviluppo narrativo poco comprensibile, se non ai fan di Herbert, un ritmo spesso discontinuo e una discreta quantità di stroncature. Per la maggior parte del pubblico, abituato alla fantascienza più avventurosa e 'lineare' di Guerre stellari e dintorni, il Dune del 1984 è una sostanziale delusione: in America il film incassa poco più di trenta milioni di dollari, a fronte di quaranta milioni di budget, rischiando di affossare la carriera di Lynch e azzerando qualunque ipotesi di un franchise.
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Denis Villeneuve e il ritorno di Paul Atreides
Dagli 'errori' della versione di Dino De Laurentiis e di David Lynch (il quale avrebbe poi disconosciuto il film), versione che conserva comunque moltissimi motivi d'interesse (e una riconoscibile impronta lynchiana), terrà giustamente conto Denis Villeneuve quando, nel 2016, sigla un accordo con la Legendary Pictures per una nuova trasposizione del romanzo. All'epoca, Villeneuve è reduce da due splendidi esempi di fantascienza 'adulta', Arrival e Blade Runner 2049, in cui alcuni modelli tipici del genere - il contatto con entità extraterrestri in Arrival, il rapporto fra esseri umani e androidi in Blade Runner 2049 - vengono elaborati privilegiando l'introspezione, la riflessione e lo studio dei caratteri. Un approccio che Villeneuve sceglie di mantenere anche nel rievocare il mondo dipinto nelle pagine di Herbert: i rapporti all'interno della nobile Casa Atreides, la dicotomia fra interessi politici e responsabilità morali e il senso di predestinazione che grava sulla figura del giovane Paul Atreides.
Paul, che nel 1984 aveva il volto di Kyle MacLachlan (da lì in poi attore-feticcio di Lynch) e nel 2021 quello di un ventiquattrenne Timothée Chalamet, è il personaggio che ci offre una prospettiva privilegiata sul racconto. Dune, infatti, è anche la storia di una presa di coscienza, dell'accettazione del proprio ruolo all'interno di una realtà gravida di conflitti, della parabola quasi cristologica di un eroe che, all'inizio del film, viene messo alla prova da Gaius Helen Mohiam (un'inquietante Charlotte Rampling velata di nero), Reverenda Madre dell'ordine religioso Bene Gesserit, e che in seguito intraprenderà il suo calvario nel deserto di Arrakis, fra i mostruosi vermi delle sabbie e l'infinita distesa di dune da cui deriva il soprannome del pianeta. Attorno a Paul ruotano le varie forze in gioco per il controllo della preziosissima "spezia": da suo padre, il Duca Leto Atreides di Oscar Isaac, alla sua nemesi, il repellente Barone Vladimir Harkonnen a cui dà volto un irriconoscibile Stellan Skarsgård.
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Un'altra fantascienza è possibile?
Consapevole che un'unica pellicola non sarebbe stata sufficiente a racchiudere l'intera materia del romanzo, nei centocinquanta minuti di Dune (i cui titoli di testa nella versione presentata a Venezia 78 riportano il sottotitolo Part One) Denis Villeneuve ha condensato dunque solo la prima metà della fonte letteraria. L'esito è un film volutamente inconcluso, ma soprattutto lontano da ritmi e convenzioni di una fantascienza più mainstream, pure in virtù di una profonda fedeltà al romanzo: Villeneuve, autore della sceneggiatura insieme a Jon Spaihts ed Eric Roth, si prende il tempo necessario ad evocare quel mondo desertico eppure, per certi aspetti, paurosamente gelido; concede il giusto spazio ai comprimari che ne fanno parte, pur senza distaccare lo sguardo da Paul Atreides; e ci mostra quest'ultimo non tanto come un eroe d'azione (per quanto, verso il finale, non manchino scene di scontri e di duelli), ma come un protagonista amletico alle soglie dell'età adulta, tormentato da incubi, dubbi e premonizioni.
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Film sontuoso, immerso nelle tinte cupe della fotografia di Greig Fraser (e il taglio cromatico rimanda non a caso a quelli di alcuni suoi lavori precedenti, da Zero Dark Thirty a Foxcatcher a Rogue One: A Star Wars Story), Dune procede in un lento ma progressivo crescendo che culmina nell'agguato degli Harkonnen contro gli Atreides e nell'esodo di Paul e di sua madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson) fino a raggiungere la tribù dei Fremen. Chi però si aspetta una fantascienza alla Star Wars, a dispetto delle analogie tematiche fra la saga di George Lucas e il capolavoro di Frank Herbert, potrebbe restare deluso: il Dune di Villeneuve richiede pazienza e fiducia; la solennità drammatica della vicenda non concede spiragli all'ironia né a parentesi più scanzonate; perfino i vermi delle sabbie, creature-simbolo dell'universo di Dune, rimangono prevalentemente nascosti, limitandosi al vortice in cui vengono fagocitati i bersagli del mostro.
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La grande scommessa, aspettando la Parte due
E veniamo così ai rischi insiti all'operazione condotta da Villeneuve e soci: la predisposizione del pubblico a farsi catturare da una narrazione talvolta insolita, perlomeno rispetto ai canoni della fantascienza più in voga, e caratterizzata da una relativa incompiutezza. Il Dune del 2021 è un "atto di fede" che non può limitarsi a coinvolgere una schiera, per quanto nutrita, di appassionati: il suo costo faraonico (circa centosessanta milioni di budget) richiede un riscontro ben più trasversale, in un contesto che già non si preannuncia tra i più favorevoli. Previsto in origine per il 20 novembre 2020, Dune è stato, sul piano cinematografico, una delle vittime illustri della pandemia: rimandato di quasi un anno, il film ha esordito in diversi paesi (Italia inclusa) il 15 settembre 2021, mentre nelle sale statunitensi arriverà solo il 22 ottobre, in contemporanea con la disponibilità in streaming sul servizio HBO Max.
Senza addentrarci nelle polemiche su vantaggi e svantaggi di una tale strategia distributiva (polemiche che lo stesso Villeneuve non ha esitato ad alimentare), resta indubbio che Dune costituisca una scommessa non indifferente: è ancora possibile, oggi, un modello alternativo di fantascienza? C'è davvero spazio per un'epica sci-fi più 'impegnativa', il cui potere di fascinazione non sia basato in prevalenza sull'azione e l'adrenalina? È una sfida che Villeneuve ci aveva già lanciato con Blade Runner 2049: un azzardo ben riuscito sotto il profilo artistico, ma che non era andato a buon fine sul piano commerciale. Con Dune, la posta in gioco è addirittura superiore: toccherà a noi spettatori, ora, decidere se un'ambizione tanto ammirevole meriti di essere ricompensata, o se dopo trentasette anni questo nuovo film andrà incontro allo stesso, disgraziato destino di quello di Lynch. La nostra speranza, ovviamente, è che Dune - Parte due non resti relegato nel reame delle grandi occasioni mancate, ma ci permetta di tornare quanto prima a percorrere le sabbie di Arrakis.
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