Fin dal titolo c'è una dichiarazione d'intenti in Downton Abbey II: Una Nuova Era, il secondo film tratto dal serial inglese dal 28 aprile al cinema con Universal Pictures. Se già le ultime stagioni della serie originale non lo avessero reso abbastanza chiaro, e con loro il primo film, siamo di fronte a un'epoca di grandi evoluzioni, bisogna abbracciare la modernità e dire addio un pezzo alla volta non solo all'aristocrazia ma a tutto ciò che quella classe socio-economica rappresentava e si portava dietro. Rispetto al primo film, che portava i Crawley sul grande schermo, qui c'è tutto un discorso meta-narrativo che abbraccia anche la nostra contemporaneità, come spiegheremo nella nostra recensione di Downton Abbey II: Una Nuova Era.
La settima arte a Downton
Io il cinematografo l'ho visto e spero di non assistervi mai più
C'è un grande discorso meta-narrativo in questo secondo capitolo cinematografico: a Downton arriva la settima arte quando un regista (la frizzante new entry Hugh Dancy) irrompe letteralmente nella tenuta per girare un film e quindi stravolgere la quiete e routine quotidiana dei suoi occupanti. Lord Grantham (Hugh Bonneville) e la Contessa Madre (Maggie Smith) sono poco interessati, mentre i più giovani di casa, oramai tenutari con a capo Lady Mary (Michelle Dockery), pensano al guadagno in tempi di aristocrazia in decadenza e di ristrutturazioni da fare, mentre la servitù al piano di sotto è incuriosita ed elettrizzata all'idea di accudire e avere per casa le star che hanno visto finora solo sullo schermo (interpretate dalle altre new entry Dominic West e Laura Haddock). Ovviamente scoprire il dietro le quinte nella realizzazione di un film può anche far crollare l'immagine degli attori e delle attrici che per prime Anna (Joanne Froggatt) e Daisy (Sophie McShera), e in generale l'intrattenimento cinematografico non è ben visto da Lady Violet - basti pensare alle sua battute al fulmicotone, che non perdono di certo smalto in questo sequel. Strizzando l'occhio a classici come Cantando sotto la pioggia, la troupe e gli inquilini si troveranno ad affrontare il passaggio dal muto al sonoro e il conseguente trauma e fine dei giochi per molti attori, perché potevano essere anche prestanti alla vista ma non possedevano magari la voce adatta. Un cambiamento nel cambiamento, che fa immediatamente pensare a quello tecnologico e social che stiamo vivendo oggi, in continua evoluzione, e alla grande capacità di adattamento che siamo chiamati a dimostrare. Perché altrimenti si rischia di rimanere indietro, ed è qualcosa che i protagonisti di questa saga in costume hanno sempre dimostrato di accogliere, in un modo o nell'altro.
Downton Abbey e I film in costume: quando il cinema ripercorre la storia
Un giro in Costa Azzurra
Sono proprio francesi questi francesi
Lo stesso matrimonio a Downton fra Branson (Allen Leech) e la cugina Lucy (Tuppence Middleton) con cui inizia Downton Abbey II: Una Nuova Era è un grande segnale di maturità e cambiamento da parte della famiglia, dati i trascorsi con la compianta Lady Sybil. È con il pretesto di un'eredità a sorpresa per Lady Violet, che i conti di Grantham insieme ai novelli sposi approfittano per un viaggio in Francia, per vedere una villa sulla Costa Azzurra e allontanarsi così dal trambusto dovuto alle riprese, e portandosi dietro anche il buon Carson (Jim Carter), scandalizzato da ciò che il cinematografo potrebbe portare alla sua cara Downton. Se la penna di Julian Fellowes non perde un briciolo di sagacia e humour tipicamente britannico nel tornare ancora una volta dai suoi (e nostri) beniamini, la mano e l'occhio sulla macchina da presa della new entry Simon Curtis (nella realtà marito di Elizabeth McGovern) non tradisce quanto fatto in passato e valorizza le grandi vedute aree della tenuta britannica più famosa dell'ultimo decennio, così come della nuova suggestiva location francese. Location in cui abbiamo modo di conoscere un'altra famiglia, interpretata da Nathalie Baye e Jonathan Zaccaï.
Downton Abbey: i 10 personaggi migliori della serie tv
Happy Ending
Il matrimonio è un romanzo, non un racconto breve
Fellowes non si dimentica di nessuno: Matthew Goode, che infatti non appare nel poster e già in Downton Abbey aveva fatto solamente un cameo, ancora una volta è stato travolto dalla concomitanza di impegni ma la sua assenza permette a Lady Mary di fare un bilancio della propria vita. A proposito di eredità - tanto di classe sociale quanto cinematografica - dopo quella toccante scena alla fine del primo film fra Smith e Dockery, la Contessa Madre diventa centrale nello svelare alcuni segreti del passato familiare, strizzando l'occhio ad alcuni snodi narrativi dello show che per sei stagioni è riuscito ad appassionare tutto il mondo. Non solo: Fellowes cerca di dare a tutti i personaggi un happy ending - forse qualcuno di troppo - e un'evoluzione rispetto a quanto accaduto in precedenza, mettendo un tassello importante nella saga, ma proponendo una storia che può essere vista anche da chi non ha seguito assiduamente l'originale televisivo. Una saga che quando sbarcò sul grande schermo fece un successone al botteghino soprattutto all'estero (Italia compresa), andando controcorrente rispetto ad operazioni simili. Cosa lascia allora Downton Abbey non più solo alla tv ma anche al cinema? Una saga che, se dovesse continuare su questi livelli, ne vorremmo almeno altre tre capitoli per continuare ad ammirare il coraggio dei Crawley nell'abbracciare il cambiamento, piuttosto che temerlo.
Downton Abbey, la recensione: il ritorno "regale" di un fenomeno televisivo
Conclusioni
Cosa possiamo dire alla fine della nostra recensione di Downton Abbey II: Una Nuova Era, se non che il sequel del fortunato film del 2019 è la conclusione e allo stesso tempo un nuovo importante tassello della saga iniziata con la serie tv nel 2010, che potrebbe continuare all’infinito se la qualità di scrittura e messa in scena continuerà ad essere questa. Il film propone un’interessantissima tematica meta-cinematografica e meta-narrativa sul cambiamento nella società come nella settima arte, oltre a quella dell’eredità. Addio ai Crawley noi non glielo vogliamo proprio dire.
Perché ci piace
- La scrittura di Julian Fellowes non perde colpi e trova nuova linfa nella regia di Simon Curtis.
- Il cast è affiatato come nel primo episodio dello show.
- I temi affrontati, i primis quello meta-narrativo del cambiamento.
- Il film può essere visti anche dai neofiti…
Cosa non va
- …che però perderanno inevitabilmente qualche sfumatura ed emozione dei personaggi.
- Forse qualche happy ending è di troppo.
- Che finisce.